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«Quello scavezzacollo mi ha ribaltato tutto»

Dai libri di scuola ai giochi con centocinquanta ragazzini. Monica ha scelto di coinvolgersi nell'oratorio estivo della sua parrocchia. La provocazione di don Alberto e il rapporto con Marco, seconda media. Ecco perché «sono contenta di stare con loro»
Paola Bergamini

«Ciao Monica. Preparati che domani a palla mondiale vi stracciamo!». «Vai a casa, che per oggi non ti voglio più vedere». Il ragazzino corre via ridendo. È l’ultimo. Monica si guarda intorno per essere sicura che non ce ne sia ancora qualcuno in giro, chiude il cancello dell’oratorio e si accascia sulla panchina. Un po’ di riposo alla fine di una giornata infuocata, e non solo per il caldo.
Solo una settimana prima era sui libri per le ultime interrogazioni e adesso eccola lì a far giocare centocinquanta ragazzini delle medie scalmanati in questa parrocchia alla periferia di Milano. Un’amica le aveva detto: «Ma chi te lo fa fare? Sei in vacanza. Goditela!». «Non hai capito. Me la godo alla grande. Nessuno mi obbliga. È il terzo anno che faccio l’oratorio estivo con i miei amici. E sono contenta di stare con quei ragazzi». Certo, a volte fanno perdere la pazienza.
«Tutti gli educatori qua per la riunione», la voce di don Alberto la sveglia dai suoi pensieri. Nel salone sono una ventina, qualche faccia nuova. Stravolta. «Ragazzi, una cosa per me è importante in questi giorni: provare a capire cosa c’entra la fede con quello che facciamo. Dall’organizzare i giochi, al tenere l’ordine, al cantare. L’oratorio non è un centro estivo dove si fanno tante belle attività. Stare con questi ragazzi devi aiutare noi a vivere la fede. E adesso vediamo il programma di domani».

Due giorni dopo, in fondo al cortile Monica distribuisce i ghiaccioli per la merenda. «Mangiate, perché poi il don ci aspetta in chiesa per la preghiera». Da dietro una voce dice: «Io non vengo». La ragazza si gira per vedere chi ha parlato. «Scusa?». «Ho detto che io non vengo». Non poteva essere che lui: Marco, seconda media. Uno dei più irrequieti. «E perché?». La guarda con aria di sfida: «Perché dovrei venire? Dio non ha fatto niente di buono per me. Io non prego». Monica sa che lui come altri di quei ragazzini ha situazioni familiari drammatiche, che viene in oratorio perché obbligato. Non sa cosa rispondere. Il tempo stringe, sono quasi tutti entrati. Lo prende per mano con forza: «Tu qua da solo non ci rimani. Avanti, vieni con me».

Entrano per ultimi. Monica lo spinge davanti, in seconda fila. «Siediti e non disturbare». Lei si mette in fondo per controllare e zittire chi continua a parlare. Don Alberto legge l’episodio di Zaccheo. Poi si siede sul gradino dell’altare e chiede: «Avete sentito che Gesù guardò Zaccheo dal basso. Non è la prima volta che Gesù guarda dal basso i discepoli e chi incontra. Secondo voi perché c’è scritto dal basso?». Silenzio. Poi una mano si alza. «Perché dice di essere “servo”. Vuole essere suo servo». Monica guarda chi ha parlato: è proprio lui, Marco. I ragazzini parlano, qualcuno ridacchia, ma lei non rimprovera nessuno. Le tornano in mente le parole del prete sulla fede. In quei giorni era così indaffarata a tenere l’ordine, a organizzare, a fare, che non ci aveva pensato più di tanto: in fondo lei “sapeva già” che cosa è la fede. Prima di entrare guardava Marco dall’alto al basso. E adesso quel ragazzino le ha ribaltato tutto. «Si è fatto servo». Quello scavezzacollo le era passato davanti. E l’aveva rimessa di fronte a Gesù.