Una scena dello spettacolo

A teatro. Voland e il paradosso del diavolo

In scena a Milano "Il Maestro e Margherita" di Fabrizio Sinisi e Paolo Bignamini, tratto dal capolavoro di Michail Bulgakov. Una commedia di strazio e di speranza. In cui, alla fine...
Luca Doninelli

Dal 10 al 20 gennaio, presso il leggendario Salone di Via Dini, a Milano (oggi Pacta dei Teatri), sarà di scena Il Maestro e Margherita, uno spettacolo di grande intensità emotiva, che Fabrizio Sinisi e Paolo Bignamini, per la regia di quest’ultimo, hanno tratto dal capolavoro di Michail Bulgakov. Tenacemente voluto dal direttore del festival DeSidera, Gabriele Allevi, è prodotto e distribuito dal Teatro de Gli Incamminati.

La Storia, lo disse bene don Giussani - ed era in ottima compagnia - può sembrare soltanto un cumulo di “brutte possibilità”. Lo sosteneva già Alessandro Manzoni: ancor ruine/ sopra ruine ammucchierem (Adelchi). Eccole, le “brutte possibilità”: non tanto guerre, terremoti o epidemie, ma piuttosto la perenne possibilità che il poco di bene che l’uomo tenta di mettere in atto venga travolto, atterrato, annientato, che le belle storie comincino per essere brutalmente interrotte al momento del loro fiorire.

Dalla cacciata dall’Eden alla caduta di Troia a causa di un inganno maligno questa è la domanda fondamentale che la Letteratura si pone: esiste una salvezza, in questo cataclisma, per quella cosa fragile, quasi impalpabile che chiamiamo amore, bellezza, grazia? Perché, se è nel cuore che la nostra verità si svela, tutto intorno a noi tende a schiacciarci il cuore, «tutto cospira a tacere di noi», come scriveva Rilke?



Un secolo, il Novecento, che aveva completamente smarrito il senso del Perdono, ne ripropose a forza un’immagine straziante attraverso il desiderio - documentato da centinaia di romanzi e film - di far tornare indietro il tempo, di poter riportare la Storia al bivio fatale e farle intraprendere un’altra strada, per evitarle il disastro. Un sogno innocente, che attraversa un secolo e passa da La caduta di Albert Camus (dove un uomo disperato immagina la salvezza come la possibilità di riavvolgere il tempo fino a recuperare il momento in cui non salvò la vita di una ragazza) a capolavori del cinema avvolti d’ironia, come Inglorious Basterds di Quentin Tarantino.

Ma per avere forza, questa metafora, inaugurata in modo monumentale da Marcel Proust, deve conoscere la sua dose di strazio, deve in altre parole mostrare di cosa è metafora: non di un vago senso di giustizia, di un sogno di redenzione della Storia, o della remissione di un acido senso di colpa, ma di lui, del Perdono, che non è un atto generoso ma una Presenza, la presenza di Chi verrà ad asciugarci le lacrime.



Ecco, Il Maestro e Margherita, uno tra i grandi capolavori della letteratura del Novecento, tocca questo punto: non si tratta di rimettere semplicemente un senso di colpa, ma di restituire all’umano la sua possibilità originaria.

Uno scrittore, al tempo di Stalin, noto a noi come il Maestro, vede stritolata da una critica feroce, malevola e servile l’opera su Ponzio Pilato alla quale aveva atteso per tutta la vita e alla quale aveva affidato ogni speranza di successo. Caduto in uno stato di profonda depressione, distrugge l’opera, di cui si salva un solo capitolo, che una donna, Margherita, sua amante, riesce a conservare. Un diavolo, Voland, signore della Storia, che malinconicamente sa tutto e può tutto, e a cui perciò tutto è indifferente, scende nella Mosca staliniana, dove si svolge la vicenda dei due amanti e decide, di fronte all’umiliazione dell’umano (il Maestro è stato internato in una clinica psichiatrica), di compiere un atto paradossale. Il paradosso è l’ultima possibilità, l’ultima carta che il diavolo può giocare al cospetto della Storia, perché egli è comunque figlio di Dio.

Così, Voland restituisce a Margherita la gioventù, e Margherita compie la traversata del tempo che la porterà a ricongiungersi con il suo amato, a far rivivere il suo romanzo, che lui aveva dedicato all’uomo più solo di tutti i tempi, Ponzio Pilato.

Nessuna “brutta possibilità” può togliere all’uomo il diritto a essere accompagnato nella sua sacrosanta speranza. Nello spettacolo di Bignamini, ben sostenuto dalla partitura di Fabrizio Sinisi (che trasferisce la vicenda nella Milano di oggi), gli attori (Mario Cei, Federica D’Angelo, Matteo Bonanni e Luciano Mastellari) inscenano questa commedia di strazio e di speranza in un insieme struggente, perché ciò che commuove non è la disperazione ma la speranza. Così il dramma, senza perdere nulla della propria tensione, riesce a farsi canto, inno, lo struggimento si fa melodia. Nemmeno il diavolo può uccidere la speranza, perché lei, la speranza, è nata prima di lui.