Perché si forma l'arcobaleno?

Molta osservazione e molto ragionamento

Una due giorni di studio con professori universitari e studenti delle superiori. Tra arcobaleni e paracadutisti. Per scoprire la vera natura della ricerca. E perché, per conoscere, vale la pena far fatica
Davide Ori

Molta osservazione e molto ragionamento. Perché rinunciare a qualcosa? Lo scienziato è così. Curioso per natura, ma non ha paura della fatica del tentativo di capire i fenomeni. «L’arcobaleno mi ha sempre colpito», racconta Giuseppe. Da quello stupore ha voluto studiare come nascesse quella striscia colorata. Ma non poteva aspettare il prossimo temporale. Allora ha chiesto ai pompieri di poter azionare la pompa dell’acqua per ricreare uno spettro di luce. Dall’osservazione del fenomeno e dallo studio ha scoperto cosa c’è sotto a quel fenomeno. «La bellezza ora è arricchita dalla mia conoscenza». Oppure un gruppo di studenti che per studiare da vicino il moto del paracadutista ha contattato uno che lo fa di mestiere: un militare della Corona inglese…

Esperimenti, slides e formule. Studenti e professori. Non è mancato proprio niente alla nona edizione di ScienzAfirenze, il Convegno che dal 2004 porta a Firenze trecento persone, tra relatori e ragazzi di Istituti superiori da tutta Italia.

Tutto è nato dieci anni fa da un gruppo di professori che si è domandato cosa vuole dire insegnare scienza. Da questo spunto anche quest’anno in una cornice elegante e professionale, come l’Aula Magna del Polo delle Scienze sociali di Novoli, si sono alternati tra mattina e pomeriggio le relazioni di professori universitari e le tesine portate dai giovani scienziati. Il titolo della due giorni, 29 e 30 marzo, è stato Modelli alla prova. La dimensione sperimentale nello studio delle scienze della natura.

«Il Convegno ha messo l'accento sull'elemento “sorpresa” nell'indagine scientifica» racconta Giuseppe Tassinari, direttore di ScienzAfirenze: «e ha sottolineato che la realtà, il "dato", precede ogni nostra speculazione». Tutto è partito giovedì dalla relazione Esperimento e amore della realtà di Giorgio Dieci, docente di Biochimica all'Università degli Studi di Parma, che ha cominciato la sua lezione proiettando quadri di volti e paesaggi, accompagnati poi dalle note di musica classica. «La bellezza della scienza è più dura. Bisogna lottare per scoprirla come Giacobbe con l’angelo. Non bisogna arrendersi mai, neanche dopo una ferita».

Ma vale la pena fare tutta questa fatica? Passare l’intera vita ad analizzare una molecola? Questa è stata la sfida dei due giorni di studio. «Nei ragazzi, come nei professori, era evidente la passione per quanto si stava studiando» osserva Tassinari: «C’è una bellezza dentro il percorso di conoscenza anche se la realtà è spesso ostile allo scienziato, alla sua prima ipotesi. Ma la realtà risponde se interrogata nel modo giusto».

Già nel primo pomeriggio sono entrati in scena i ragazzi con i loro esperimenti nell’Exhibit time: dal modello all’esperimento. Questa è stata la grande sfida del Convegno: passare dalla formula che descrive le modalità di rifrazione, del moto di una pallina, del modo in cui mangiano le piante carnivore alla pianta carnivora, alla pallina del fratellino… «Così la conoscenza non è più una semplice spiegazione, ma un incontro con le cose e con dei maestri», conclude Tassinari: «Alla fine il problema per noi professori non è solamente spiegare formule e modelli, ma c’è il bisogno di tornare continuamente a lottare con la realtà, come Giacobbe, anche dopo una sconfitta. E ripartire».