Il liceo scientifico Einstein di Milano.

Dalla Colletta al Kazakistan per "fare" la scuola

Un'insegnante al lavoro con gli studenti del Collettivo, in vista della cogestione. Le prime diffidenze, scalfite da una domanda: «Perché lo facciamo?». Il risultato è una collaborazione che stupisce. E in cui si può discutere, insieme, proprio di tutto
Paola Carleo

Nella mia scuola, il liceo Scientifico Einstein di Milano, viene organizzata ogni anno la cogestione. Non sono favorevole a questa iniziativa ma ho pensato che valesse la pena partecipare, perché poteva comunque essere un'occasione educativa. Così l'anno scorso, quando il preside ha chiesto al collegio docenti chi volesse partecipare alla commissione organizzatrice, ho deciso di aderire.

Alla prima riunione penso proprio di aver sbagliato tutto. Nella commissione ci sono quattro colleghi ex sessantottini, che credono ancora di fare l’occupazione come una volta, e una decina di ragazzi del Collettivo. L’unica cattolica, per giunta del movimento, sono io, e tutti mi guardano con diffidenza. Inoltre, essendo una persona timida, sono una frana nelle discussioni e poco preparata sull'attualità. Insomma, proprio inadeguata alla situazione: quello che penso è di affidarmi alla Madonna. E, mentre si sta facendo una discussione su come organizzare un collettivo sul lavoro invitando Susanna Camusso, nell’imbarazzo generale propongo di invitare insieme a lei qualcun altro che parli del rapporto tra giovani e lavoro da un punto di vista differente.

I colleghi si oppongono con determinazione, e io domando: «Ma qual è lo scopo per cui siamo qui? Qual è lo scopo della cogestione? Impartire un pensiero unico o aprire l’orizzonte dei ragazzi?». Inaspettatamente gli studenti si entusiasmano all’ipotesi di un dibattito e di un confronto di idee. Il giorno dopo, nei corridoi, il capo del Collettivo, nonché rappresentante d’istituto, mi ferma e mi dice: «È davvero interessante poter mettere a confronto idee diverse: grazie per il suo aiuto». Da quel momento è nato un rapporto nuovo con quei ragazzi: non ero più l'ostacolo da evitare, ma una che voleva costruire con loro.

A parlare del lavoro è venuto un sindacalista mio amico, mentre Susanna Camusso non ha accettato l’invito. E poi: abbiamo chiamato don Edo Canetta per parlare dei gulag in Kazakistan. Abbiamo affrontato il tema dell’eutanasia in un dibattito tra un docente ateo e un medico cattolico di Medicina e Persona. Abbiamo fatto persino un collettivo sulla caritativa. L’idea è nata da una ragazza musulmana che da tempo segue con fedeltà il gesto e che un giorno mi ha detto: «Prof, perché durante la cogestione non parliamo di quello che facciamo con portatori di handicap ogni quindici giorni all’Olivo?». Una proposta da non perdere, per cui ci attiviamo da subito. I volontari della caritativa sono un gruppetto variegato: alcune ragazze atee, qualcuno del Collettivo, qualcuno che frequenta l’oratorio e un solo giessino. Insieme realizzano persino un video in cui si intervistano a vicenda, aggiungono musiche e brani de Il senso della caritativa di don Giussani, di cui abbiamo letto qualche passo insieme.

Quest’anno, quindi, ho deciso di mettermi ancora in gioco e partecipare alla commissione. La cogestione si è rivelata nuovamente una grande occasione per proporre ai ragazzi un giudizio diverso da quello che la mentalità comune ha sulla realtà. Quando, ad esempio, una studentessa propone di invitare qualcuno dell’Arcigay per parlare dei diritti degli omosessuali, io propongo di invitare anche alcuni esponenti delle associazioni di genitori che si occupano del valore della famiglia e dell’ideologia del gender. Anche in questo caso la discussione si fa accesa: i ragazzi pensano che io voglia invitare degli omofobi, ma spiego meglio loro qual è la questione in gioco, e alla fine accettano. Ne viene fuori un dibattito interessantissimo, al termine del quale un ragazzo dice a me e agli invitati: «Devo dire che ero molto prevenuto nei vostri confronti, ma sentendovi parlare ho cambiato idea. Rifletterò su quello che avete detto».

Anche quest’anno Selma, la ragazza musulmana, mi propone di parlare di quello che facciamo in caritativa. Ci viene l’idea di raccontare l’esperienza della Colletta alimentare, che ha coinvolto una trentina di studenti dell’Einstein. Invitiamo il responsabile della Colletta dei supermercati della nostra zona e nonostante negli altri collettivi fossero invitati Javier Zanetti e Giuliano Pisapia, oltre cinquanta ragazzi si fermano ad ascoltare per due ore come è nata l’idea del Banco alimentare, quali scopi ha, il lavoro dei volontari...

Per me, da due anni a questa parte, la cogestione rappresenta una provocazione. In quelle riunioni non posso mai stare tranquilla, perché c’è sempre da discutere e giudicare. Ma proprio per questo forse mi si è fatto sempre più chiaro che la proposta cristiana è veramente ciò che risponde al cuore di ognuno, non solo al mio.