Gene Gnocchi.

Se ridere è una faccenda seria

Al centro milanese di aiuto allo studio è stato ospite il comico Gene Gnocchi. Dalla fede (calcistica) alle domande più profonde, il racconto di una vita a colpi di gag. Con un augurio finale: «Ragazzi, non perdete la vostra curiosità»
Davide Grammatica

«Sono contento e angosciato. Riconosco che il punto più alto della mia vita è essere stato invitato a Portofranco. Quindi, d'ora in poi, che ne sarà di me? È la fine. Fate durare questo momento il più a lungo possibile».

Gene Gnocchi si presenta così al centro di aiuto allo studio di Milano, prima di iniziare un dialogo (che sa tanto di chiacchierata in amicizia), con Giorgio Vittadini. Il risultato è una risata a scoppio ritardato, perché l'ironia e l'intenzione dissacrante si nascondono sempre dietro a un velo di serietà e, di primo acchito, non vengono riconosciute.

È questo il marchio di fabbrica del comico italiano che, a colpi di gag, racconta la sua storia a un pubblico molto variegato, composto da ragazzi e volontari di ogni età. Ma dietro all'umorista televisivo che tutti conoscono c'è molto di più: un parmigiano orgoglioso, figlio di un acceso sindacalista, un ex avvocato, un cantante, un attore, uno scrittore e un ex calciatore.

Andiamo con ordine. Il primo approccio al mondo del lavoro: «Io e la mia famiglia avevamo un impiego molto particolare: posavamo la granella sopra il "Buondì", la brioche. Poi ho scoperto di avere un talento per la comunicazione delle brutte notizie. È un'attività che svolgo ancora oggi. Infatti sono stato io a dire a Morgan che il gelo aveva rovinato le sue coltivazioni sul terrazzo. Ho anche lavorato in un circo: dovevo andare a recuperare la donna-cannone».

Gene (non tutti sanno che il nome è lo pseudonimo di Eugenio Ghiozzi), laureato in Legge, decide presto di abbandonare la professione legale, nello specifico «dopo aver difeso un vetraio dall'accusa di oltraggio a un pubblico ufficiale. Aveva avuto un alterco con un capotreno perché voleva che venisse abbassato il volume degli annunci ferroviari. Ha preso cinque mesi». E, giura, la storia è vera.

Si accorge della sua vena comica grazie all'esperienza di cantante in una band: «Prima di iniziare spiegavo il pezzo, perché il testo era in inglese. Mentre raccontavo, la gente si metteva sempre a ridere. Capii che dovevo fare il comico». In questo senso, la sua formazione passa attraverso l'ammirazione di artisti ben precisi: Jango Edwards, il «fenomeno del non-senso», Enzo Jannacci e Paolo Villaggio. Ammira Ennio Flaiano e Achille Campanile. Da questi autori scopre il suo amore per "l'assurdo" e, così, inizia a costruire la sua carriera da comico, aspirando più ad un'attività teatrale piuttosto che televisiva: «Il teatro lo farò per tutta la vita. Da lì, a contatto con il pubblico, passa la vera comicità».

Il dialogo con i ragazzi di Portofranco si svolge con una serie, a tratti esilarante, di botta e risposta, con la curiosità che si focalizza sul tema della fede... per il calcio. La carriera al Parma? «L'ultima giornata del campionato 2006/2007 avrei dovuto esordire. Ero pure nel Fantacalcio. Tre tizi di Sassari mi avevano comprato». Chi vince il campionato? «Non il Carpi». Zamparini? «Il Marchionne del calcio. Se non licenzia qualcuno, impazzisce». I giocatori sono simpatici? «Ci mancherebbe. Loro non hanno preoccupazioni, non pagano le fatture». Bacconi (opinionista Rai)? «L'esempio vivente che "tutti ce la possono fare"». Rambaudi (ex calciatore)? «Credo abbia aperto una gelateria». Blatter e Tavecchio? «La risposta è nella domanda». L'Inter? «Non si può guardare».

Il tempo vola, e ne resta solo per poche altre domande. Qualcuno nota come le parole di Gene, che mostrano come può essere affascinante il "sottobosco" del mondo, il quotidiano apparentemente privo di interesse o la piccola stupidità, non sfocino mai nel cinismo, quasi non ci si debba disperare di un mondo dimesso. Il clima si fa tutto a un tratto più serio, e forse esce allo scoperto il suo lato più intellettuale.

È surreale accorgersi di come, dal ridere, ci si possa mettere davanti ai grandi interrogativi della vita. «Penso che il trucco sia il rispetto. L'ho imparato grazie al mio professore di Filosofia del diritto in Università, che mi ha insegnato il rispetto verso "l'altro". Solo così posso essere ironico, ma non cinico». L'incontro si conclude con un sincero augurio ai ragazzi: «Siate curiosi. Io penso che nella vita sia meglio fare dieci cose male piuttosto che una sola fatta bene. Fate più che potete. La vita, come dice Flaiano, è un "tendere a". Ogni volta che si raggiunge qualcosa, esso diventa un punto di partenza verso l'alto».

«Che ne sarà di me dopo Portofranco?», si chiedeva scherzosamente il comico a inizio incontro. Ecco che, forse, il meglio deve ancora venire...