Dove il mondo può ancora sorprendere
Un convegno all'Università Cattolica di Milano per celebrare i quarant'anni della scuola paritaria milanese. Era nata nel 1972 per otto bambini «da una sovrabbondanza di vita». Ma oggi, a conti fatti, è per tutti«Ma chi siamo noi?». È con questa domanda che aspetto, nell’Aula Magna dell'Universita Cattolica, l’inizio del convegno “Chi educa cresce”, organizzato per festeggiare i quarant’anni della scuola paritaria La Zolla. Oggi è la scuola dei miei figli, e negli anni Settanta, quando è nata dalla spregiudicatezza di un gruppetto di famiglie milanesi, lo è stata di mio marito e delle sue sorelle. Mi sento a casa in fondo, eppure quando in apertura viene letto il messaggio inviato da Julián Carrón, quella domanda mi mette davanti agli occhi una realtà inedita. «Dobbiamo essere stupefatti e grati perché non è ovvio esserci ancora. Dobbiamo guardare bene dentro, per sorprendere i fattori che hanno sfidato il tempo. Come mai la scintilla che ha provocato l'inizio di tutto non si è ancora spenta? Scoprirete che la risposta non può essere trovata facendo la somma degli impegni, dei sacrifici e dei risultati del vostro lavoro. C’è un quid misterioso. L’inizio è una presenza che si impone, il cui scopo è l'incremento della persona».
Sono parole che vertiginosamente ricompongono il quadro di quello che degli albori mi hanno sempre raccontato e quello che tutti i giorni vedo io stessa andando a scuola. Nel 1972, la prima classe d’asilo, ricavata nella parrocchia di don Antonio Villa, era formata da otto bambini che arrivavano dai quattro angoli della città, con il piatto e il bicchiere per il pranzo nello zainetto; oggi gli alunni sono 1.100, distribuiti in quattro sedi. Anche dentro a tanta strada ti accorgi, mentre magari sfrecci nei corridoi della scuola o sfogli i quaderni dei tuoi figli, che quel fiotto di novità continua straordinariamente ad accadere. «Se andiamo all’origine vediamo che ciò che ha mosso i primi è stata una passione per l’umano, loro e dei propri figli, così come don Giussani glielo aveva fatto guardare», spiega Lorenza Violini, ordinario di Diritto costituzionale e membro del Cda della scuola, introducendo la tavola rotonda: «E poi una passione per la civitas, perché avevano capito che educare non era un optional per la società, ma qualcosa di fondante». Da quella tensione è nato il coraggio di inventare una cosa nuova.
Quell’ingenua baldanza di allora sfida oggi il presente e la sua crisi: Mario Calabresi, direttore de La Stampa, con il suo intervento, fa i conti esattamente con questo aspetto. «Il 1972 non era certo un periodo più semplice di quello che viviamo ora. Si era però più attrezzati per combattere. Oggi, invece, la gente si è assuefatta. E questo in qualche modo arriva ai ragazzi, quando diciamo che non c’è più spazio per i loro talenti, quando abbassiamo le loro aspettative. Quando, insomma, passiamo loro l’idea che il mondo non ci può più sorprendere». Mentre parla, penso a mio figlio appena approdato alle medie, accolto il primo giorno, oltre che da i compiti a casa, da una frase di Matisse che campeggia ovunque: «Ogni cosa tra le mani è un capolavoro». Come deve essersi sentito stimato e come deve aver riavvertito la forza del suo desiderio! «In Italia manca la nostalgia di futuro», prosegue Calabresi: «Dobbiamo restituire ai ragazzi un po’ di fame e un po’ di fatica per poter favorire quell’esperienza di soddisfazione che cercano».
Anche Giuseppe De Rita, presidente del Censis, legge nella mancanza di educazione del desiderio lo stallo della società di oggi e si chiede se in un momento storico così difficile «desideriamo veramente rilanciarci o solo riposizionarci. Senza la ripresa di un nuovo vigore, la realtà italiana resta debole e i giovani rimangono soli, soli senza solitudine. Occorre, come diceva Levinas, mettere “altro” dentro la vita dei giovani, perché il desiderio e un senso di vocazione rinascano».
È esattamente la stessa dinamica ravvisata da Marco Bersanelli, astrofisico e presidente della Fondazione Sacro Cuore, nella scelta di quelle famiglie quaranta anni fa: «Non è stato l’esito di un’analisi o di considerazioni intelligenti, ma di una sovrabbondanza di vita che don Giussani aveva comunicato loro. Ecco perché c’è ancora futuro: c’è un altro che entra nella tua vita e crea uno spazio diverso. La novità è nella profondità dell’io, che emerge solo in un incontro. Lo scopo della scuola cattolica è la generazione di un soggetto pienamente umano, in grado di usare tutta la sua ragione e tutta la sua libertà».
Incrocio lo sguardo delle maestre della scuola dell’infanzia sedute in platea, e le rivedo nelle loro classi, chinate su quei mille piccoli gesti quotidiani, come far lavare le mani o far guardare fuori dalla finestra perchè è arrivato l’autunno. Tutto è teso a comunicare ai bambini questa percezione di sé e questa infinita simpatia per il reale.
Valentina Aprea, assessore all’Istruzione per la Regione Lombardia, racconta del suo impegno a portare in politica i temi della libertà di educazione e della sussidiarietà, riconoscendo alla Zolla unicità e validità: «Siete un modello per l’Italia. Dobbiamo chiederci come far crescere esperienze come la vostra anche se la strada per il riconoscimento economico è tutta da combattere. Oggi siamo al paradosso: sono le scuole paritarie a sostenere lo Stato, svolgendo un servizio pubblico e istruendo centinaia di migliaia di studenti senza gravare sulla scuola statale».
È l’attore Giacomo Poretti a soffiare l’ultima candelina sulla torta. Racconta di sé e della sua non carriera scolastica: fuggito, grazie alle sue doti di attore, dalle grinfie delle suore dell’asilo, trascorsi i cinque anni di elementari in balia di un maestro narcolettico, si è ritrovato a fare le serali di un istituto professionale dove non ha mai preso il diploma. «Per di più mi sono ritrovato a lavorare con due analfabeti! I professori di Aldo, nella sua licenza di scuola media, hanno scritto “attitudini: nessuna”». Ma è guardando all’esperienza di suo figlio alla Zolla che capisce che il talento non è quello del genio e dell’artista, ma è il nostro desiderio. «È come Dio ci ha fatti e ci ha fatti assetati di infinito, quindi tutti abbiamo attitudini infinite. Anche Aldo».
Tornata a casa, a fine convegno, aiuto mio figlio, quarta elementare, a risolvere delle operazioni in colonna. Tra sbuffi e lamenti riusciamo faticosamente a chiudere il quaderno. «Ma lo sai che se una cosa non tocca te, non diventa tua, non è di nessuno?», gli dico decisa. «Chi te l’ha detto?», mi replica perplesso. «Ce lo ha ricordato oggi Carrón; è una frase che don Giussani disse tanti anni fa agli insegnanti. Ma secondo me vale anche per un bambino di nove anni che sta imparando a far di conto». «E invece, se tocca me, per quanti potrebbe essere?», mi chiede a bruciapelo, con improvvisa propensione alla matematica. «Per tutti, Tommi».