Uno degli incontri dell'Associazione Nonni 2.0.

Un'età che è pienamente vita

L'Associazione Nonni 2.0 compie dieci anni. Una serie di incontri mettono a tema l'importanza dei legami tra generazioni più anziane. E propongono iniziative di welfare
Giorgio Paolucci

Finché la salute li tiene in pista sono un’ottima risorsa come baby sitter, per accompagnare i nipoti agli allenamenti di calcio, in piscina o dal dentista; per aiutarli nei compiti a casa, per portarseli in vacanza. E poi non costano niente e sono sempre (o quasi) disponibili per dare una mano in casi di emergenza. Tanta roba… ma è tutto qui? In verità i nonni sono molto di più rispetto a questa visione in fondo un po’ strumentale. E allora alcuni di loro hanno deciso di scendere in campo, consapevoli di essere una risorsa per la famiglia e per la società, scegliendosi un nome che vuole comunicare la volontà di essere al passo con i tempi. Si chiamano Nonni 2.0, compiono dieci anni di vita, nel loro manifesto fondativo si definiscono «custodi della memoria, chiamati a essere attivi testimoni delle virtù e delle esperienze che, alla prova del tempo e della vita, si sono dimostrate utili e valide per affrontare le sfide personali e sociali del tempo presente».

Non si presentano come un sindacato della terza età, e neppure come gli evergreen che di questi tempi vanno di moda nelle campagne pubblicitarie, scattanti-sereni-sorridenti in un’epoca che chiede performance sempre più impegnative e vorrebbe cancellare il concetto stesso di fragilità, che invece appartiene alla natura umana. Sono consapevoli tanto dei loro limiti quanto del contributo che possono portare ai figli, ai nipoti e a una società che fatica a trovare le ragioni di una speranza solida e duratura.

In occasione del decennale di fondazione hanno svolto un lavoro di riflessione e approfondimento declinato in cinque incontri pubblici sul “Patto tra generazioni per una società più umana” in cui sono intervenuti ogni volta un nonno, un genitore, uno studente e un sacerdote. «Abbiamo messo a tema la dimensione personale e pubblica della condizione che viviamo - spiega l’avvocato Giuseppe Zola, presidente e tra i fondatori dell’associazione -. L’idea si è sviluppata tenendo conto anche dei ripetuti interventi di Papa Francesco - in particolare in occasione delle Giornate mondiali della gioventù a Lisbona nel 2023 - che ha più volte sottolineato l’importanza dei nonni come portatori di esperienza e di sapienza, e ha definito il legame tra nonni e nipoti come un bene per la società. Nulla di intimistico o consolatorio, quindi, ma il desiderio di rilanciare un rapporto che può risultare fecondo per chi lo vive in prima persona e rendere più umana una società in cui l’invadenza e lo strapotere della tecnologia rischiano di far dimenticare l’importanza fondamentale delle relazioni umane».

La mentalità prevalente considera la condizione degli anziani come qualcosa di residuale, che diventa prevalentemente oggetto di assistenza e di commiserazione, mentre ogni fase della vita è preziosa se considerata come tappa di un percorso. «Nel suo libro Le età della vita il teologo Romano Guardini descrive la specificità di ogni momento dell’esistenza a partire dalla fase prenatale, sottolineando il valore di ciascun momento dentro un filo rosso che tutti li unisce perché tutti contribuiscono a camminare verso un destino buono. L’età anziana, anche con tutte le sue fragilità, è pienamente vita. Non è un ritiro dall’esistenza in attesa che l’esistenza si esaurisca, ma un itinerario teso al suo compimento. È dunque un’occasione per vivere sempre e intensamente il reale», dice Zola.

L’Italia più di altri Paesi sta conoscendo le conseguenze nefaste dell’inverno demografico, che ha come radici profonde la paura del futuro e la perdita della speranza. Per loro stessa natura i nonni sono “testimonial” dell’importanza della procreazione, un tema da tutti riconosciuto per la sua centralità anche se troppo tardivamente, dopo che la libertà di non avere figli si è affermata come leit-motiv del pensiero dominante. «Uno dei motivi per i quali oggi si fanno pochi figli, almeno nel nostro esausto Occidente, è che stiamo perdendo la coscienza di essere parte di una storia che lega indissolubilmente tra di loro le diverse generazioni - ragiona Zola -. Stiamo perdendo la coscienza di questo legame e, con essa, il desiderio di vedere continuare questa storia, di contribuire a perpetuare nel tempo quella discendenza che, nella tradizione ebraica e poi cristiana, è sempre stata giudicata come una grande benedizione. Come recita il Salmo 128 della Bibbia: “Tua moglie sarà come vite rigogliosa nell’intimo della tua casa, i tuoi figli come rampolli d’ulivo intorno alla tua mensa. Ti benedica il Signore dal Sion, sì che tu veda Gerusalemme in fiore per tutta la vita, veda i figli dei tuoi figli”».

C’è dunque un legame da tenere sempre vivo perché è condizione di una continuità tra passato e presente, perché fa della memoria qualcosa che non attiene alla conservazione del passato ma è alimento per il presente. In un convegno organizzato dall’associazione, la professoressa Eugenia Scabini ricordava che «la generazione come rapporto tra generante e generato è talmente strutturale al nostro essere che la troviamo al centro della nostra identità: infatti i generanti sono sempre generati, i genitori sono sempre figli, chi ha dato vita alla nuova generazione è figlio della precedente». Pertanto, «fare i conti con la tradizione non è un optional, vuole dire fare i conti con la propria storia famigliare, considerarsi parte di un popolo e legati all’humus che l’ha nutrito. Non interroghiamo più la tradizione perché, in un clima di esasperato individualismo, ci sentiamo scollegati dalla generazione precedente, e la generazione precedente da parte sua si ferma ai cambiamenti che sono avvenuti nel nostro modo di vivere senza avere il coraggio di andare al cuore della costruzione della loro identità».

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L’aiuto che i nonni offrono a figli e nipoti nasce principalmente da un impeto di gratuità che è qualcosa di naturale, e sarebbe impresa ardua tentare di quantificare il valore economico delle prestazioni che vengono fornite. Ma è evidente a tutti la rilevanza di questo “welfare sotterraneo” che si muove come un fiume carsico in un Paese dove la dimensione familiare ha ancora una notevole incidenza. In questi anni l’associazione ha offerto un contributo di pensiero e di mobilitazione su alcune tematiche di rilevanza pubblica come la libertà di educazione e la questione del gender, e ha elaborato alcune proposte che potrebbero diventare oggetto di iniziative anche in chiave politico-legislativa. Ad esempio, la defiscalizzazione degli aiuti economici che i nonni danno alle famiglie dei propri figli e dei nipoti, la partecipazione su delega dei genitori alle assemblee degli organi collegiali della scuola a cui spesso i genitori non possono partecipare per motivi di lavoro, o la rivisitazione sul versante pensionistico dell’“opzione donna” in modo da permettere a molte nonne di svolgere la loro naturale ed essenziale funzione.

C’è molta carne al fuoco, tante direzioni di lavoro che originano dalla valorizzazione di una realtà viva e vitale. Altro che nonni in disarmo, dunque. Altro che “umarell”, come si usa chiamare gli anziani che osservano gli operai al lavoro nei cantieri. Nel cantiere loro vogliono lavorarci, e continuare a essere protagonisti della vita. Perché, per dirla con Chesterton, «la vita è la più grande delle avventure, ma solo l’avventuriero lo scopre».