Convegno Foe. Perché la scuola sia un "luogo"
L'annuale appuntamento della associazione che riunisce gestori, docenti e amministrativi di seicento realtà educative paritarie. Tre giorni di lavori, tra tavole rotonde e workshop, per condividere "fatti di libertà" e "tentativi" quotidiani“Fatti di libertà, luoghi di educazione”. Questo il titolo dell’annuale convegno organizzato a Pacengo di Lazise, sul Lago di Garda, dalla CdO-Opere educative Foe, a cui aderiscono 600 scuole paritarie, per il personale gestionale, amministrativo, direttivo, e didattico. Tre giornate di lavoro, a febbraio, con il desiderio di condividere i fatti di libertà, i tentativi educativi che accadono nelle scuole, luoghi di educazione che, nella complessità della nostra epoca si offrono come speranza per tutti.
Padre José Medina, educatore e responsabile del movimento di CL in Usa, nel dialogo con Michele Faldi, direttore dell’Offerta formativa, promozione e orientamento alla Cattolica, è partito da questa provocazione: le scuole sono rifugi o luoghi di libertà? E poiché l’America anticipa sempre quel che poi si realizza nel mondo, ha raccontato di come, laggiù, l’amore incondizionato per la libertà stia cedendo il posto al mantra dell’essere safe. Il desiderio di imperturbabilità, il bisogno di sicurezza sta eliminando il rischio della libertà. L’ha chiamata libertà della prima volta, quella che quando sei ancora bambino ti dà stima. «La prima volta che sei andato da solo a fare la spesa al supermercato o quando, andando da un amico, hai perso la strada che poi hai ritrovato... Episodi che hanno iniziato a far crescere nella personalità ancora informe del bambino la consapevolezza di una capacità personale. Oggi invece i genitori, poveri di certezze, cedono alla paura».
Medina, definendo l’uomo un sistema anti-fragile, bisognoso di essere stressato per diventare forte, un po’ come il muscolo che per mantenersi sano deve essere “stressato” dall’allenamento, ha invitato a non temere questo stress positivo che sostiene il giovane nella crescita. In virtù di questo, tutto può essere rifugio e tutto può diventare luogo: dipende dalla posizione di chi educa. Ha aggiunto, poi, «che un luogo capace di educare è quello che ama la complessità del vivere, che non teme le contraddizioni, che, come suggerisce papa Francesco, riconosce la diversità come complessità, non cerca di risolverla, ma insegna il giovane a starci di fronte, un luogo capace di generare uomini felici».
E della complessità della vita ha raccontato anche Leonardo Alessi, gestore di due fondazioni e di dieci cooperative tra Toscana ed Emilia-Romagna. Quando era supplente in una scuola religiosa, era rimasto così colpito da quel luogo pieno di bellezza che andava preservata, da cogliere l’occasione di gestire, per aiutare alcune congregazioni religiose, piccole realtà parrocchiali. Da lì è iniziata la sua avventura educativa che lo ha portato a occuparsi di 35 nidi, 50 scuole dell’infanzia, 17 scuole primarie, 8 scuole medie, 5 scuole superiori e vari corsi di formazione professionale. Ma quale responsabilità sente prioritariamente? Non quella di far tornare i conti che è pur questione di fondo, ma quella di «voler dare un contributo originale alle opere ereditate», nel profondo rispetto della ricchezza della tradizione che le ha generate insieme a quella di far crescere i suoi collaboratori. E quale strada intraprende? Per lui ha significato chiedere aiuto ad una scuola che vedeva più matura nella proposta educativa, partecipare con maggior intensità al direttivo della Foe nell’obiettivo primario di allargare l’orizzonte indicando questi punti ai suoi collaboratori senza voler decidere a priori l’esito.
Dopo di lui, Nicola Terenzi, giovane coordinatore didattico di due licei di provincia in Lombardia, ha raccontato come per il desiderio di rispondere in modo più efficace al bisogno dei propri studenti si è messo a ripensare l’offerta formativa della scuola e la sua organizzazione. Mentre Simone Invernizzi, docente di un liceo milanese, ha portato, come esempio, il lavoro sulle fiction televisive, per comprendere come un certo modo di comunicare può diventare occasione di riflessione e non solo di svago.
Durante la giornata, i workshop hanno affrontato varie tematiche: il valore del coinvolgimento del personale nella comunicazione della scuola, la campagna del "5 per 1000" come occasione di fundraising, l’educazione all’affettività nelle aule, la valutazione dei docenti, la scelta di un sistema gestionale, l’accoglienza della disabilità e l’onere economico che comporta, il racconto di esperienze didattiche e una riflessione sull’identità della scuola.
Nel pomeriggio, Ferran Riera Pabón, direttore pedagogico delle scuole Mare de Déu de La Gleva e Llissach, nella periferia di Barcellona, ha raccontato come negli anni si sia assistito a un nuovo fenomeno di “frattura” umana. «Si educa attraverso le materie, ma il ragazzo e la sua famiglia portano richieste che superano e travolgono l'attenzione affettivo-intellettuale a cui è chiamata una scuola. Ci sono genitori che andrebbero seguiti nel processo di disintossicazione, bambini da portare all’ambulatorio medico, madri e padri che andrebbero accompagnati nella relazione matrimoniale. Sono solo alcuni esempi esempi di cosa vuol dire che le scuole erano, già prima che papa Francesco lo dicesse, un ospedale da campo. In tal senso, la prima condizione perché la scuola sia un luogo di educazione e non una zona di sicurezza è quella di non sottrarsi a queste nuove richieste che stanno emergendo. Ciò che educa è un rapporto e questo significa che il Collegio docenti deve essere necessariamente aperto alla relazione, alla situazione degli studenti e delle famiglie».
Analoga l’esperienza di Michele Scacciante, presidente della Fondazione Sant’Orsola a Catania, gestore dell’Istituto Francesco Ventorino: «Ora più che mai non esiste il progetto educativo perfetto che tu ostinatamente applichi: occorre cogliere le circostanze che la realtà ti mette di fronte per intercettare i bisogni fino all’ipotesi che diventando provocazioni reali informino il progetto educativo originale».
Domenica mattina, Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, ha rilanciato la vera provocazione educativa dei piani formativi: «Mettere insieme competenze cognitive, apprendimento e costruzione del carattere. Ma questo non può essere un meccanismo, non si possono enunciare principi per descrivere l’identità di una scuola e il suo progetto formativo. È necessario iniziare a declinare nell’esperienza ciò che sulla carta viene proposto». Infine, ha indicato il valore di una realtà associativa come quella della Foe: una comunità professionale che rilancia e mette a confronto tentativi educativi in atto, che valorizza la libertà e la diversità di questi tentativi ed invita tutte le scuole ad un’apertura curiosa, ad alimentare il desiderio di incontrare, conoscere e sperimentare. «Fare una scuola così è la ricostruzione del tessuto sociale ed è possibile iniziare una novità da subito senza aspettare una legge che la legittimi».
Nel saluto finale, Marco Masi, presidente dell’Associazione, ha ringraziato per queste giornate di lavoro comune, espressione di chi la scuola la vive, la ama davvero e per questo cerca compagni di strada con cui camminare in questa avventura. E, come ha detto Vittadini, che ci siano scuole così «è già una novità».