Scuola: «Ecco perché serve vera parità»

La didattica a distanza, le incognite di settembre, le difficoltà delle famiglie. E un dialogo aperto con Governo e istituzioni che, per Marco Masi (Cdo-Opere Educative), non può che partire «da quello che abbiamo visto accadere in questi mesi»
Paolo Perego

«Occorre guardare con stupore a quello che abbiamo visto accadere in tante scuole in questo periodo, perché è qualcosa che né lo Stato, né i soldi e neppure un’organizzazione possono generare». Marco Masi, avvocato bolognese, guida da otto anni la Cdo - Opere Educative, associazione che raccoglie in tutta Italia circa duecento enti gestori di scuole paritarie, centri di formazione professionale e servizi educativi. Un totale di 750 realtà che accolgono 70mila studenti di tutte le età e 10mila dipendenti, tra insegnanti e personale non docente.
Nelle ultime settimane sulle scuole paritarie si è accesa la preoccupazione rispetto a una certa «mancanza di attenzione» verso questa parte del sistema scolastico pubblico che ha dovuto far fronte dalla fine di febbraio, come le scuole statali, al lockdown per il Coronavirus.
Il riconoscimento della parità scolastica delle scuole non statali nel sistema pubblico è, di fatto, qualcosa che «pur con tanti passi positivi negli ultimi anni» presenta ancora tante mancanze e fatiche. «Parliamo di oltre 12mila scuole che accolgono più di 860mila studenti», dice Masi. Molte di queste erano già in difficoltà prima del virus, per tanti motivi, dal calo demografico alla diminuzione delle vocazioni. E il lockdown non ha di certo aiutato, sia per una mancanza di entrate dirette - in tanti casi gli istituti hanno ridotto le rette e sono ricorsi solo in parte alla cassa integrazione per il personale -, sia per l’incidenza che l’epidemia ha avuto sull’economia di tante famiglie, costrette anche a rimettere a tema la scelta educativa per i loro figli. Le più colpite, le scuole per l’infanzia, che hanno sospeso, quasi tutte, l’attività fin da subito. Dalle associazioni famigliari alla Cei, passando per molte altre sigle, in tanti hanno evidenziato il problema chiedendo al Governo un intervento importante, soprattutto in vista della riapertura delle classi dopo l’estate.

Proviamo a fare il punto della situazione?
Realisticamente la preoccupazione maggiore riguarda proprio la riapertura a settembre. Ed è legata alle regole che verranno approvate in materia di sicurezza. Certe proposte che si sono ventilate non permetterebbero la sopravvivenza di nessuna paritaria se passassero. Noi, in un lavoro congiunto con le altre associazioni di scuole paritarie, abbiamo fatto delle proposte, dialogando con il Ministero, con le quali chiediamo innanzitutto una flessibilità di criteri che tenga conto, realtà per realtà, della territorialità, della logistica e delle strutture. Rispetto all’anno che si sta concludendo, le misure compensative annunciate finora, ammortizzatori sociali, riduzioni fiscali e contributi specifici, sono, per quanto inadeguati e insufficienti come dimensioni, utili a contenere i danni in quasi tutti i casi. Vero è che la fascia dei servizi educativi 0-6 anni, per cui le attività, salvo qualche caso, si sono bloccate del tutto, è quella più in difficoltà e i 65 milioni del Decreto legge 34 sono sicuramente insufficienti. Per la primaria e secondaria il Decreto Riparto prevede 70 milioni: uno sforzo apprezzabile, considerato che inizialmente non erano previste risorse, e solo nei giorni successivi, anche grazie all’appello della Cei del 18 maggio e all’impegno di tanti nel chiedere un segno di attenzione, sono diventate prima di 40 milioni e poi circa 70. Quindi, qualcosa si è fatto. Il Decreto ora deve affrontare l’iter parlamentare e confidiamo che questi fondi vengano accresciuti, certamente per l’infanzia. Per questo occorre proseguire il dialogo con le istituzioni, ma partendo sempre da quello che abbiamo visto succedere nelle scuole. Che è una realtà, non uno slogan.



Cioè?
Negli incontri che ho fatto in questo ultimo periodo, mi hanno colpito i racconti di tanti insegnanti, dirigenti e gestori. Tutti parlavano dello stupore per la mossa che si è vista fin dal primo momento di lockdown da parte di tutti. Di fronte a una circostanza imprevedibile, sono venute fuori la creatività e la dedizione nell’accettare la sfida di continuare a far scuola in condizioni diverse e con strumenti nuovi. Rispetto al mio ruolo nell’associazione, ho a che fare principalmente con chi gestisce queste realtà, e ho visto la grande serietà e professionalità di chi era coinvolto nelle decisioni che dovevano essere prese: la cassa integrazione per i dipendenti, la definizione dei rapporti con le famiglie, la revisione delle rette, la valutazione delle conseguenze economiche e finanziare. Ecco, tutto è stato affrontato con una tensione all’unità di tutte le componenti della scuola: consigli, dirigenti, insegnanti, famiglie. Un dialogo sempre aperto, anche con altre realtà del territorio e con le istituzioni. Ma, soprattutto, senza che prevalesse il lamento. E sì che siamo abituati, in ambito scolastico, ad avere a che fare con la pubblica amministrazione e ad avere sempre molto di cui lamentarci, a partire dalla mancanza di un’effettiva parità scolastica e di libertà di scelta delle famiglie…

E invece?
Guardi, il 2 aprile, in un incontro online tra vari gestori di scuole paritarie della Lombardia ho ascoltato una decina di interventi che parlavano di realtà diverse per dimensioni, territorio e sensibilità. Eppure, c’era un filo rosso che li legava. Tutti hanno raccontato di gente che, anche se in grande difficoltà, si è messa a lavorare a testa bassa, senza protestare di fronte a una circostanza che, sulla carta, per tanti motivi, si potrebbe prestare a reazioni e recriminazioni. Allora, non puoi non farti delle domande quando a emergere, nella diversità, sono i tratti di un soggetto che ha un’origine più profonda. E che viene prima della scuola in cui si lavora o dell’associazione a cui si fa riferimento. Sono i tratti di un’umanità interessante, positiva, capace di raccogliere la sfida di una circostanza nuova.

Perché questo soggetto è così importante?
Perché non si può che partire da qui per provare a fare passi avanti, anche verso una effettiva parità scolastica. Altrimenti si finisce per discutere solo di quello che manca. E invece c’è molto di più.

Per esempio?
Ciò che sono davvero le scuole paritarie. E come questo è venuto fuori in modo ancora più lampante in questi mesi. Parlo di una bellezza che conosco e che ho visto, fatta di realtà vive, presenti nel territorio. Ho in mente studenti desiderosi di incontrare gli insegnanti. Ragazzi, specialmente quelli più grandi, aiutati a guardare quello che accadeva intorno, con le famiglie che hanno apprezzato di più l’abbraccio e la proposta educativa della scuola per i loro figli. Da alcune realtà della Bergamasca mi sono arrivati dei racconti su cosa abbia voluto entrare in tante case colpite dal lutto e dalla malattia. Per tutti, ovunque, in questo tempo è stato evidentissimo il bene comune che una scuola, una relazione educativa, può portare, perfino di più di quando si è in classe. Prendere coscienza di questo non può che essere il punto di partenza per qualsivoglia rapporto con le istituzioni proprio perché è una risorsa per tutti. È questa positività, questo bene, che chiede giustizia, parità, libertà. E che possa crescere ed essere sostenuta.

In che modo può accadere questo?
Un’esperienza del genere deve essere incontrata perché si possano scardinare i pregiudizi, più spesso ideologici e anacronistici, che pur ci sono. Per questo, uno dei suggerimenti che diamo alle scuole paritarie è quello di invitare politici, amministratori locali e giornalisti a vedere, a conoscere cosa sono e cosa fanno. Se uno frequenta una scuola come quelle che conosco io, lo sfido a non essere grato dell’esperienza che i suoi figli fanno o che fa lui, se ci lavora… Parlare di parità scolastica a partire da quell’esperienza cambia radicalmente il modo di guardare le cose, fino al contenuto delle proposte e al giudizio sulle scelte per chi è chiamato a farne. A maggior ragione in questo ultimo periodo in cui il tema della libertà di educazione e di insegnamento ha avuto un accento e un tono più radicale.

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Ovvero?
Un insegnante, di fronte alla didattica a distanza, poteva scegliere di fare il minimo indispensabile. E invece nessuno si è tirato indietro, e lo capisci anche della gratitudine degli allievi. Lo stesso vale per le famiglie, che hanno verificato aspetti della scuola che prima erano in secondo piano, e quanto possono collaborare al bene dei propri figli. E, quindi, quanto valore abbia il poter essere protagonisti nella scelta della scuola. Per questo si può desiderare di condividere le esperienze, perché possano essere garantite e crescere. Ed è questo il più grande contributo che si può dare al bene comune.