Clarice Lispector (©Folhapress)

Clarice Lispector. Arrivare a ciò che esiste

A cent’anni dalla nascita, su Tracce di Aprile, un breve viaggio nell’esistenza della scrittrice brasiliana. E in quella dei suoi personaggi, dove «il mistero è sempre in agguato»
Cecília Canalle e Raúl Fernandes

Scrivere è restituire agli altri uomini – attraverso la creazione – la realtà nel suo stupore originario, disappannando il loro sguardo spento e invecchiato. Crescere i figli significa – attraverso ciò che già esiste – aiutarli a riconoscere la realtà nel suo volto più vero. E amare è dare la vita perché qualcuno, a un certo punto, si renda conto dell’infinito che abita in essa.

Scrittrice di origine ucraina dagli occhi a mandorla e dai tratti esotici, Clarice Lispector (1920-1977), di cui sono stati di recente pubblicati in Italia per Feltrinelli Tutti i racconti, era esperta in questo: cercava in tutto, e soprattutto nei dettagli più banali della vita quotidiana, la traccia dell’infinito. E quando non la trovava, almeno testimoniava questa immensa mancanza. Sondando la realtà, usava l’acutezza del suo fiuto per individuare l’assenza di qualcosa che gridava dentro di lei e che nulla poteva soffocare, anche quando ogni cosa andava secondo le attese.

La statua della Lispector a Rio de Janeiro (©Luiz Souza/Shutterstock)

«Non ho dimenticato niente?», chiede per l’ennesima volta l’anziana madre alla figlia, Catarina, protagonista del racconto Legami familiari, che dà il nome a uno dei suoi libri più celebri. Sì, madre e figlia avevano dimenticato di cosa fosse fatto quel loro prezioso rapporto, così pieno di disagi e provocazioni. Ma quella domanda, che fa venire a galla tutta se stessa, farà sì che Catarina torni a casa disposta a godere della generosità del mondo intero, un cammino a cui era stata introdotta dalla madre e che le ardeva nel petto. Le accade poi di essere lì con suo figlio, che ha quattro anni e quasi non parla: sempre nervoso e distratto, «nessuno era ancora riuscito a risvegliare veramente la sua attenzione». Lei gli si rivolge in modo deciso e appassionato. Il bambino capisce e dice «mamma». Era «la prima volta che diceva “mamma” con quel tono e senza chiedere niente. Era qualcosa di più di una semplice constatazione: mamma!». Catarina rimane estasiata: il mondo si era svelato ancora una volta.

Proveniente da una famiglia ebrea ucraina, Clarice Lispector arrivò in Brasile quando aveva solo due anni e si è sempre considerata totalmente brasiliana. E l’identificazione è reciproca: oltre a essere una delle scrittrici più popolari del Paese (anche se la sua scrittura è spesso difficile e in alcuni casi anche ermetica), i brasiliani la chiamano di solito familiarmente solo “Clarice”, come se fosse un’intima amica.

Non le piaceva parlare delle tragiche circostanze che avevano fatto fuggire la sua famiglia dall’Ucraina, nel bel mezzo della guerra civile russa e dei brutali pogrom antisemiti che avevano devastato la sua terra natia. Nella sua opera, tra l’altro, non ci sono chiari riferimenti al dramma vissuto dalla sua famiglia e dal suo popolo. Una volta, interrogata sul valore sociale della letteratura, ha confessato che si sentiva quasi umiliata perché non poteva scrivere di questo: «Il problema della giustizia per me è così ovvio e fondamentale che non riesco a farmi sorprendere da esso – e senza sorprendermi, non posso scrivere».

«Il problema della giustizia per me è così ovvio e fondamentale che non riesco a farmi sorprendere da esso – e senza sorprendermi, non posso scrivere»

I racconti raccolti in Legami familiari, tra i più belli della scrittrice, parlano sempre di una sorpresa, di una meraviglia che spiazza la vita quotidiana, rivelando un’altra dimensione dell’esistenza.

Nel famoso racconto Amore, per esempio, una tranquilla madre di famiglia di nome Ana torna a casa nel tardo pomeriggio dopo aver fatto la spesa per la cena. Seduta sul tram, vede sulla strada un cieco che si muove tranquillamente nell’oscurità, masticando una gomma. Mentre è ancora distratta da questa visione – la visione della cecità di qualcun altro o della propria? –, il tram fa una frenata improvvisa e Ana lascia cadere la borsa della spesa, rompendo le uova che aveva appena comprato. Così, la scossa esistenziale e lo scossone fisico del tram si intrecciano. E le uova, metafora del nido della vita, si rompono e sgocciolano: il fragile guscio delle apparenze non riesce più a nascondere il suo denso contenuto interiore.

Certo, momenti come questo sono sempre «pericolosi», come dice Ana stessa, perché possono alterare tutto il tranquillo tran tran della giornata. E Clarice conosceva bene il valore (come pure i rischi) della vita quotidiana e delle piccole attività da cui è costituita.

Laureata in Legge, non ha mai esercitato la professione e ha lavorato solo occasionalmente come giornalista. Sposata con un diplomatico, Clarice ha vissuto per molti anni in altri Paesi, sentendosi sempre fuori posto e sola; oltre alla letteratura e agli eventi con le delegazioni straniere (che le risultavano profondamente spiacevoli), la sua occupazione principale era quella di badare ai suoi due figli, uno dei quali presentò precocemente gravi problemi di salute ed era fonte di grande angoscia per lei.

Tuttavia, i suoi spostamenti le offrivano ricche opportunità di osservare l’uomo in luoghi e condizioni diverse. Durante il suo soggiorno a Napoli in piena Seconda Guerra mondiale, per esempio, Clarice lavorò come volontaria in un ospedale, facendo tutto ciò che era necessario e possibile: tra l’altro, leggeva le lettere ai pazienti e scriveva le risposte. Era un modo per cercare un contatto più ravvicinato con il reale. Una volta ha affermato che il suo lavoro era «un tentativo fallito di arrivare a ciò che esiste».

Leggeva le lettere ai pazienti e scriveva le risposte. Era un modo per cercare un contatto più ravvicinato con il reale

In Legami familiari, vediamo quattordici tentativi di «arrivare a ciò che esiste» attraverso racconti che ritraggono la dimensione quotidiana di rapporti d’amore che anelano a qualcosa di più grande.

In queste relazioni c’è sempre uno squilibrio, di solito generato da un dettaglio quasi banale: un cieco che mastica una gomma, il furto di un fiore in giardino, una gallina che fa un uovo, l’arrivo di una donna con un cappello, le meravigliose rose che la narratrice ha comprato quella mattina, la signora di 89 anni che sputa per terra alla sua festa di compleanno... Sono avvenimenti che, nonostante il loro carattere banale, risvegliano dal torpore, portando la sottile ma inquietante certezza che i tentativi di riprendere il controllo della vita saranno vani.

In Clarice il binomio equilibrio/squilibrio non è solo un processo di riordino, che si potrebbe riassumere così: tutto sembrava a posto, si verifica un evento destabilizzante e poi tutto si riorganizza. Al contrario, nella sua opera la vita non si riorganizza. Clarice porta nel quotidiano un senso di inadeguatezza e incompiutezza che, una volta scoperto, non permette più di ristabilire la vita al livello precedente. Il racconto Mistero a São Cristóvão presenta una famiglia che gode dei beni che ha conquistato, in cui solo la figlia sente una mancanza, una strana insoddisfazione interiore. È ormai notte, e vede tre uomini mascherati che, attratti dalla floridezza del giardino, vi si introducono per cogliere un giacinto; quando scoprono di essere osservati dalla ragazza, se la danno a gambe. La casa si sveglia spaventata. Ma nessuno capisce l’inquietudine della ragazza: tutti si sforzano (è un’idea ricorrente nei suoi racconti) di ritrovare l’equilibrio di un tempo. Ma ormai non è più possibile, soprattutto per quella ragazzina: è accaduto qualcosa. C’è sempre un mistero in agguato nella vita di tutti i giorni; ma, come un’ombra in fuga, si nasconde non appena viene percepito. Ecco perché molti personaggi di Clarice provano una sorta di vertigine da rivelazione. Sono momenti di manifestazione: la persona subisce l’impatto della realtà e si rende conto che la vita non basta. D’altra parte, se per un breve momento sembra che il paradiso stia arrivando, anche l’evento più lieve può mettere tutto a tacere: è una “felicità clandestina” – titolo di un altro suo famoso libro.

È accaduto qualcosa. C’è sempre un mistero in agguato nella vita di tutti i giorni; ma, come un’ombra in fuga, si nasconde non appena viene percepito. Ecco perché molti personaggi di Clarice provano una sorta di vertigine da rivelazione: (...) la persona subisce l’impatto della realtà e si rende conto che la vita non basta

Il dolore più grande dell’autrice è l’acuta percezione della sproporzione originaria tra il suo desiderio di infinito e la precarietà della vita che – sebbene immensa – è troppo piccola per il desiderio del suo cuore.

Per noi, il suo grande contributo è quello di gridare che il quotidiano è prezioso, ma esso, da solo, può diventare soffocante, tramutando la sua potenziale sacralità in una condanna. Nel 1976, un anno prima della sua morte, Clarice fu intervistata da José Castello, un famoso critico letterario brasiliano, che la provocò sul senso dello scrivere:

J.C.: Perché scrive?

C.L.: Le risponderò con un’altra domanda: perché beve l’acqua?
J.C.: Perché bevo l’acqua? Perché ho sete.
C.L.: Vuol dire che beve l’acqua per non morire. Lo stesso è per me: scrivo per restare viva.

Che la lettura di Clarice renda possibile questo tipo di esperienza: percepirsi sempre più vivi.




Cecília Canalle e Raúl Fernandes sono docenti di Comunicazione a San Paolo, in Brasile: Cecília Canalle insegna alla Fatec, la Facoltà di Tecnologia; Raúl Fernandes alla Fei, la Falcoltà Ignaziana di Ingegneria
e Amministrazione

Clarice Lispector nasce a Tchetchelink, in Ucraina, il 10 dicembre 1920. La sua famiglia, ebrea, è costretta a fuggire dai pogrom e raggiunge il Brasile quando Clarice ha solo due anni. Dopo l’infanzia a Recife, si laurea in Legge a Rio de Janeiro. Sposa un diplomatico col quale vive prima in Italia, poi in Svizzera e negli Stati Uniti. Ha due figli e nel 1958 torna definitivamente a Rio, dove muore il 9 dicembre 1977. Scrittrice, giornalista e traduttrice: il suo primo romanzo, Vicino al cuore selvaggio (in Italia pubblicato da Adelphi), esce quando Clarice ha vent’anni. È stata definita
la maggiore scrittrice brasiliana del Novecento. Tra i principali titoli in italiano, per Adelphi: Acqua viva e il libro postumo Un soffio di vita;
per Feltrinelli: La passione secondo G. H., Legami familiari, Tutti i racconti.