Un momento della vacanzina.

Scalatori "insoliti" sulle cime del Vajolet

Mazzin di Fassa. Dal 29 al 4 luglio alcuni ragazzi della medie hanno trascorso qualche giorno insieme. Fra gite, giochi e canti. Tante le scoperte. Come Francesco: «Io che di solito amo stare sul divano, ho visto che vale la pena vivere»
Francesco Vianello

Come si può raccontare quello che ci è successo a Mazzin di Fassa, dal 29 giugno al 4 luglio?
È impossibile sintetizzare l'accaduto, ma mi sembra che il filo che ha intrecciato i fatti, i volti, gli imprevisti (molti!) e le scoperte disarmanti di questa settimana di vita insieme sia questo motto di sant’Ignazio: «Ad majorem Dei Gloriam» (per la maggior gloria di Dio). È proprio sant’Ignazio di Loyola che abbiamo incontrato nelle letture del mattino e che ci ha fatto compagnia in ogni momento alla scoperta di che cosa possa rendere noi e il nostro vivere "non comune".

«La gloria di Dio è l'uomo che vive», diceva don Giussani: il camminare, il giocare, il fare festa insieme, il cantare, seguendo la bellezza che Gabriele, Marta, Mirto e Andrea ci offrivano, è stata la scoperta sempre più consapevole, man mano che passavano i giorni, di essere uomini "non comuni" perché preferiti, amati, suscitati, rivoltati, provocati, spiazzati da ciò che Dio ci mette davanti affinché la Sua Gloria sia più grande, a beneficio di chiunque abbia la semplicità per accorgersene. Questa semplicità ai ragazzi delle medie non manca di certo, come si vede in tutto ciò che fanno e che raccontano.

Un esempio. Don Giorgino il mattino della gita ci ha provocato a guardare quali sono le gioie provvisorie e cosa invece è capace di riempire davvero il cuore, di soddisfarlo, di pacificarlo. Il sentiero è duro, forse troppo, e la fila lunga e lenta. Le circostanze sembrano sovrastare quel silenzio in cui la maggior parte di noi è immerso, ma la provocazione di don Giorgino è potente e ci sfida tutti.
Ci inoltriamo sempre di più tra le maestose torri del Vajolet, alla volta del rifugio Re Umberto I. Io sono in alto, preoccupato che la gita sia troppo lunga o troppo faticosa (l’ho pensata io!). Guardo. Quello che vedo accadere è sorprendente: ognuno, senza censurare niente di quello che è (paura, spavalderia, divertimento, incoscienza), sta seguendo. Non c'è uno che non si fidi. Non c'è uno che non abbia accettato la sfida di vincere la sua misura, qualunque essa sia. Alcuni immediatamente, altri con fatica, altri ancora cedono solo quando siamo su.
E anch'io la vinco: ci fermiamo. Arrivare su è troppo e per la neve non siamo attrezzati; bisogna cambiare ancora uno schema che mi sono messo in testa per paura che quel cammino fino al Vajolet fosse troppo poco per questi ragazzi.

Ecco cosa mi raccontano alla sera. Beatrice: «Mi ha colpito che dentro una compagnia anche la montagna, che a me non è mai piaciuta, mi abbia stupito. E poi mi ha colpito quello che ha detto don Giorgino su Gesù che ci è compagno di strada perché io oggi l'ho visto, nelle facce inaspettate dei miei amici».
Martina: «Oggi quando siamo arrivati a metà e una mia amica si fermava, ho pensato di stare lì con lei. Ma poi mi sono fidata e sono arrivata su. Salendo mi sono accorta di quanto fossero belle le montagne e mi sono goduta anche la discesa che all'inizio mi faceva paura. Mi sono anche divertita».
Gaia: «La discesa era il pezzo più difficile e ad un certo punto la mia amica Bea non c'era più, io sono caduta e un ragazzo che non conoscevo mi ha aiutato ad alzarmi. Mentre mi alzavo mi sono chiesta: chi mi avrebbe mai portato in un posto così? Mi avete aiutato a scoprire una cosa nuova».
Giacomo: «Io ci sono andato tante volte in queste montagne eppure salendo mi è successo quello che ha detto don Giorgino: mi sono stupito di quanto fossero belle, è come se le avessi scoperte oggi».
Chiara: «Anch'io non volevo più andare avanti ma guardando le montagne mi sono detta che Qualcuno le aveva fatte per qualcuno e io volevo vedere cosa Dio aveva fatto per me. Salendo aiutavo una mia amica a salire e questo darle una mano alla fine ha aiutato me: sono più contenta. Anche questo mi ha stupito».
Beatrice: «Quando siamo arrivati in "cima" ho guardato giù e mi sono resa conto di cosa avevo fatto. Nonostante la fatica e nonostante la scomodità mi è piaciuto».
Chiara: «All'arrivo mi sono seduta un po' arrabbiata e poi guardandomi intorno mi sono stupita, ho capito che non era scontato che fossi lì e che ci fossero quelle montagne. Così nel canto ho cantato felice, e mi sono goduta di più anche la discesa».
Francesco: «Io, che di solito amo stare sul divano di casa mia, ho scoperto quanto valesse la pena di venire: mi sono gustato un "casino" il panorama e fidandomi di voi, di don Giorgino e dei miei amici mi sono chiesto di guardare le cose belle che succedevano. Sono tornato contento».
Mi colpisce la loro semplicità di riconoscersi vivi e cambiati, in piccoli o grandi aspetti. In queste loro parole c'è la più grande scoperta a cui ci ha richiamato attraverso la sua testimonianza Stefano, che nella malattia della mamma, sta facendo esperienza di una letizia e di una fede che ogni giorno gli restituiscono tutto quello che gli capita come un segno della volontà e della gloria di Dio.
Ci diceva Stefano: «La mia giornata diventa bella proprio quando succede qualcosa che non dipende da me. Per esempio mia mamma stamattina, quando sono andato a salutarla e aiutare la badante a girarla, aveva uno sguardo di una tenerezza! E mi ha sorriso. Questo è stato il regalo di stamattina. Sono andato al lavoro carico. Mi ha cambiato la giornata». E poi, ancora, ci ha aiutato a comprendere il senso della nostra compagnia: «Aiutarci a vivere con la coscienza che c'è un Altro che ci vuole bene. Occorre scegliere di fare la volontà di Dio, perché la volontà di Dio è la nostra felicità. Io lo vedo in mia mamma, che facendo la volontà di Dio sta portando una luce nuova nel mondo».
Stefano, come sant'Ignazio e san Francesco Saverio, ci indicano la strada: la promessa è la felicità, il cui desiderio ci ha portato in vacanza, l'orizzonte è il mondo.

Quando anche la fatica, la sconfitta o la vittoria, l'amicizia, il richiamo a cantar bene o a seguire sono occasione per stupirsi di una novità capace di rendere la giornata piena e il cuore contento, facciamo esperienza della positività della vita che solo la compagnia di Gesù sa darci, come diceva sempre Stefano: quello che cambia il nostro cuore è un Altro, perché noi non possiamo.
E questi giovani uomini non comuni stanno portando una luce nuova nel mondo, come ci ha testimoniato la gente del paese che ha partecipato alla festa, conquistata da quell'insistente invito di alcuni "urlatori".
«Si vede proprio qualcosa di eccezionale in questi gruppi», dice un signore romagnolo che ha ceduto a quell'invito ed è uscito dalla sala commosso dicendo di voler incontrare quella gente del suo paese «che fanno come loro cose di questo tipo e in loro ho visto la stessa bellezza che ho visto qua». Convertito a 75 anni, e noi con lui.
Il Signore fa accadere tutto perché cresca la Sua Gloria che è la nostra felicità vera, quella che non passa e che muove.
Si ritorna a casa pieni e con una speranza nel cuore: continuare ad accorgersi che la vita è bella e che Gesù ci vuol bene.