(Foto Martina Scarpati)

Tutto questo è per te

La giornata di fine anno di Gioventù Studentesca della Lombardia all'Abbazia di Mirasole. Un grande gioco "ispirato" alle lezioni del Triduo di Pasqua. Le storie di Giada e Chiara. E la domanda di don Pigi: «Che cosa realmente ci riempie il cuore?»
Stefano Giorgi

«Immaginate un bambino che ha un papà che possiede tante cose, una città intera, e un giorno lo porta sul Monte Mario e gli dice: “Tutto questo è per te”. Con questo rapporto possiamo entrare in tutta la realtà…» così don Pigi commenta sabato mattina la testimonianza di Giorgio Vittadini al Triduo pasquale di Gioventù Studentesca. E quell’immagine è diventata la sfida di questi mesi che ci ha portato a concludere l’anno scolastico all’Abbazia di Mirasole per la giornata di fine anno di GS della Lombardia.

“Tutto è per te” scritto su un enorme mappamondo disegnato su un bellissimo striscione ha accolto alle 14.30 i 1200 ragazzi nella grangia di Mirasole (una delle case fondate alla fine del XII secolo dai fratelli Umiliati, vero e proprio ordine riconosciuto da papa Innocenzo III nel 1201 con i carisma di vivere il cristianesimo nel mondo del lavoro – agricoltura e tessitura. Poi la dimenticanza, la decadenza, il desiderio dell’egemonia e l’abrogazione da parte di papa Pio V nel 1571).
L’accoglienza, i canti – bravissimo il coro – e i giochi.
Ed è proprio la storia degli Umiliati a dettare le squadre per il grande giocone: gli Agricoltori (Lombardia est), i Muratori (Lombardia ovest), gli Economi (Milano est) e i Tessitori (Milano ovest).

I giochi a Mirasole

Nel gioco la ripresa dei punti salienti del Triduo: come la raccolta dei funghi disseminati nel campo da gioco perché abbiamo imparato a «metter a fuoco il sentimento» così da riconoscere quelli buoni, come ci aveva detto don Pigi. Le prove in omaggio ai quattro gruppi: la prova di forza per i muratori; la precisione per i tessitori o la capacità di recuperare il maggior numero di mele umane, ma tutte intere perché «La buccia, la mia inquietudine, è la parte più vera di me», ci aveva detto Vittadini.
Ogni componente delle squadre era arrivato con una scatola di scarpe dipinta a mattone per costruire una torre: quattro torri per vedere meglio la realtà dall’alto e per celare, al contempo, il mistero della vita. Le torri sono anche il sepolcro dove ognuno di noi, guardando il fondo di sé, può sentirsi rivolgere l’invito di papa Francesco, ricordatoci da Julián Carrón nel suo saluto: «Alzati! Alzati vieni fuori!». Ogni squadra doveva impacchettare il suo Lazzaro e la conclusione dei giochi è stato l’esplosivo invito che Tobia (il “maestro” dei giochi) ha lanciato dal palco: «Lazzaro, alzati, vieni fuori!». Le torri esplose e il “resuscitato” accolto vivo, attraverso il lungo rullo umano, dalla sua squadra.

Tutti al centro e tutti sotto il palco, seduti, «mattone su mattone viene su la grande casa… è il Signore che ci vuole abitar con te!» cantiamo all’unisono. E sul palco sale Alberto Bonfanti e tre ragazze. Siamo al cuore della giornata. «Vogliamo testimoniare la bellezza e la gratitudine per quello che abbiamo imparato», introduce Alberto: «Con tre esempi di che cosa si può scoprire in un cammino».
Inizia Giada, di Milano: «Per un non poco breve periodo della mia vita mi sono dichiarata agnostica. La religione, Dio, mi sono sempre sembrate parole troppo grandi per me, troppo distanti dalla mia vita. Succede però che finalmente, in terza superiore, decido di partecipare alla Colletta alimentare organizzata dagli adulti di GS della mia scuola senza conoscere l’origine di quel gesto, senza conoscere GS. Alla fine della Colletta, vengo invitata a un raggio. Ero lì, seduta in quel cerchio, senza conoscere neppure una delle canzoni intonate. Più di tutto mi ha sorpreso l’oggettività dell’analisi delle proprie esperienze, e di quanto queste avessero a che fare con Dio. Mi si è aperto il cuore: l’importanza dell’esperienza quotidiana, e di quanto c’entri con Gesù. Di quanto io stessa c’entri con lui. Era un sentimento che avevo sempre coltivato, a cui non avevo mai dato nome. Poi la visita al Duomo con la mia “mamma putativa” e la lettura del Vangelo della Maddalena davanti al Risorto. E lì ho capito: in voi sono riuscita a trovare quel sentimento così forte che Maria Maddalena aveva provato piangendo, riconoscendo Gesù. Ho ritrovato la sua voce. E così ho trovato Dio vivo». È l’incontro. «Un incontro introduce a un cammino in cui tutto è per noi», chiosa Alberto introducendo Chiara di Varese che racconta dell’esperienza di teatro: «Abbiamo messo in scena la notte dell’Innominato dei Promessi Sposi (ce ne daranno uno splendido assaggio nella festa finale), ed è stato riscoprire che Manzoni parlava a me, era uno che aveva fatto la mia stessa esperienza, la stessa che ho fatto in Gs: come per l’Innominato la cosa incredibile è stata conoscere me stessa perché amata. Questa scoperta mi ha dato una profondità di lettura anche per gli altri testi di scuola».



Ed è un’altra Chiara, anch’essa di Milano, a chiudere con una testimonianza sulla caritativa: «A partire alle vacanze invernali mi è stata proposta una caritativa in un centro per bambini immigrati. Quasi tutti vengono dalla Siria o dalla Nigeria, vanno dai 3 agli 11 anni. I più piccoli parlano solo “tigrino”. Andiamo lì e giochiamo con loro o facciamo insieme i compiti. Mi sono affezionata a una bambina di tre anni che all’inizio stava sola e piangeva. Un giorno è arrivata la sua mamma, che io guardavo con sospetto, e l’ha abbracciata mostrandole un bene così grande… Lì ho capito che la felicità di questa bambina non sono io, non sono io che posso decidere il suo destino». «L’altro a cui si vuol bene non è in mano tua, ti è donato ma non è tuo possesso», conclude Alberto e, riprendendo la scoperta di Giada, ci introduce alla Messa.



Don Pigi è con noi, in questo giorno di Pentecoste, e la sua omelia è una nuova sfida: «Alla fine di quest’anno che cosa realmente ci ha fatto crescere? Che cosa realmente ci ha riempito il cuore? In fondo a tutti i desideri che cosa prevale? Sappiamo quanto è facile lasciarci prendere in giro su questo. Al punto che il desiderio di lasciare un segno nella propria vita coincide col farsi del male. Ma in noi cosa prevale? Solo ciò che è capace di parlare alla stessa lunghezza d’onda del nostro cuore: Qualcuno che ha un po’ di tenerezza per me. Questa è la Pentecoste».

Poi il saluto ai maturandi, il lancio delle vacanze “tempo della libertà”; la premiazione dei giochi (vincono i Tessitori); la festa finale coi canti, l’Innominato e l’invito alla lettura de La Lancia di Longino, il libro proposto per i mesi estivi; l’augurio di Alberto per quest’estate: «Andare a scoprire nel tempo libero quello che colma il desiderio del nostro cuore».