(Foto: Quattrucci/Fraternità di CL)

Il realismo dell’incarnazione e la “battaglia” di don Giussani

Se la fede si incarna, l’accoglienza incondizionata del presente non può essere l’unico volto di una proposta che vive nel travaglio del nostro tempo (da "ilsussidiario.net")
Danilo Zardin

Nel precedente intervento abbiamo concluso sottolineando la varietà dei modi a cui la ragione può essere abilitata a uniformarsi ponendosi nella scia di una fede riconosciuta come chiave di volta dell’esistenza.
Vi è senza dubbio il movimento della ragione che accoglie e cerca di comprendere tutta la precaria fragilità del tentativo umano. La mette in rapporto con le prospettive liberanti aperte dal respiro della fede e insegue ogni strada possibile per avvicinare gli uomini del proprio tempo al contatto con la novità della testimonianza cristiana. È la via dell’investimento sul credito misericordioso, a oltranza, che passa attraverso il primato della carità eretta a regola suprema.

Ma la carità, d’altra parte, non può essere cieca, e nemmeno ingenua o autolesionista. Con il franco realismo dell’incarnazione di cui è impastata, sa anche riconoscere le forze avverse che intaccano la possibilità di una risposta autentica ai bisogni della comunità umana. Non può rinunciare all’esercizio di un’attenta vigilanza. Può arrivare a svelare gli errori compiuti e i più tenebrosi tranelli orditi nelle varie pieghe della realtà del mondo, e prima ancora all’interno dello stesso spazio che si definisce a parole cristiano. Non è esentata in partenza dalla necessità di spingersi, quando le circostanze lo richiedono, fino a rovesciarsi nel linguaggio capovolto della condanna, del giudizio severo, fino al contrasto dialettico magari anche aspramente conflittuale per salvaguardare una verità negata, un bene svilito, un valore essenziale rimosso o calpestato.

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