Bernardo Daddi, Predella con la storia della Sacra Cintola (1337-1338). Particolare

Quella stoffa che cinse Maria

La reliquia della Cintola venerata nella Cattedrale di Prato. È simbolo dell'incarnazione e del Mistero della salvezza, ma anche di coesione sociale. Una mostra, fino a gennaio, ci racconta di una tradizione che ha attraversato i secoli
Giuseppe Frangi

È una fettuccia di stoffa lunga poco più di 80 centimetri. Tessuta in lana finissima con pelo di capra o forse di cammello. Di un verde, intenso un tempo, che oggi tende al bruno, anche perché ai tempi venne cosparso di polvere d’oro. Viene custodita con amore e anche con gelosia, nel cuore di una sontuosa cappella nella Cattedrale di Prato. Vuole la tradizione che questa fosse la Cintola di Maria. O meglio, la Cintola con cui gli apostoli cinsero il ventre di Maria quando morì. Più probabilmente è una reliquia “per contatto”, nel senso che era stata fatta aderire alla perduta Cintola originale. Ma questo non ne ha diminuito l’autorevolezza: a distanza di tanti secoli resta un simbolo davanti al quale, a Prato, chinano tutti la testa, credenti e non.

La storia della Cintola di Maria è una storia straordinaria non tanto per i suoi aspetti miracolistici (che anzi sono sempre molto in secondo piano), ma per la sua energia capace di generare e di tener coesa una comunità. Non a caso “Legati da una cintola” è il titolo scelto per la mostra che con molta passione ma anche con grande attenzione filologica e storica è stata organizzata a Palazzo Pretorio.

La vicenda è quella narrata dalla meravigliosa predella dipinta da Bernardo Daddi nel 1337, cioè nell’anno dell’addio di Giotto. Morto il maestro, c’era chi ne aveva raccolto l’eredità come frescante e chi invece, come in particolare Daddi, nel saper raccontare in modo sintetico e realistico le storie sacre. La vicenda della Cintola si incrocia con quella delle Crociate, perché la reliquia sarebbe stata portata a Prato da un inconsapevole mercante pratese, Michele, personaggio immaginario che, arrivato pellegrino a Gerusalemme in pieno XII secolo, vi aveva trovato moglie. Per dote aveva ricevuto in un cesto di vimini proprio la reliquia della Cintola. Tornato nella sua città l’aveva custodita per tutta la vita, donandola solo in punto di morte al proposto della pieve Uberto.

L'Ostensione della Cintola a Prato

La predella di Bernardo Daddi faceva parte di un grande polittico che, con ogni probabilità, era stato realizzato per la cappella dove era custodita la Cintola. Per ragioni misteriose un secolo dopo era stato rimosso e oggi se ne conserva solo la parte alta dove si vede una Madonna Assunta (conservata al Metropolitan di New York e presente in mostra) che porge la Cintola a un personaggio di cui oggi sono rimaste solo le mani tese in alto: è Tommaso che secondo i testi apocrifi aveva ricevuto questo dono molto mirato. Era infatti lui l’apostolo che per credere aveva avuto bisogno di “toccare”, e la Cintola era un elemento che aveva “toccato” il corpo di Maria. Che confermava la consistenza fisica e reale della salvezza. Come ha scritto lo storico dell’arte Andrea De Marchi, curatore della mostra insieme a Cristina Gnoni Maravelli, infatti «la Cintola è metafora di coesione sociale e quindi di pace e prosperità, ma al tempo stesso sigillo di un grembo miracolosamente fecondo in cui si cela il mistero sconvolgente della redenzione stessa del genere umano, nell’incarnazione di Cristo».

La storia straordinaria della Cintola consiste proprio in questo nesso tra un’identità sociale e il fatto concreto della concezione di Gesù. Un nesso che ha il sapore quasi di una filiazione, in cui tutti si riconoscono perché tutti lo riconoscono come un’evidenza. La Cintola, come detto, era stata usata dagli apostoli per cingere il grembo di Maria nel momento della “dormitio”: si cingeva il “tempio” fisico che aveva generato Cristo. Era una sorta di impronta che rimandava alla carnalità del fatto cristiano.

Bernardo Daddi, Assunta, 1337-1338, New York, Metropolitan Museum of Art

In mostra si replicano le immagini di questa trasmissione da Maria a Tommaso sino all’intera città di Prato, per il tramite semplice di Michele. Non si vede uno dei più straordinari frutti di questa trasmissione, perché il pulpito commissionato a Donatello all’esterno della Cattedrale non poteva certo essere spostato: era il “teatro” dell’ostensione della Cintola al popolo e a tutta la città. Donatello aveva trasformato la balaustra del pulpito in una teoria felice di angeli: gli angeli che avevano accompagnato in cielo il corpo vivo di Maria. Ancora una volta non era una semplice rappresentazione, ma il rinnovare, il rendere presente un accaduto.

La Cintola si mostrò anche molto contagiosa. Pisa, che non poteva contare su una reliquia di uguale impatto, aveva risposto inaugurando una straordinaria tradizione: in occasione delle feste mariane il Duomo veniva “cinto” da una lunghissima Cintola in damasco rosso, facendo risaltare l’equivalenza tra il ventre di Maria “tempio” di Gesù e la cattedrale stessa. In mostra si può vedere un frammento superstite di questa Cintola, arricchita di placchette di argento sbalzato, attribuite a Nicola Pisano; ma si vede, grazie a due quadri seicenteschi, anche lo spettacolo stupefacente della cattedrale pisana interamente cinta. Questo a testimonianza ulteriore dell’incredibile fecondità (e coerenza) immaginativa che contrassegna il percorso del cristianesimo.

Legati da una Cintola. L’Assunta di Bernardo Daddi e l’identità di una città
Prato, Palazzo Pretorio, sino al 14 gennaio 2018
museo.palazzopretorio@comune.prato.it
www.palazzopretorio.prato.it