Giorgio Gaber (Foto Ansa)

Venti di Gaber

Un ciclo di incontri al Centro Culturale di Milano per non dimenticare un personaggio di assoluto rilievo della cultura e della musica italiana. A 20 anni dalla morte
Walter Muto

È abbastanza probabile che il nome di Giorgio Gaber lo si sia almeno sentito una volta nella vita. Eppure ogni volta che mi ci imbatto, dico sempre a me stesso che non ne ho approfondito abbastanza la conoscenza. E quando vado a scavarci dentro, trovo qualcosa di nuovo, di profondo, che non sapevo.

Certo, approcciare il mare magnum della produzione di Gaber non è semplice: una carriera lunghissima e multiforme, decine di canzoni (e monologhi) e, quindi, la necessità di avere molto tempo da impiegare per l’ascolto e la ricerca, con la vita che facciamo sempre di corsa. E per di più in un’epoca poi in cui si pensa sempre di meno e si vorrebbe un pensiero già preconfezionato da seguire… Invece, sarebbe tempo ben speso, perché ci si troverebbe di fronte a un artista arguto, dal verso articolato e ficcante, ma di grande umanità; ad una musica generalmente semplice, ma adatta ad avvolgere perfettamente i testi ora profondi, ora ironici, in ogni caso sagaci.

Un gran lavoro, quindi, per aiutare il quale arriva a proposito l’iniziativa del Centro Culturale di Milano, in collaborazione con Fondazione Gaber: “Giorgio Gaber si può… Vent’anni (senza) con il signor G”, ciclo di quattro incontri, teso, come dice il comunicato di presentazione, a “riaprire” il signor G confrontandosi con il suo pensiero. Ma prima di entrare in merito, qualche parola su questo straordinario personaggio e sul suo coraggio umano ed artistico.

Coraggio, innanzitutto, di sfruttare il danno alla sua mano sinistra, causato dalla poliomielite, per chiedere al fratello di insegnargli a suonare la chitarra, e da lì diventare un pregevole chitarrista jazz e rock, che muove i primi passi insieme ad altri ragazzi di nome Enzo Jannacci e Adriano Celentano. In un’intervista, anni dopo, Gaber affermerà: «Tutta la mia carriera nasce da questa malattia». Coraggio, poi, di lasciare una strada battuta - e tutto sommato comoda - che lo aveva già trasformato da rocker in cantante romantico e confidenziale ed in seguitissimo intrattenitore televisivo; per non parlare, se non accennandone brevemente, ai grandi successi della fine degli anni Sessanta, da Torpedo blu a Com’è bella la città.

Ma ad un certo momento, per l’appunto, arriva la svolta, che lui stesso descrive così: «Poi mi sono chiesto se il successo, la popolarità e il denaro che ne derivava dovessero condizionare la mia vita, le mie scelte». Così, dal 1971 in poi, inventando il genere del teatro-canzone insieme all’artista versiliano Sandro Luporini, mette in scena ogni anno uno spettacolo, scritto l’estate precedente a Viareggio, provato alla fine delle vacanze, portato sul palco a ottobre e registrato live alle prime esibizioni, per poi mettere in vendita l’album solo ed esclusivamente agli spettacoli, fuori da ogni logica commerciale. Intervistato anni dopo riguardo a questa scelta, Gaber con grande realismo dichiarerà che «rispetto al denaro, io penso che se si riesce a guadagnare una lira di più di quello che è necessario per vivere discretamente si è ricchi».

Il grande lavoro e la verità, la schiettezza della sua comunicazione comunque, in quegli anni “impegnati”, pagano da tutti i punti di vista. Per onor di cronaca, mi piace citare la successione di eventi legata allo spettacolo (poi album) “Dialogo fra un impegnato e un non so”: lo spettacolo debutta al Politeama di Genova il 6 novembre 1972, la registrazione dell’album avviene durante le prime tre repliche (6-7-8 novembre) e le matrici del disco (oggi si direbbe i master per la stampa) recano la data 13 novembre. Ne risulta un disco doppio, 91 minuti di monologhi e canzoni, e alla fine della stagione Gaber totalizzerà 166 repliche con 130mila presenze.

Da lì in poi, l’arte di Gaber si incastra con la realtà, la vita concreta, la politica, il desiderio (peraltro titolo di una sua grandissima canzone), restando lui sempre libero nonostante i tentativi di incasellamento, talvolta abbracciando utopie di cui lui stesso subito capisce il fiato corto, sempre partendo dalla propria umanità e desiderando capire dell’esistenza le sofferenze ed il mistero.

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Così, i quattro incontri del Centro Culturale di Milano saranno modulati sulle frasi estratte da quattro canzoni: L’appartenenza, del 1996, sul riconoscersi parte gli uni degli altri e non semplicemente aggregarsi; Il dilemma, del 1980, lunga disamina, in più di 7 minuti di canzone, delle dinamiche dell’amore fra l’uomo e la donna; Un’idea, cavallo di battaglia dell’artista, scritta nel 1972 ma attualissima ancora oggi, come tutto il già citato album “Dialogo fra un impegnato e un non so”, che contiene altri grandissimi pezzi come Lo shampoo e La libertà; infine, L’illogica allegria, pubblicata nel 1980, il cui testo partendo, come spesso accade, dal “mondo che va in rovina”, guardato il più delle volte cinicamente, tiene però la porta sempre aperta alla sorpresa, alla speranza che, come un bel giorno, possa arrivare una salvezza che renda felici.

Appartenenza, amore, politica e presente sono quindi le quattro parole chiave dei quattro appuntamenti organizzati nella sua Milano, che vale la pena di tenere in grande considerazione, ottima occasione per avvicinare una voce ancora insuperata ed un artista a tutto tondo.