Un momento del primo incontro su "La bellezza disarmata" e l'educazione a Madrid

Madrid. Se educare è una bellezza

Il primo di un ciclo dei tre incontri organizzati dalla Associazione per il Rinnovamento Culturale e Pedagogico, in Spagna, per provare a leggere il tema dell'emergenza educativa nella Bellezza disarmata di Julián Carrón
María Carmen Carrón*

Il Colegio Mayor Roncalli di Madrid ha ospitato, alla fine di ottobre, il primo di tre incontri durante i quali, in questo anno scolastico, Arcyp, associazione madrilena per il rinnovamento culturale e padagogico, intende affrontare la terza parte del libro La bellezza disarmata di Julián Carrón, ovvero quei capitoli dedicati all’educazione e all’emergenza educativa.

Il titolo del capitolo oggetto di questo incontro è l’espressione con la quale Luigi Giussani, fondatore di CL, ci ha insegnato a definire l’educazione: «Introduzione alla realtà secondo la totalità dei suoi fattori». Per l’occasione sono stati invitati tre insegnanti che operano a diversi livelli accademici: Manuel Folgado, nella scuola primaria; Lluís Bou, nella scuola secondaria; e Antonio Bustos, docente di Economia alla facoltà di Legge.

L’incontro si è articolato intorno a tre domande. Intanto la richiesta agli ospiti di provare a fare un quadro della situazione attuale e di una possibile risposta all’emergenza educativa che viviamo. Per tutti il mondo in cui vivono i nostri studenti rappresenta una grande sfida, caratterizzata, per esempio, da una forte “accelerazione” delle varie esperienze e i dai continui cambiamenti che altre generazioni non hanno dovuto affrontare. Secondo Folgado, ciò «implica una totale obsolescenza, perché i modelli scompaiono e i ragazzi non sanno dove guardare. Questo induce una disaffezione verso la realtà». Lluís ha esposto un elemento con il quale «oggi tutti gli adolescenti si devono scontrare: una frustrazione, dalla quale molte volte non riescono a uscire: come misurano se stessi o come sono misurati. E questo li fa star male».

Madrid

Tutti erano d’accordo anche sul fatto che esiste un'abbondanza di informazione che i ragazzi non sanno usare e che non li aiuta nel momento di affrontare la vita. Neppure nell’università, che li prepara a sviluppare certe capacità, ma spesso non li rende “persone”, perché non arrivano a conoscere la realtà nel suo insieme. Bustos, a questo proposito, ha mostrato la pertinenza della definizione dell’educazione che propone La bellezza disarmata: «È terribile, perché si lasciano alle spalle tutti gli elementi della realtà che incontrano, senza arrivare mai a cogliere la realtà nella sua totalità». E ciò finisce per anestetizzare il desiderio. Riferendosi a uno degli esempi che Carrón usa nel libro, ha detto dei suoi alunni: «I ragazzi con cui lavoro non conoscono il giocattolo che hanno tra le mani. Ma, invece di arrabbiarsi, lo mettono da parte e ne prendono un altro: la realtà offre loro, immediatamente, altri giocattoli con cui sostituirlo».

Davanti a questa situazione, da dove ripartire? Ancora Bustos ha parlato di insegnare agli studenti a non avere paura, a cercare la verità, a mantenere vivi i propri desideri. Davanti a uno studente di Legge che gli diceva che i grafici di Economia gli venivano malissimo, lui ha risposto: «Ma guarda che fortuna: hai tutto il quadrimestre per lavorare su questa tua difficoltà. Lavoriamoci insieme, e vedrai che alla fine sarai capace di farli meglio di chiunque altro qui». E quello ce l’ha fatta. È una sfida costante agli studenti a non sottovalutare nessuna conoscenza; anzi, ad aprirsi a tutte, perché il patrimonio della propria persona sia arricchito.

Quindi la seconda domanda ai relatori: è davvero così decisivo per la conoscenza questo nesso del nostro essere con la realtà, come si legge in La bellezza disarmata? «Sì», la risposta unanime. Folgado ha ricordato la bellezza e la gioia dei più piccoli quando scoprono questo legame per cui esclamano: «Era vero!». Oppure, di quando in una classe scoppiano gli «Urrah!», come a dire «Adesso capisco!». Conoscere la realtà commuove i ragazzi davanti alla sua presenza, semplicemente perché esiste, e perché ha in sé una bellezza che scoprono e fanno propria: «Si ridesta la coscienza attraverso la conoscenza di ciò che è buono, gradevole, bellissimo, perfetto. È impossibile non rimanere colpiti davanti a un’evidenza, una certezza. Sono in cerca di qualcosa che sia stabile». L’insegnante ha anche raccontato un aneddoto su un giorno in cui hanno fatto una gita e una ragazza gli ha chiesto di rallentare il passo. «Mi è piaciuto così tanto che ho bisogno di più tempo per guardare». Il nesso è ciò che mi spinge a contemplare la bellezza che mi corrisponde, ha commentato Folgado. «È necessario aiutarli a vivere e vibrare di fronte alla realtà perché la sua bellezza li cambi».

Da sinistra, Manuel Folgado, María Carmen Carrón, Lluís Bou e Antonio Bustos

Per molti del settore la possibilità di rispondere a questa emergenza educativa dipende da norme, nuovi metodi, nuove tecnologie... Al contrario, Carrón fonda questa possibilità sulla responsabilità di ciascuno come testimone, ossia come qualcuno che ha vissuto qualcosa di bello e lo racconta. E proprio questa responsabilità era il cuore del terzo quesito.

Ancora quasi all’unisono, tutti e tre erano d’accordo nell’affermare che l’educazione dipende da questo essere testimoni più che da ogni altra cosa, proprio come dice papa Francesco. Ognuno di loro ha testimoniato commozione nel condividere la vita degli studenti e nell’accompagnarli nella ricerca della verità, imparando essi stessi dai ragazzi.

La chiave di questa responsabilità per aiutare gli studenti a ridestarsi di fonte alla bellezza della realtà è un’educazione che consista in «un rapporto di fiducia che si stabilisce con l’insegnante e ti permette di fare un cammino di libertà, di accesso alla verità nella libertà», ha sottolineato Lluís Bou. Perché l’insegnante testimoni la propria vita è necessario che a sua volta sia accompagnato: «L’unica cosa che mi consente di capire a cosa sono chiamato è avere amici. Perciò, mi interessa avere anche Julián Carrón come compagno di cammino, così come i due amici a questo tavolo». Perché affermare, come fa Daniel Pennac in Diario di scuola, che «educare si coniuga nel “presente d’incarnazione”» è far dipendere l’educazione da un rapporto e non da una tecnica, per efficace che sia. Questo non è un discorso, ma la testimonianza di un cammino di certezza che uno propone ai suoi alunni. «Senza seguire gli altri non posso cambiare», ha detto ancora Bou: «Per questo la cosa più pertinente per loro è la stessa promessa che io ho bisogno di sentirmi ricordare ogni giorno, la promessa delle promesse, quella di uno che ha detto: “Sarò con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”».

L’incontro è terminato con la testimonianza di una studentessa di liceo, Maria, che ha raccontato come la sua vita sia stata cambiata dall’incontro con professori che, attraverso quello che spiegavano in materie come Letteratura o Filosofia, le facevano sentire che stavano parlando di lei. Per questo ha cominciato ad attaccarsi a loro, e in questo modo è cambiato il suo rapporto con la scuola in generale, e con lo studio e i professori. E ha cominciato a essere protagonista del suo percorso di apprendimento e della sua vita.

* presidente Arcyp