I ragazzi di Portofranco

Portofranco. Ecco dove può portare lo studio

Il video su don Giorgio Pontiggia, le testimonianze di Marco e David, due volontari. E il concerto finale. Martedì c'è stata l'apertura del nuovo anno del centro di aiuto allo studio milanese. Un'esperienza di rinascita per alunni e insegnanti
Roberto Perrone

Portofranco, malgrado il nome, non è a livello del mare. Quando scopro di dover salire cinque piani, sbuffo, però è una passeggiata istruttiva. Incontro ragazzi di tutte le razze (il 27 per cento degli studenti è straniero), con libri in mano di tutte le materie, dalla matematica al greco. Vengono fin quassù, perché, come i professori, da una parte e dall’altra della scrivania, anzi qui dalla stessa parte anche fisicamente, Portofranco è un luogo unico dove si impara che «ciò che è vero ti fa vivere tutto». È una delle frasi rimandate dal video che ricorda don Giorgio Pontiggia, scomparso, anzi “salito al cielo” come dice il presidente Alberto Bonfanti, dieci anni fa, il 19 ottobre del 2009. Giusto ricordarlo oggi, apertura ufficiale di Portofranco, mentre si avvia il ventesimo anno scolastico di questa sua creatura, di questo suo miracolo raccontato da volti, voci, fatti.

Il video l’hanno preparato al mattino Franca e Livia. «Volevamo mandarne uno con l’ultima assemblea con i ragazzi di GS di don Giorgio, ma l’audio non era buono». Così hanno assemblato, in fretta, questo. Bello. Sullo schermo scorrono volti e frasi di don Giorgio. «I giovani non vengono presi sul serio, proviamo ad affrontare insieme il bisogno che hanno». «L’educazione è sempre un rapporto». E la sottolineatura più importante, che abbraccia l’esperienza di Portofranco: «I professori sono rinati loro».

Il presidente di Portofranco, Alberto Bonfanti

Lo testimoniano, subito dopo, quattro dei 300 volontari che in un anno mettono insieme 15mila ore di lezione facendo risparmiare alle famiglie 500mila euro, hanno età, curricula, esperienze diverse, ma fanno la stessa esperienza di rinascita. Giuseppe Beretta è un professore universitario, business coach, è stato manager di aziende, ha vissuto a Parigi. Sua moglie gli ha fatto conoscere Portofranco. «E di questo la ringrazio, è qui in sala», dice: «Io mi occupo di crescita delle persone, di individuazione del talento. Qui mi si è aperto un mondo, qui i ragazzi vengono per imparare, ma anche per essere considerati. A Portofranco il tratto distintivo è la simpatia nella professionalità, la delicatezza nella disciplina. In una cornice di regole c’è un’attenzione per l’essere umano». La sintesi. «Una grande gioia».

Matteo studia in Cattolica ed è stato prima studente e poi insegnante. «Portofranco, scolasticamente, mi ha salvato. Tutto è cambiato quando ho capito che avevo bisogno di aiuto». Ricorda il suo tutor, Aurelio, e di aver imparato un metodo senza rendersene conto, un metodo che lo ha rimesso in piedi a scuola, doni che «sto provando a restituire». Si è segnato le cose da dire su un foglietto e ogni tanto lo tira fuori di tasca. «Lo studiare fine a se stesso non porta da nessuna parte. Quando c’è condivisione c’è contentezza». Alessandro, invece, racconta di un ragazzo che incontrava per i corridoi o nel terrazzino a fumare. «Passava più tempo così che sui banchi. Ho capito che veniva perché aveva desiderio di stare qui». Marco è al sesto anno di Medicina e al sesto anno tra queste mura. «Portofranco è un po’ come la mamma, uno torna a casa dopo una giornata dura, difficile, e la mamma è lì, c’è. I questi anni ho provato qualcosa del genere: bastava entrare per sentirsi a casa».

La festa

A proposito di talenti che a Portofranco non restano sotto traccia, Marco è qui in una doppia veste, non solo come testimone, ma anche come virtuoso della chitarra classica, diplomato al conservatorio, suona un brano di Schubert adattato per chitarra. David, che lo segue, esegue Bach al violoncello. Parla meno di Marco, quindi viene costretto al bis. Accetta, dopo breve resistenza. «Voglio ridare, in minima parte, quello che ho ricevuto». Prima di chiudere, Alberto Bonfanti dà qualche numero e rinnova l’invito a sostenere Portofranco. «Perché questa realtà è un miracolo che costa». Per informazioni: www.portofranco.org. E ora tutti al buffet.



Scendendo, ho in testa l’ultima frase apparsa sullo schermo. «I ragazzi non sono vasi da riempire ma fuochi da accendere». E improvvisamente me la trovo davanti, murales su un pianerottolo. All’andata non l’avevo notata. Eppure è bella grossa. Ma Portofranco è questo: entri distratto, esci concentrato.