Monsignor Lebeaupin saluta alcuni <br>bambini durante l'inaugurazione.

NAIROBI Dieci anni di una scuola sui generis

Dopo la scuola elementare, ecco l'asilo: la "Little Prince" di Nairobi festeggia i suoi dieci anni di vita inaugurando una nuova struttura. Per continuare la storia di un luogo dove ai bambini si insegna la Bellezza
di Leonida Capobianco

C’erano più di trecento bambini e quasi 150 genitori all’inaugurazione dell’asilo “Little Prince” di Nairobi, lo scorso 6 marzo, in una festa cui ha preso parte anche il Nunzio Apostolico per il Kenya, monsignor Alain Lebeaupin. I bambini hanno accolto il Nunzio con balli, per poi accompagnarlo alla visita di una mostra allestita per raccontare la storia della scuola “Little Prince”, l’istituto costruito con la collaborazione di Avsi presso lo slum di Kibera (Nairobi) e che proprio in queste settimane compie dieci anni di vita, e dalla cui storia è nato, appunto, il nuovo asilo. I saluti del preside e di Monsignor Lebeaupin e la benedizione della nuova struttura hanno concluso la giornata di festa. Ecco come Leonida Capobianco, che da 18 anni segue i progetti di Avsi in Kenya, racconta questi dieci anni di vita di una scuola che «ha la pretesa di proporsi come una comunità, ancor prima che come istituzione».

Sei anni fa visitando il luogo dove sarebbe stata costruita la nuova sede della scuola “Piccolo Principe” (esisteva già da 4 anni) con un carissimo amico italiano, di fronte alla mia spiegazione del progetto che, per motivi di sicurezza, di sicuro non sarebbe stato bello, così da non dare nell’occhio in una realtà troppo povera, mi sono sentito dire: «Fai come vuoi, ma non scordarti che noi apparteniamo a quella civiltà nata dai benedettini che ha fatto le cattedrali d’Europa... In una realtà come questa così brutta devi costruire una cosa bella che non sia meno di questa tradizione... I bambini prima del cibo e il vestito devono vedere la bellezza che nasce dalla fede». Questa è diventata la sfida, anche se all’inizio c'era qualche resistenza. Non mi sembrava una cosa “ragionevole” correre rischi come nel 1992 e nel 1993, quando si stava completando la costruzione di un’altra scuola, la St. Kizito Vocational Training, e ci avevano attaccati alcuni briganti in cerca di soldi. Inoltre, iniziavamo una nuova avventura dalla parte opposta della città, dove non abitava nessuno di noi volontari. Tutto sarebbe stato sostenuto dai nostri colleghi kenioti e dai genitori dei bambini che, via via, si sarebbero iscritti.
Siamo partiti nel settembre del 2004, e oggi, dopo sei anni, abbiamo una scuola che accoglie ogni giorno più di 300 bambini, tra asilo ed elementari. La stragrande maggioranza viene dal vicino slum di Kibera e appartiene a famiglie poverissime. Alcuni senza uno dei genitori, perché sono morti (di AIDS in molti casi) o perché se ne sono andati. Ma molti sono orfani, e sono i parenti a fargli da genitori. Ci si può facilmente immaginare il dramma affettivo che una situazione del genere può generare e le conseguenze in termini di percezione della vita e del suo senso. La “Little Prince” ha la pretesa di proporsi come comunità, ancora prima che istituzione, che cerca di rispondere a questo bisogno umano..
Questo piccolo, grande gioiello nello squallore di Kibera non è mai stato attaccato dai briganti, e, addirittura, è stato protetto dai genitori stessi durante le violenze del gennaio 2008, quando gli scontri tra le etnie Kikuyu e Luo hanno fatto “terra bruciata” di tutto quanto c’era intorno alla struttura. Il “tam-tam” tra i genitori dei bambini avvisava costantemente i responsabili dell’istituto di possibili pericoli.
Ma un altro fiore sta sempre più sbocciando da quest’opera: l’amicizia tra gli insegnanti e suor Felicita, insegnante di inglese e kiswali, ha innestato il desiderio di incoraggiare sempre di più bambini a scoprire che cosa c’è dietro a quella bellezza che li prende quando entrano in questo luogo. Due anni fa la suora, con il supporto anche di don Alfonso Poppi, missionario della Fraternità San Carlo, ha dato inizio al catechismo, e molti bambini con il consenso dei genitori hanno cominciato a frequentarlo. Lo scorso anno si sono battezzati trenta di loro. Quest’anno una settantina tra coloro che si battezzeranno, riceveranno anche Comunione e Cresima.
Ieri, uno dei maestri, appartenente alla Chiesa anglicana, ha espresso il desiderio di sposarsi in Chiesa e di battezzare i suoi due figli: «Io trovo che voi vivete una cosa più bella di quella che vivo nella mia Chiesa - ha detto -. Una cosa dentro cui mi sento meglio... Sperimento che mi è più vicino quello che vivete voi, per questo voglio farmi cattolico».
Una scuola sui generis, dove si entra in classe per imparare a leggere e a scrivere, ma facendo questo si incontra Cristo. Non era forse una “profezia” quella dell’amico italiano? Come ai tempi dei benedettini, quando pur vivendo in baracche, la gente comune collaborava a costruire il tempio del Signore. Il più bello possibile.