Dorothy Day nel 1916

Lavoro. La rivoluzione di Dorothy Day

A novant'anni dalla nascita del Catholic Worker Movement a New York, dialogo con Giulia Galeotti sulla più significativa esperienza del cattolicesimo sociale degli Stati Uniti e sui suoi fondatori
Ivo Paiusco

Novant’anni fa, il 1° maggio 1933, a Union Square (New York), nel corso della tradizionale manifestazione dei lavoratori fu diffuso il primo numero della rivista The Catholic Worker, venduto a un centesimo di dollaro. I fondatori erano Dorothy Day e Peter Maurin. Con il periodico prese vita l’omonimo movimento, divenuto la più significativa esperienza del cattolicesimo sociale degli Stati Uniti, che diede un forte contributo alla maturazione della coscienza sociale dei cattolici su lavoro, servizio ai poveri e cambiamento in senso cristiano della società. Ne parliamo con Giulia Galeotti, giornalista e responsabile delle pagine culturali dell’Osservatore Romano e autrice del libro Siamo una rivoluzione! Vita di Dorothy Day (Jaca Book, 2022).

Obiettivo del Catholic Worker è realizzare una società più giusta tramite persone che scelgono povertà volontaria e pratica delle opere di misericordia. Maurin, a cui si devono le basi concettuali della rivista, parte dalla constatazione che società e mondo economico e industriale si sono allontanati dal cristianesimo: superare tale separazione e riconciliare la vita con la fede è il suo obiettivo. Come s’inserisce in questa linea di azione la tematica del lavoro?
Il lavoro - inteso come dono e servizio del singolo alla comunità, il cui fine non è il guadagno ma la realizzazione cristiana - è fondamentale nel discorso di Maurin. Però il riferimento al lavoro nel nome del Catholic Worker si deve a Day, ennesima dimostrazione di come l’amicizia tra i due, così diversi e così in disaccordo praticamente su tutto, abbia dato frutti immensi. Lui propone The Catholic Radical (radicale è chi va alla radice dei problemi sociali e personali), ma lei non è convinta: a suo avviso, infatti, il nome deve fare riferimento al lettore a cui il giornale si rivolge, piuttosto che all’atteggiamento dei suoi direttori. Perché il Catholic Worker è il giornale di chi il lavoro non lo ha: poveri, nullatenenti e sfruttati. Il titolo è un manifesto, e già da solo disturba molti: al primo ascolto tanti lo associano erroneamente al comunista Daily Worker; altri invece lo trovano troppo cattolico, altri troppo poco. Certamente quello che lascia interdetti sia i fautori del capitalismo sia i comunisti è l’idea, fortemente radicata nelle Scritture, secondo cui dobbiamo guadagnarci da vivere con il sudore della nostra fronte, non di quella di altri. E che qualsiasi eccedenza vada condivisa con chi ne ha bisogno: il segreto del lavoro cristiano sta qui.

Secondo Maurin, per operare il cambiamento le persone hanno bisogno di un pensiero adeguato: da qui lo slogan “culto, cultura e coltivazione”. Del resto “cultura, carità e missione” sono tre aspetti fondamentali della vita cristiana secondo don Giussani. Possiamo dire che si tratta anche di tre capisaldi del pensiero del Catholic Worker al punto che tralasciandone anche solo uno non è possibile vivere integralmente l’esperienza cristiana?
Sì, altrimenti il tavolo non sta in piedi. Quando va a conoscere Day, ciò che Maurin ha in mente è un programma d’azione per realizzare una pacifica rivoluzione personalista, comunitaria e verde articolata nelle tre “c”: per culto intende le convinzioni fondamentali che legano insieme una società, per cultura la manifestazione di queste fondamentali credenze, per coltivazione lo sviluppo dell’attività economica locale sostenuta da una sana coltivazione della terra, a scopo non di lucro ma di sussistenza. A Maurin infatti non piacciono le rivoluzioni politiche: quella che sostiene è una rivoluzione della persona che si articoli in un giornale capace di raggiungere l’uomo della strada introducendolo agli insegnamenti sociali della Chiesa. Auspica che i vescovi aprano case dell’ospitalità ai bisognosi per la pratica delle opere di misericordia, esercitate da persona a persona, in opposizione alle procedure burocratiche statali; comunità agricole per curare la disoccupazione in modo che tutti, dagli intellettuali agli operai, possano tornare alla terra: è la «rivoluzione verde», come lui chiama il movimento agrario, decenni prima che l’espressione diventi di moda. Il mondo - sostiene Maurin (che cita molto spesso le encicliche sociali, in particolare la Rerum Novarum di Leone XIII, «il Papa degli operai») - si trova in un disastro terribile, ma la crisi sarebbe evitabile se le persone accettassero la semplice verità dell’incarnazione: Dio è venuto sulla terra per mostrare agli esseri umani come dovrebbero vivere. Per lui povertà, conflitto sociale e guerra vanno ricondotti al fatto che abbiamo portato l’eterno fuori dalla storia. Così quel che vuol fare è reintegrare l’eterno nell’esperienza umana. Maurin, che ha una fede assoluta non solo in Dio, ma anche nell’uomo, ha sentito la tremenda importanza di questa vita, ha sentito la dignità dell’operaio, la dignità del lavoro, l’uomo come “co-creatore”.

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Secondo il Catholic Worker il lavoro è una risposta al problema dell’alienazione in quanto si offre alla persona l’opportunità di mantenere sé e la propria famiglia in modo da essere liberi. Nella società capitalistica e dei consumi i lavoratori sono costretti a lavori che non concorrono al benessere comune. Questa concezione del lavoro può apparire anacronistica, adatta oggi solo a una minoranza. Qual è il contributo più attuale che viene dal Catholic Worker al cristiano impegnato nel lavoro?
Molti trovano strano che Maurin sia così preoccupato di aspetti come affari, economia, lavoro, capitale, maternità delle lavoratrici: lo è perché è convinto che questi debbano essere temi vitali della Chiesa, in una visione che si combinerà perfettamente con quella di Day. Perché per il Catholic Worker difendere disoccupati e lavoratori sfruttati è difendere la pace e l’amore; vivere bene il lavoro quotidiano è realizzare giorno dopo giorno la pace e l’amore, visione disapplicata novant’anni fa esattamente come oggi. Day fa molti esempi di come lavoratori e lavoratrici vengano continuamente traditi dallo Stato, dalle ideologie, dalla Chiesa. E, aggiungerei io, dalle persone di presunta buona volontà: non crede che questo tradimento continui a essere riproposto ancora oggi nella nostra civile Italia? Negli anni Quaranta la preghiera dei lavoratori dell’Association of Catholic trade unionists iniziava così: «Signore Gesù, carpentiere di Nazareth, tu sei un lavoratore come lo sono io». Quanto abbiamo perso negli anni Duemila di queste parole? Se è il lavoro a fagocitare la persona, e non la persona a dare un senso al lavoro, forse del carpentiere di Nazareth non abbiamo capito davvero nulla.