Equipe GS: «Tutto è davvero per me»

La morte dello zio per Alessandro. Gli attentati di Barcellona per Agnes. Uno spettacolo su "I promessi sposi". Dialoghi, giochi insieme e incontri con un denominatore comune: la vita. Ecco cosa hanno vissuto 500 ragazzi alla tre giorni di La Thuile
Paolo Perego

Il primo freddo si fa sentire. Sul pratone dietro l’Hotel Planibel di La Thuile cinquecento persone, per lo più ragazzi tra i 15 e i 18 anni, sfidano vento e pioggia ballando e cantando. Una nonna col nipotino non può evitare di fermarsi a guardare stupita lungo la strada. Dei ciclisti bloccano le loro mountain bike e osservano sorridendo. «John Brown giace nella tomba là nel pian…», cantano i ragazzi, con alcuni adulti tra loro che provano a stargli dietro.

«Il Mistero canta fra noi. Impariamo ad ascoltarlo». Parlava del fare silenzio don Pigi, guida dell’Equipe di inizio settembre di Gioventù Studentesca, introducendo l’assemblea di poche ore prima. E anche su quel prato, non sono solo i ragazzi e i professori che li accompagnano, a cantare.

Don Pigi ha sfidato tutti fin dalla prima sera: «Vi chiedo solo di guardare a quello che ci accadrà davanti agli occhi in questi giorni». Milanesi, bolognesi. E poi da Puglia, Marche, Sicilia. E da oltreconfine, Polonia, Portogallo, Gran Bretagna, Francia… «Siamo qui per una preferenza. Chi di noi non vuole sentirsi preferito?», ha detto Alberto Bonfanti, professore milanese e responsabile di GS: «Ma in questa preferenza abbiamo un compito: rinascere, dentro ogni circostanza che abbiamo da vivere. Per questo l’ordine del giorno che ci siamo dati era vedere nella nostra vita se davvero “tutto è per te”, come ci siamo sentiti dire al Triduo di Pasqua».

Un momento dello spettacolo su ''I promessi sposi'' inscenato dai giessini di Varese. Qui, l'abbraccio tra il cardinal Federigo e l'Innominato

L’indomani si parte in quarta con l’assemblea del mattino. Il fado portoghese spalanca il cuore ai più assonnati: «Foi Deus, è Dio che ha dato luce agli occhi, profumo alle rose, oro al sole e prati alla luna…». Tocca ad Alessandro fare il primo intervento: l’attesa irritante per un amico in ritardo che si trasforma in un bellissimo dialogo con un compagno incontrato per caso; una litigata feroce con la mamma, e poi uscire a fare due passi per sbollire e accorgersi della bellezza di un bosco. «Faccio esperienza che tutto è per me. Senza quel ritardo, non sarebbe accaduto il dialogo. Senza quel litigio, non avrei visto la natura intorno». Ma c’è anche la morte dello zio: «È difficile dirlo in questo caso. Certo, è un’ipotesi, perché in altre occasioni ho già visto che è così…». «Ecco!», lo interrompe don Pigi: «Cosa vuol dire che hai visto? Hai aperto gli occhi. Quello che accade non è per farci ritirare dalla realtà, ma farci aprire gli occhi su di lei».

Come per Francesca, con un’amica finlandese ospitata per uno scambio studenti: si entusiasma per il sole, lei che lo vede per pochi giorni all’anno, «facendo stupire anche me di una cosa a cui non faccio mai caso». Per Anna, invece, il tema è l'abbraccio degli amici che non si scandalizzano dei suoi errori e della sua piccolezza: «Con loro posso andare ovunque». «Vedete? Serve qualcuno, un amico, per farci accorgere della realtà. L’amicizia è questo, non uno che ti dà le istruzioni per l’uso», risponde don Pigi. Ok, ma l’amico può affascinare all’inizio e poi cambiare strada, tradire, fa notare Costanza: «Allora il cammino non vale?». «Sì, ma è l’inizio della cosa più bella che puoi scoprire nella vita. Uno percepisce un fascino, una “bellezza dentro una bellezza” che neppure i limiti possono cancellare. Quando questa viene meno, puoi gettare la spugna... Oppure chiederti cosa ci sta dietro».

Il canto, a introdurre ogni momento della tre giorni

«Ho vissuto un’estate piena, senza perdere occasione di vivere tutto al massimo con GS. Perfette vacanze cielline», racconta Andrea. Eppure «rimaneva sempre una nostalgia. C’era tutto e non c’ero io. Stavo vivendo il movimento senza Gesù». «Non esiste il modello ciellino. È uno schema, una gabbia di frasi fatte. Che soffoca», replica il sacerdote: «Per don Giussani, qualsiasi gesto del movimento non ha altro scopo se non la memoria di Cristo. Se non hai una ragazza, un giorno prendi la seggiovia e incroci, mentre sali, una coppietta che scende abbracciata. Magari pensi: “Mi manca una ragazza”. Ma se ce l’hai, e lei non c’è, quando li vedi ti manca lei. Non una ragazza, ma lei. È una presenza quella che ha preso la vostra vita». Gli altri si accorgono «se il nostro problema è il rapporto con Lui, in ogni circostanza». Altre domande e interventi. Poi, quel momento insieme nel prato di fronte all’hotel, prima del pranzo.

«Va bene, ma la mia vicina di casa morta nell’attentato della Rambla? Io non ce la faccio a dirlo davanti alla cattiveria senza senso dei terroristi». Agnes è di Barcellona, è seduta a tavola con altri spagnoli e un gruppetto di amici di Abbiategrasso. Si parla di quanto ascoltato al mattino, all’assemblea. Lei si accende, imprecando: «Quello che ho vissuto alla vacanza di GS fa a pugni con questo». «Ma cosa è accaduto in quei giorni insieme?», le chiede Cesar, responsabile della sua comunità, ricordandole gli universitari del Clu che erano venuti a servire le loro giornate in montagna, a cucinare e pulire le latrine. Perché i più piccoli potessero godere di tutto: «Ero andata pensando di essere una nullità. Mi sentivo così. E invece quando sono tornata ero una nullità abbracciata...».

Il salone torna a riempirsi alle 17.30. I cinquecento giessini hanno giocato insieme due ore, divisi per squadre. Fil rouge, I promessi sposi, che hanno riletto durante l’estate. Sul palco ora ci sono Matteo, Giovanni, Pietro e Cesar. «Ma potrebbe esserci ciascuno voi, qui, a raccontare di sé», dice don Pigi. Non sono eroi o altro.

Dallo spettacolo su ''I promessi sposi''

Matteo per esempio, quarta Ragioneria in una scuola statale. «Unico di GS, lì». E con professori e compagni contro, perché veniva da una scuola paritaria. «Ho deciso di candidarmi come rappresentante di Istituto. E sono stato eletto». A settembre si suicida un ragazzo della scuola. «Il giorno dopo i corridoi erano una valle di lacrime», racconta Matteo. Che fare? «Ho organizzato un incontro con Silvio Cattarina, de L’imprevisto di Pesaro, e con alcuni dei ragazzi della sua comunità di recupero. I miei compagni erano tutti colpiti. E contenti. Quel giorno a scuola non si è vista una canna». Pochi mesi dopo Matteo deve scegliere tra gita di classe e Triduo: «Non potevo permettermi entrambi. Ho scelto GS, ma il vicepreside mi ha convocato: “Per quello che hai fatto e stai facendo per noi non esiste che tu non vada in gita. La pago io”».

Anche Giovanni racconta la sua storia semplice. Una vita piena che non soddisfa. La ragazza, il calcio. «Ma tutto era insopportabile. Spostavo la gente che provava a consolarmi». Un anno così, fino alla proposta di un prete amico di andare a dare una mano tra i terremotati delle Marche. «Ho conosciuto il proprietario di un resort. Una vita travagliata, una figlia morta e una moglie che se ne è andata. E ora il terremoto. Piangeva mentre si raccontava, ma aveva dentro qualcosa di incrollabile. Aveva lo stesso bisogno che avevo io, ma lo viveva con una fede e una certezza molto più grandi». Arrivano altre conoscenze, nuove amicizie: «Mi sentivo preferito. E ho capito che per tutto l’anno non avevo desiderato altro se non questo».

Dopo Giovanni, tocca a Pietro raccontare di sé, della sua nuova avventura di insegnante statale. Racconta di supplenze, di dialoghi coi ragazzi durante le ore di “potenziamento” della didattica previste dall’ultima riforma. E dell’esperienza di insegnamento in carcere, culminata con lui, chitarrista e appassionato di musica, che guida un concerto di Natale tra carcerati. «Pluriomicidi alcuni. Eppure erano tutti lì a cantare». Che sarà, Quel mazzolin di fiori... «Il giorno dopo i colleghi erano ancora colpiti. “Non era mai successa una cosa così prima”. Si avvicina un marocchino: “Dobbiamo rifarlo. Sa, ieri a un certo punto ho chiesto alla guardia di uscire dieci minuti a fumare. Perché era… troppo”. In quel momento, quella persona mi stava restituendo tutta la potenza di quello che ho incontrato io».

L'assemblea

«I terroristi abitavano a quindici chilometri da casa nostra», attacca Cesar, maestro elementare di Madrid, trapiantato in Catalogna. «Con quelli della comunità ci siamo visti a cena la sera stessa degli attentati». Tra i piatti, la rabbia e lo sgomento. E una domanda: «Quello che viviamo ha la potenza di rispondere a tanta barbarie?». Il giorno dopo Cesar va a trovare una ragazza. Sbigottita, impaurita. Da ore è davanti alla tv, bloccata. «È bastato parlare un po’ con lei. Pochi minuti, ed era un’altra. Spesso affrontiamo le sfide da soli. Ma solo un incontro, un rapporto, permette di affrontare ciò che sembra impossibile». L’incontro può causare una rivoluzione nel cuore. «Poter dire “io sono un bene, tutto è un bene”. Sembra poco davanti al terrorismo, ma è il metodo di Dio, ipotesi con cui entrare nella vita di tutti i giorni».

La stessa sfida che vive l’Innominato di Manzoni, in fondo, portata in scena da una “compagnia” di giessini di Varese. Neppure per la partita dell’Italia si può concedere un ritardo alla serata. I ragazzi, puntuali, abbandonano il grande schermo del bar, carichi di attesa per quello che accadrà in salone. Pronti a lasciarsi sorprendere. E commuovere, come accade a tanti mentre riaccade davanti agli occhi il dialogo tra il cardinale Federigo e il carceriere di Lucia.

«Cosa ha spinto l’Innominato dal Cardinale?», chiede don Pigi la domenica mattina, riprendendo ancora l’assemblea del giorno prima e lanciando il lavoro di Scuola di comunità di quest’anno su Tracce di esperienza cristiana di don Giussani: «Un desiderio e una speranza, anche confusa, di trovare refrigerio “all’inferno” che ha nel cuore». Serve qualcuno che faccia aprire gli occhi e «scoprire Chi “ci sta dietro” in quello che ci affascina», continua don Pigi: «E ancora non basta. Non c’è un modello: possiamo fare tutto e perdere noi stessi. Qual è la strada?». Torna ancora l’Innominato: «“Ostinato, come un povero alla porta, tornerò”. Ha bisogno che riaccada quell’incontro. Così noi. Dobbiamo chiedere che tutto ciò che facciamo, viviamo, poggi solo su questa attesa di Lui. Rivedere il volto di chi ci ha preso il cuore: cosa potrà essere quest’anno entrando in classe così?».