PORTOFRANCO Samir, Abdel e la vera convivenza
Fine aprile, quindici docenti a pranzo con l'islamologo gesuita. Tante domande, e il bisogno di comprendere come stare di fronte ai nuovi studenti musulmani: «Quello che tu porti può essere la salvezza anche per loro»«La nostra testimonianza è che Dio è amore»: Samir Kahlil Samir, gesuita settantenne e professore di Cultura araba all’Università Cattolica di Milano, non usa mezzi termini per individuare la differenza tra cristianesimo e islam, durante un pranzo organizzato a fine aprile con alcuni professori e universitari impegnati a Portofranco (Centro d’aiuto allo studio di Milano, v. Tracce 3/2010). Un posto dove ogni giorno passano decine di studenti, tra cui sempre più musulmani, e dove era necessario chiarirsi le idee su come stare di fronte a questi nuovi studenti.
L’idea del pranzo l’hanno avuta due studentesse di Lettere della Cattolica, Elisabetta e Lucia: è qualche mese che frequentano il corso del professore e hanno deciso di invitarlo a pranzo, avendo un riscontro diretto con quanto lui racconta a lezione proprio a Portofranco, dove sono impegnate un pomeriggio alla settimana. «Ripeteva spesso che servivano dei centri in cui potesse avvenire uno scambio tra italiani e arabi, così da poter aiutare quest’ultimi nell’integrazione» dice Lucia. «Mi è subito venuto in mente Portofranco: volevo farglielo vedere».
Così a tavola c’erano una quindicina di persone: le domande erano tantissime, sorte dalla convivenza con un mondo che sempre più si avvicina a quello occidentale. C’è stato chi gli ha raccontato di due ragazzini che, legati da una grande amicizia coi responsabili del centro, hanno chiesto di poterli seguire partecipando al Triduo pasquale di Gs, e, di fronte alla bellezza della compagnia di quei giorni, dicevano di aver capito che cos’è l’amore per Cristo. Di fronte a ciò, Samir ha sottolineato ancora la differenza tra le due religioni: «La dimensione gioiosa e comunitaria non sempre è presente nell’Islam. Dio è lontano, si adora, si ubbidisce a chi ci trasmette i suoi comandi: l’imam». Un responsabile chiedeva allora se era giusto concedere agli studenti gli spazi per la preghiera: alcuni studenti gli avevano chiesto se potevano pregare lì durante i pomeriggi di studio. Risposta del gesuita: «L’Islam non obbliga a interrompere quello che si fa per pregare. Puoi sempre farlo dopo. Chi fa richieste di questo genere o è ignorante della sua religione o sfrutta la nostra ignoranza». O ancora, ci si chiedeva quale fosse il modo migliore per rispettare le loro tradizioni e i loro dettami. «Il messaggio del Vangelo è il tesoro più prezioso che abbiamo» ha incalzato Samir. «Se io ho scoperto questo, come posso non dirlo all’altro? Rispettare l’altro non vuol dire dargli solo lezioni di matematica e non parlargli di Cristo. La visione cristiana è condividere con gli altri ciò che abbiamo, come Dio ha condiviso la nostra vita». Le domande si susseguono, accompagnando tutto il pranzo: «Professore, a volte non capisco che cosa io posso portare di me a loro: mi blocco perché sono musulmani e ho paura di forzare qualcosa». Samir: «Non puoi negare che quello che tu porti è già salvato, e che quindi possa essere la salvezza anche per loro».
Il pranzo si prolunga più del previsto, iniziano ad arrivare i primi ragazzini: notano questo personaggio a tavola. Qualcuno, stupito dalla grande attenzione con cui quei professori stanno ascoltando, si mette addirittura contro la porta ad origliare. Ed è proprio uno di questi ragazzi, Abdel, che prende il gesuita alla fine del pranzo e lo porta a fare un giro per i corridoi di Portofranco, spiegandogli a cosa serve ogni singola aula: pochi attimi e intorno a loro due si forma un capannello di studenti extra-comunitari. A tutti Samir fa domande interessato, rigorosamente in arabo. «Era prevista una visita al centro, ma non così lunga», conclude Lucia. «Alla fine i ragazzi non lo volevano più lasciare andare via. Si è dovuto pure venir meno a una consuetudine del Centro, e lasciarli parlare in arabo. Le ragazze erano le più stupite: sono rimaste impressionate dall’attenzione e dall’entusiasmo che questo settantenne aveva per loro».