L'Adorazione dei Magi dei fratelli Gagini in via degli Orefici a Genova

Genova. Presepe di strada

Il Volantone di Natale, quest’anno, è un’Adorazione dei Magi del 1457, scolpita dai fratelli Gagini. Ecco la sua storia, con quella di altre opere disponibili a tutti e sempre. Immagini che vegliano sulla vita di ogni giorno (da "Tracce" di dicembre)
Giuseppe Frangi

È il presepe dei caruggi. Nel cuore di Genova, camminando per via degli Orefici, arrivati al numero 47, se si alza la testa ci troviamo davanti a qualcosa di inatteso. A piano strada ci sono le vetrine, messe ad angolo, di un negozio di coltelli. Sopra una di queste vetrine, invece dell’insegna spicca un grande bassorilievo di marmo con l’Adorazione dei Magi. Naturalmente è in quel posto da ben prima che l’esercizio commerciale avesse aperto. Una targa, infatti, ricorda la data probabile in cui venne realizzato, il 1457, e rende noto anche gli autori, Elia e Giovanni Gagini. È un presepe di strada che per secoli ha vegliato su questo vicolo genovese e ha fatto sollevare la testa in segno di gratitudine e devozione alle migliaia di uomini e donne che qui hanno vissuto o che da qui sono semplicemente passati. L’autore è un artista che fa parte di una dinastia di scultori provenienti dal Ticino, che a metà Quattrocento si mossero dalla nativa Bissone: una parte della famiglia arrivò a Genova, l’altro ramo, il più nobile, invece si insediò a Palermo. Il capostipite, Domenico, si era formato nei cantieri di Brunelleschi a Firenze. Giovanni è suo nipote ed è il probabile autore dell’Adorazione di via degli Orefici; non è la sola opera di strada che ha lasciato in città, perché sempre di sua mano sono due bassorilievi con la storia di san Giorgio, di cui uno, particolarmente bello, nella vicina via del Canneto, sempre come sovrapporta di un negozio.

Oggi siamo meno portati ad alzare la testa e a sorprenderci di queste presenze lungo le strade che quotidianamente frequentiamo. Eppure se l’Italia è un Paese che non ha paragoni al mondo è proprio per questa idea dell’arte, e quindi della bellezza, come patrimonio diffuso e a disposizione di tutti. Sono le opere che Tripadvisor segnala giustamente come 24/24, cioè aperte sempre, ad ogni ora del giorno e della notte. Non sono monumenti, perché non hanno nulla di retorico. Sono immagini spesso furtive, appartate, messe negli angoli delle strade, che vegliano sulla vita di ogni giorno. Immagini verso le quali alzare lo sguardo, per chiedere protezione o in segno di ringraziamento.

A Roma, per fare solo un esempio, si contano ancor oggi 522 “Madonnelle stradaiole” delle quasi duemila che popolavano il centro della città. Erano sempre addobbate di fiori e lumini, e come aveva notato Stendhal nelle sue Passeggiate romane, di notte illuminavano le strade della città: un altro modo semplice di proporsi come presenze protettrici. La più famosa delle “Madonnelle stradaiole” è quella dell’Edicola del Ponte, in via dei Coronari, alla quale lavorarono due “pezzi da 90” come Antonio da Sangallo e Pierin del Vaga, che dipinse l’immagine dell’Incoronazione della Vergine. Alle immagini si attribuivano anche miracoli, come quello della Madonna dell’Archetto, che pianse per l’arrivo dei francesi nello Stato Pontificio; per questo venne accolta in un minuscolo santuario, che è la più piccola chiesa di Roma.



A Firenze, invece, la forma più diffusa di queste presenze di strada era quella dei tabernacoli. Il più spettacolare è certamente il Tabernacolo delle Fonticine (per via delle sette teste di cherubini che versano acqua nella fontana sottostante): è una grande ceramica invetriata, con la Madonna, il Bambino e una pletora di Santi. Si offre ai nostri occhi, regalandoci ad ogni ora del giorno e della notte il blu intenso che solo i Della Robbia sapevano realizzare (qui è Giovanni Della Robbia all’opera). Le ceramiche invetriate spesso erano come dei gioielli gratuitamente incastonati nel tessuto della città. A Firenze non si possono non ricordare i tondi con gli infanti sul porticato brunelleschiano dell’Ospedale degli Innocenti.

Ma l’esito più fantasmagorico lo troviamo a Pistoia, dove sul porticato dell’Ospedale del Ceppo, Santi Buglioni, ad inizio 1500 realizzò il lungo fregio con le Sette Opere di Misericordia. È un fregio che si distende come un film in technicolor, proiettato giorno e notte. Chi passava lì sotto poteva guardare e avere la certezza che nel bisogno non sarebbe mai stato lasciato solo.