Marcello Candia, il "signore dell'ospedale"

Dedicò la sua vita ai poveri dell'Amazzonia. Con l'obiettivo di essere «sempre meno necessario». In un libro il racconto della sua vita, tra il Sessantotto, il Brasile delle favelas e l'entusiasmo per quei ragazzi che avevano l'ardire di parlare di Cristo
Ines Maggiolini

«A tutti nella vita ci passa davanti un tram, possiamo saltarci su o voltarci dall’altra parte. Io sono saltato sul tram di Marcello e ci sono rimasto». Chi parla è Gianmarco Liva, uno dei primi che lo seguì. Il tram è quello di Marcello Candia, industriale milanese che ha dato tutta la sua vita e tutte le sue proprietà per i poveri dell’Amazzonia e che ha cambiato la vita di tanti amici. Industriale e milanese, anche in Brasile, tanto da poter dire che «l’efficienza è un modo di pregare».
È un viaggio d’istruzione in Brasile a rivelargli la sua vocazione: essere missionario laico. «Se il Signore mi ha dato di vedere le favelas di Rio un motivo ci sarà», confida a Divo Barsotti: «Io vorrei mettermi al servizio di quei poveri... di tutti i poveri, certo, ma di “quei” poveri in particolare». Negli avvenimenti scorge sempre quello che il Signore vuole dirgli. Dovrà attendere anni prima di poter partire: un grave incidente nella fabbrica di famiglia lo costringe a rimandare ancora. Ma davanti alle macerie appare, al contempo, addoloratissimo e sereno: «Partirò quando il Signore lo vorrà».
E quando il Signore volle, partì. Ha costruito chiese, ospedali, ambulatori, lebbrosari. Mai “per” i brasiliani, ma “con” i brasiliani e con l’obiettivo di “essere sempre meno necessario”. “Il signore dell’ospedale”, come lo chiamano, ama i suoi malati: desidera per loro il meglio, le cure migliori, ma anche la bellezza, la dignità.

C’è una libertà che affascina in tutto questo incessante e instancabile lavorare: un distacco dalla propria opera, una povertà, diremmo oggi, che è consapevolezza di essere il braccio e la mano di un Altro. Le cose non vanno sempre bene, mancano i soldi, si litiga, le congregazioni che Candia coinvolge hanno impostazioni diverse e spesso le divergenze hanno il sopravvento. Lui fa di tutto, ma nulla a suo nome: progetta e avvia opere che poi affida ad altri.
Siamo alla vigilia di anni cruciali: il Sessantotto e i suoi sconvolgimenti sono alle porte. Sono anni simili ai nostri, in cui ai cristiani è chiesto di guardare con occhi nuovi: Candia incarna questa apertura. E quando incontra «un prete fuori dal comune come don Giussani», la sintonia è immediata. Al primo grande convegno pubblico organizzato dai giessini “Vivere le dimensioni del mondo”, Marcello Candia è in prima fila: quello che ha sempre creduto è lì, è condiviso da centinaia di giovani. Non gli resta che mettersi a disposizione: «Se non poteva ancora andare in missione lui, almeno poteva aiutare altri ad andarci». Il rapporto con Giussani e con i giovani di GS andrà avanti sempre nel segno della condivisione: possiamo solo immaginare lo sbigottimento della cameriera quando vide il salotto invaso da una decina di ragazzi e ragazze vocianti. Ma Candia era entusiasta di quei ragazzi che avevano l’ardire di parlare apertamente di Cristo, che volevano portarlo là dove vivevano. Al primo gruppetto partito per il Brasile, Giussani scrive: «Non è importante quello che riuscirete a fare: è decisivo quello che riuscirete a essere. Noi vogliamo solo il Regno di Dio: per il regno di Dio».

Anche di fronte alle difficoltà che sopravverranno, alla politicizzazione di alcuni, all’allontanamento di altri, Marcello continua ad essere «perfettamente d’accordo con il Gius»: il compito del missionario non è «fare politica, ma vivere cercando di somigliare a Cristo». Perché, com’era solito dire: al resto «ci pensa Lui».

Flaminia Morandi
Marcello Candia. «Un uomo dal cuore d’oro»
Paoline

pp. 224 – € 15,00