Monsignor Francesco Braschi

Russia Cristiana. Libertà, anche sotto "una campana"

Il Samizdat, piazza Majakowskij, il Sessantotto... Cosa dicono oggi visti da Mosca e dintorni? Monsignor Francesco Braschi, presidente della Fondazione di Seriate, spiega i temi e le ragioni del convegno a Villa Ambiveri
Andrea Avveduto

Sessant’anni dalle letture pubbliche di poesie in piazza Majakowskij. Cinquanta dalle contestazioni giovanili del Sessantotto. «E 95 dalla nascita di padre Romano Scalfi». Monsignor Francesco Braschi, presidente di Russia Cristiana, aggiunge un altro importante anniversario a quelli che saranno al centro del convegno di quattro giorni della Fondazione, in apertura il prossimo il 12 ottobre. «Siamo partiti da un testo di padre Romano, La mia Russia, che ci sta aiutando molto nel percorso di oggi, per i suoi contenuti così pertinenti e per la sintonia con il cammino che don Julián Carrón sta facendo fare al movimento di CL».

Il Dottore della Biblioteca Ambrosiana racconta l’origine di una tre giorni ricca di appuntamenti dove si alterneranno 21 relatori: «Uomini Liberi. La cultura del Samizdat risponde all’oggi» è il titolo dell’evento di Villa Ambiveri (tutte le info sul sito di Russia Cristiana). «Siamo convinti che il Samizdat (un fenomeno culturale di diffusione di scritti clandestini contro il regime diffuso in Unione Sovietica a partire dagli anni Cinquanta, ndr) con le sue caratteristiche contenga una risposta valida ancora oggi alla crisi dell’umano che stiamo vivendo», prosegue monsignor Braschi: «Per questo viene riproposto con fiducia all’interno delle tavole rotonde organizzate dall’associazione di Scalfi». Ripartire dal valore della persona è per Braschi l’unico modo, oggi come allora, per rispondere alle crisi che hanno costellato l’ultimo secolo e gli anni che stiamo vivendo. Proprio come facevano i giovani del Samizdat, «anche quando le difficoltà e le persecuzioni subite sembravano impedire ogni tipo di risposta».



I relatori che interverranno su questi temi, ci tiene a precisare, «non sono solo storici, professori o giornalisti, ma sono persone che innanzitutto stanno vivendo nella Russia di oggi riproponendo attivamente questa cultura. Perché il Samizdat non è un fenomeno del passato, ma è qualcosa di vivo e presente». A maggior ragione in un momento particolare, davanti a una crisi che stiamo vivendo tutti, sia nei Paesi a tradizione democratica sia in quelli ex sovietici. Entrambi vivono un dramma comune costituito dalla perdita dei valori civili, sociali e politici, di individualismo e paura del futuro. Ecco perciò la domanda che sottende a questi tre giorni di incontri: da dove viene questa insoddisfazione? E quale speranza abbiamo per il futuro? «I giovani di allora cercavano di rispondere a una tendenza massificante, che vedeva l’uomo solo come parte di un ingranaggio». La risposta però, e il paragone con le vicende europee è d’obbligo, non era violenta. Anzi. «Avevano una stima per l’umano profonda», continua Braschi: «Persino in coloro che in quel periodo storico stavano perseguitando i cristiani e i cittadini».

Un atteggiamento che, dice, si scosta leggermente da quello dei giovani sessantottini di casa nostra: «I ragazzi del Samizdat conoscevano bene il tentativo di dare risposte precostituite, ideologiche, vivevano immersi nell’ideologia. I giovani occidentali, invece, si trovavano in un contesto totalmente diverso e per questo, forse, pensavano che il cambiamento avvenisse imponendo un’idea sulla realtà e non diventando capaci di ascoltare il punto sorgivo che è l’uomo, l’uomo libero».

Il convegno inizia in un momento molto delicato per tutto il cristianesimo orientale, specialmente ortodosso, che vede inasprirsi i rapporti tra i Patriarcati di Mosca e Costantinopoli, per la richiesta di indipendenza della Chiesa ortodossa ucraina. E in cui il rischio di ideologizzare i problemi è ancora grande. «Anche a livello ecclesiastico può capitare che prevalgano solo degli schieramenti, posizioni differenti basate su interpretazioni di diritto canonico o regole antiche». Ma l’uomo ha bisogno di essere guardato e sostenuto nel suo desiderio di vivere la fede in modo pieno. E, allora, «la “Cultura del Samizdat” dice oggi a vescovi e patriarchi quel che diceva al regime sovietico: rimettiamoci a guardare la persona prima di ogni altra cosa».

Al convegno si parlerà semplicemente di questo. Di uomini liberi: «Siamo nel gulag, abbiamo la campana che scandisce tutto, ma anche qui possiamo essere liberi perché sappiamo a chi apparteniamo», conclude Braschi citando un testo di alcuni prigionieri lituani. Ecco com’è possibile essere liberi. «Che poi è quel che abbiamo sentito con altri termini, qualche giorno fa ad Assago, alla Giornata di inizio anno di CL».


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