L'attore Ruggero Dondi

Gli angeli di Testori

Per la prima volta in scena una delle ultime opere dello scrittore milanese, che immagina una Milano drammaticamente distrutta da una rivolta. Un testo spalancato sull'oggi che pone interrogativi sulla verità di chi siamo
Giuseppe Frangi

Gli Angeli dello sterminio è una delle ultime opere di Giovanni Testori. È un romanzo, anche se come sempre accade, la scrittura di Testori sembra nata per essere portata sulla scena, in qualunque forma si presenti. Con Gli angeli dello sterminio si era cimentato già Franco Branciaroli anni fa, in forma di lettura. Ora invece è diventato uno spettacolo teatrale vero e proprio,- in scena al Teatro I a Milano fino al 29 maggio - grazie alla drammaturgia di Renzo Martinelli, che è anche regista, e di Francesca Garolla. Dal romanzo sono stati ricavati tre personaggi: il narratore, che è controfigura di Testori; la donna-testimone degli ultimi giorni di Milano, che è un po’ il perno del romanzo, e infine un ragazzo che viene guidato dal narratore dentro questo scenario di rovine.

La forza del testo sta proprio in questa sua natura radicalmente controcorrente e apparentemente lontana dalla Milano “rigenerata” di oggi. Testori (come anche Luca Doninelli nel suo ultimo grande romanzo, Le cose semplici) immagina invece una città drammaticamente travolta da una rivolta di cui nel percorso narrativo si cerca l’origine. È una rivolta che non risparmia nessuno e che prende la forma di giganteschi incendi che infiammano il cielo di Milano confondendosi con i colori di fuoco di un tramonto. Gli “angeli” evocati nel titolo del testo sono poi i motociclisti corazzati di tute e caschi che vengono evocati nel finale: infatti irrompono tra le strade della città, come veri giustizieri. In realtà la loro apparizione sembra una forma di estrema purificazione, di cancellazione delle colpe che hanno reso insostenibile la vita della città.

Lo spettacolo ''Gli angeli dello sterminio'' di Giovanni Testori

La Milano di Testori, la Milano dei primi anni Novanta, è quindi una Milano che per fortuna ci siamo lasciati alle spalle? È un errore leggere questo testo nei termini di un raffronto o, peggio, come un qualcosa relativo ad un passato. In realtà la Milano di Testori serve a decifrare in modo non banale e non superficiale anche la Milano di oggi. Testori fa esplodere sulla scena l’anima della città “semper reformanda”, che nel momento in cui si siede sui propri successi storici, implode. La città che ha bisogno sempre di dare un volto al proprio essere popolo. Che deve avere il coraggio di portare allo scoperto le proprie ferite e le proprie contraddizioni.

Negli Angeli dello sterminio c’è un passaggio, forse il più bello, in cui il narratore dice di non riuscire più pronunciare il nome della città (che in effetti ricorre nel testo una volta sola, per casualità). La perdita del nome riguarda anche gli uomini, inghiottiti da un meccanismo di anonimato che rende tutti uguale e tutti “meccanismi” di un ingranaggio destinato a distruggersi. «Ricordo i tempi», recita il narratore, «in cui... con stupore ogni volta si rinnovava l’assoluta coincidenza che quei nomi avevano con gli esseri a cui appartenevano... Quegli esseri non erano pensabili dotati d’altro nome e cognome se non quello che, in realtà, possedevano. Allora, nome e cognome, quegli esseri, quei nostri simili, non solo li portavano, ma li esigevano». Il nome diventa allora il segno di un’unicità, di una propria identità di figli e non di servi.



Per questo Gli angeli dello sterminio è un testo spalancato sull’oggi, perché pone interrogativi radicali sulla libertà di ciascuno, sulla verità di chi siamo. Una città viva è una città che ha il coraggio sempre di affrontare questi interrogativi radicali, per ridare nomi agli uomini che la abitano.

La mess’in scena teatrale sia avvale della grande passione ed energia di un veterano come Ruggero Dondi, che guida, quasi da maestro, i due giovani chiamati a costruire con la lui la narrazione, Liliana Benini ed Emanuela Turetta. Presenza attonite a cui è affidata la catarsi, davanti al terribile urlo finale che scuote «il funebre silenzio che regnava sulla città». «Non era l’avviso d’una fine», svelano; «Ma esso possedeva in sé e la diffondeva per tutte le dimensioni dell’universo, la forza di una sconosciuta apertura»