L'Arcivescovo di Milano, Mario Delpini, a Portofranco.

Delpini a Portofranco: «La vita è un'attrattiva»

L'Arcivescovo di Milano in visita al Centro di aiuto allo studio. L'attesa, le testimonianze di ragazzi e volontari, la consegna dei premi intitolati al fondatore, don Giorgio Pontiggia. Ecco cosa è successo
Davide Grammatica

L’aria di Portofranco è elettrica. C’è chi corre per gli ultimi preparativi, chi sistema i microfoni, chi organizza l’accoglienza. E c’è chi continua a guardare giù dalla finestra. È giovedì 30 maggio. In programma, la festa di fine anno. E sta arrivando l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini. È la sua prima volta al Centro di aiuto allo studio di viale Papiniano, che compirà l’anno prossimo vent’anni. «In questo momento mi sento un po’ l’Innominato», dice Alberto Bonfanti, presidente di Portofranco, accogliendo con una battuta Delpini: «Lo ringrazio per essere il padre di questa nostra comunità che non ha confini di lingua né di religione, una famiglia unita». E sono proprio i protagonisti di questa “avventura educativa”, studenti e volontari, che raccontano all’Arcivescovo chi sono e quello che vivono tra quelle aule tutti i giorni.

Parte Riccardo, Lettere classiche in Cattolica. Da due anni viene a Portofranco una volta a settimana come volontario: «Una volta stavo seguendo un ragazzo nella traduzione di Seneca. Era molto in gamba. Gli ho chiesto che cosa volesse dire, secondo lui, il contenuto di quello che avevamo davanti. Era sorpreso: nessuno gli aveva mai chiesto la sua opinione». Non si tratta di un episodio sporadico, insiste Riccardo: «Questa fioritura nel suo volto l’ho vista in molti altri ragazzi che vengono qui». Basti guardare a come è nata la cucina del Centro, spiega: «La necessità di dover mangiare prima delle lezioni del pomeriggio per tanti che arrivano direttamente da scuola ha unito e messo in moto ragazzi e staff per costruire un piccolo spazio dove preparare il pranzo. Può sembrare la risposta a un bisogno secondario, un accessorio. Invece anche questo permette che lo studio non diventi pesante, per loro e per me».



Monica, invece, inizia scusandosi: «Non parlo bene come Riccardo». È una delle tante studentesse straniere che frequentano Portofranco. E per lei, ormai, è una seconda casa: «Ho 17 anni. L’anno scorso è morta mia madre. Pensavo che la mia famiglia fosse distrutta, e io con lei». Ma poi è arrivata a Portofranco: «Nessuno mi ha costretta, ma era una possibilità. Non il classico posto con gente per cui lo studio è un peso». Monica lo capisce proprio in un periodo in cui era decisa a lasciare la scuola: «C’erano persone che mi volevano bene, che mi dicevano di non farlo. E mi hanno aiutata a ricominciare. Questo posto diventava sempre di più una seconda famiglia. Lo percepivo io, e lo percepiva chi mi stava intorno».

Delpini ascolta le testimonianze, parlerà alla fine, dopo quella di Giovanni, professore in pensione, “veterano” a Portofranco, qui fin dal primo giorno. All’Arcivescovo racconta di vite e fatti che gli sono passati davanti. Come quando arrivò una delegazione universitaria russa impegnata in alcune ricerche di pedagogia. «Non riuscivano a capire come si potesse aiutare gratuitamente qualcuno, sempre con uno sguardo di sospetto, come se non fosse possibile». Ancora, le lacrime di una madre davanti ad alcuni universitari che iniziavano il turno di caritativa: «Piangeva sempre per le cose belle, ci raccontò poi suo figlio». Giovanni racconta anche di suor Ada, scomparsa di recente: «Insegnava principalmente ai nuovi stranieri. Insisteva sempre su cose come dittongo e accento circonflesso. Litigavamo spesso per questo, ma anche perché, malata, non si voleva curare. Eppure non ha mai smesso di venire qui e a San Vittore, dove aiutava i carcerati. Fino ai suoi ultimi giorni. “Non capisci niente”, replicava lei: “doveva” stare con i suoi ragazzi».

«Che aggiungere?», fa capire Delpini colpito da tanta vita in un luogo che per la città è un «punto di riferimento nella prevenzione della dispersione scolastica, del disagio giovanile e nell’integrazione». Bastano poche parole, dice l’Arcivescovo, sottolineando che da un prete ci si aspetta che parli comunque, anche quando non sa cosa dire: «Posso e devo solo esprimere la mia ammirazione per la vostra fedeltà e per la vostra continuità». Una risposta al bisogno della società, un fattore di bene comune: «La gente può fare affidamento su di voi. Vi sono grato per la vostra testimonianza e desidero condividere questa convinzione: la vita è un’attrattiva, non un dovere. Solo così si superano gli scogli, uno su tutti quello dello studio».

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La benedizione è tutt’altro che formale, «impartita da uno di cui sentiamo profonda la paternità», commenta Bonfanti, prima della consegna dei Premi “Don Giorgio Pontiggia”, il fondatore di Portofranco. Aiuti economici, tra i mille e i duecentocinquanta euro, per rispondere ai bisogni di alcuni studenti. Quelli di Omar, con il suo desiderio di iscriversi all’alberghiero, o di Marianna, con i suoi problemi in famiglia. E di Kholoud, che vuole fare Medicina… E poi premi extra, da parte dell’intera comunità: una borsa di studio per Tissi che studia Economia, dei computer nuovi per alcuni che non possono permetterseli.
Si finisce così, tra giochi e qualche stuzzichino. Cose semplici. Per una storia tanto grande.