Che questo fuoco non si spenga mai
Per l'anniversario della scuola di CL, don Julián Carrón dialoga con i ragazzi del liceo. A tema la scuola, lo studio e la vita che preme. Con una domanda a fare da filo conduttore: cosa significa crescere? Il racconto di uno studenteLo studio, i compagni di classe, la scuola. E la vita che preme, urgenza di pienezza: dall’attesa di una vocazione che si sveli fino a quell’incontenibile nostalgia, quell’ “impeto senza tregua” che è «il più grande alleato nell’avventura della vita». Don Julián Carrón dialoga con gli studenti dei licei del Sacro Cuore, in occasione dei trent’anni della fondazione. Il tema: che cosa significa crescere? Ecco che cosa è emerso.
«Non ritrovo nella realtà quella presenza che mi ha liberato». Il primo intervento racconta un vuoto percepito nelle giornate, tra i banchi o sui libri, una mancanza. Nella voce della ragazza che parla riemergono i versi di Lagerkvist: «Chi sei tu che colmi il mio cuore della tua assenza? / Che colmi la terra della tua assenza?». Carrón risponde: «Se fossi in te, io ringrazierei la Madonna di questo». Perché l’unica possibilità di intercettare una risposta è tenere viva, ardente la domanda. La consapevolezza del nostro bisogno ci muove, ci spinge a chiedere, a mendicare. Non solo: riconoscere di essere bisognosi detta il metodo del nostro cammino e ci affianca dei compagni di viaggio. Se domandiamo, infatti, siamo costretti a «sottomettere la ragione all’esperienza», a confrontare ad ogni istante il dramma di questo cuore inquieto con i cenni di una soluzione che la realtà ci suggerisce. In quest’avventura ci sostengono gli uomini che cercano la consistenza delle cose, quelli che lanciano il cuore oltre ogni superficialità. Così è nata l’amicizia tra un seminarista appena tredicenne - Giussani - e Leopardi.
Un altro ragazzo cita La preghiera di Ungaretti, e chiede: «La realtà mi suscita una tensione infinita, che non si risolve nella vita quotidiana. Mi accorgo che nulla mi soddisfa, se non il Mistero. Ma come il Mistero può diventare presenza viva nelle mie giornate?». Dio ha creato l’uomo, risponde Carrón, per rivelargli la pienezza del suo amore. Questo ci rende esseri veramente unici: un’ansia di compimento, e al tempo stesso la percezione che nulla ci possa soddisfare. In questo paradosso si gioca il dramma di ogni uomo: o scegliamo di affermare noi stessi, o restiamo disponibili alla possibilità che un altro, dentro a un rapporto, compia la nostra vita portandola a una realizzazione che supera ogni nostra immagine. Allora potremo guardare al mondo e a noi stessi con simpatia e stupore, senza rancore, ma con la gratitudine di chi ha scoperto il segreto del mondo. Un’apertura nostra rimane l’unica condizione perché il Mistero diventi misura di ogni giornata, per comunicarsi infatti, Dio ha scelto di correre il rischio terribile e appassionante della libertà.
Un intellettuale russo, Babel, chiedeva ai suoi compagni di studi: «A cosa vi serve tutta la vostra cultura, se avete gli occhiali sul naso e l’autunno nell’animo?». Lo stesso problema è posto a Carrón: com’è possibile, crescendo, entrare sempre di più nella vita, sperimentare una freschezza, una giovinezza e non invece il peso della vecchiaia? Carrón non propone una soluzione, ma suggerisce una strada: «Segui gli uomini che nel trascorrere del tempo non hanno perso la vita vivendo». Ma l’accadere di una risposta sorprendente è già sotto gli occhi di tutti, i ragazzi che hanno posto le domande, ma anche tutti gli altri, non possono fare a meno di scoprire nelle parole di quel sacerdote un accento di risposta - non del tutto afferrabile forse, non svelato completamente - affascinante. Qualcuno (e se non altro chi scrive) tornando a casa potrà dire, come l’amico africano di cui Carrón ha raccontato la storia: «Da quando vi conosco, di notte io posso dormire». Anche noi abbiamo incontrato una vita dentro la quale il cuore riposa, anche noi dormiamo la notte perché, in ogni inquietudine, abbiamo conosciuto una certezza che diventa per ciascuno una strada.
Mentre don Carrón parla di una primavera dell’animo, ritornano in mente le righe che Giussani scrisse a un giovane amico: «Ti assicuro che la giovinezza è tutta nell’infinità dei desideri, e dei sogni che ora scrollano la tua anima magnifica. Ti assicuro che Lui ci dona la possibilità di realizzarli: e che la nostra giovinezza non cessa mai: in liceo mi dicevano: “fuoco di adolescenza”: come mai adesso è cresciuto?». Che questo fuoco non si spenga mai, ma cresca. È questo l’augurio migliore per i trent’anni della fondazione e per la vita di ciascuno di noi.