Equipe GS e Cle. «Se questa storia è già mia»
Seicento studenti ed educatori a La Thuile tra gite, canti e assemblee. Per ascoltare come l'incontro che ha segnato la vita di un altro può cambiare anche la propria«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio». Con questa citazione da Le città invisibili di Italo Calvino, Matteo Severgnini (Seve) ha introdotto l’Equipe di Gioventù Studentesca e del Cle dal titolo “Ecco il paradosso: la libertà è la dipendenza da Dio”, dove, nel fine settimana, si sono ritrovati più di 600 tra ragazzi delle superiori e adulti da una decina di paesi europei.
L’«inferno dei viventi» è già qui: nelle guerre, nell’assenza di senso che riempie le pagine di cronaca in queste settimane, nella sofferenza per il limite nostro e degli altri, nella frustrazione del non capire il perché. «Che cosa fare con il dolore?», «come aiutare una persona cara che ha costruito dei muri attorno a sé?» e «come non avere paura della propria fragilità?». E ancora: «È possibile vivere intensamente tutti i giorni, a scuola, quando sono da solo?» oppure «si può riscoprire il nuovo nelle cose solite?». Partendo da queste domande, durante l'assemblea con Davide Prosperi si è imposto, in fondo, un unico interrogativo, che ha attraversato tutti i giorni insieme, caricandoli di una tensione palpabile: come può la vita essere autentica, vera e piena di significato? È possibile il “paradiso dei viventi”? Ed è possibile che sia già qui? L’alternativa, in quel salone a La Thuile, la conoscevamo tutti fin troppo bene: indossare maschere, conformarsi, cercare di dimenticare. Ma, per fortuna, non passa troppo tempo prima che diventi tedioso il vivere lontani da sé, prima che la fuga ci stanchi. Ciò che è decisivo, allora, è riconoscere chi e che cosa «non è inferno». I giorni dell’équipe sono stati un «dargli spazio» sorprendente.
Una ragazza polacca ha chiesto: «Qual è il metodo, il cuore di GS?». Risposta: l’incontro di Giovanni e Andrea con Gesù. Un incontro eccezionale per cui tutta la vita cambia, un incontro che, pur non risolvendo tutti i problemi, rende l’esistenza una grandiosa avventura. Oppure quello della Samaritana: apparentemente insignificante, se rapportato ai grandi eventi che scuotono la storia, e, a un primo sguardo, nient’altro che una fortunatissima coincidenza. Ma non è un incontro casuale: è il modo con cui siamo chiamati, scelti, preferiti e, ancora oggi, possiamo iniziare a scoprire che il nostro vivere non è “a caso”; è la modalità "ingiustificabile", senza quasi motivo, attraverso cui veniamo perdonati, abbracciati nelle nostre fragilità.
Una eccezionalità ingiustificabile, gratuita, che a La Thuile si è affacciata con prepotenza attraverso le parole dette, ma non solo. La gita in montagna di sabato mattina, il silenzio durante la salita, i canti alpini di fronte alle montagne, i pranzi tra ragazzi di paesi diversi con qualche professore che si improvvisa interprete, le cantate alla sera nella piazzetta dell’albergo: in tutto si è mostrata una familiarità singolare, come se tutti quegli sconosciuti fossero amici di lunga data. Alla domenica mattina, la testimonianza di una coppia di sposi ha ben descritto e documentato una strada promettente: Paolo e Teresa hanno, infatti, messo in evidenza i frutti che maturano in una vita vissuta come vocazione, come dialogo con un "Tu". Si è imposto qualcosa di desiderabile, preferibile, che ha lasciato tutti in silenzio.
Ma «come può la storia di un altro diventare mia?», ha chiesto una ragazza spagnola. Come tutto questo che ho di fronte agli occhi può diventare mio? Come la testimonianza di altri può diventare mia identità? Innanzitutto, ha risposto Prosperi, «solo se quella storia è già tua», solo se quell’avvenimento tocca ciò che è più tuo, più profondamente tuo: il tuo cuore. Un avvenimento talmente naturale da risultare eccezionale ci ha raggiunto come storia, come compagnia, come amicizia che in sé incarna il destino, ciò per cui le corde del mio cuore risuonano. Dare spazio a ciò che «non è inferno» ha significato in quei giorni e significa, una volta che si è tornati a casa, “impastarsi” con questa amicizia eccedente e invadente, con questo “paradiso dei viventi”, che non ha paura delle nostre paure e che ci invita a scommettere tutto su ciò che ci è accaduto e sul nostro desiderio. Allora, che la storia di un altro diventi mia non significa imitare o riprodurre delle forme, ma seguire la strada in cui il Mistero si rende presente.
Una ragazza, durante il viaggio di ritorno, ha espresso la sua gratitudine non solo per la bellezza vissuta in quei giorni, ma per il cammino di tutto l’anno e per la storia a cui appartiene. Un altro, durante il pranzo, in montagna, ha detto: «Ho capito che ciò che mi interessa in questa amicizia è diventare “adulto nella fede”», riprendendo un’espressione di don Giussani ascoltata durante l’introduzione. È commovente poter assistere a una storia che incomincia a diventare fisionomia profonda per dei ragazzi di 16 o 17 anni, essere spettatori di un desiderio che si spalanca e che fiorisce.
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Il sabato sera, attraverso canzoni, letture e filmati – da Lucio Dalla e Giorgio Gaber fino a Ernia e Marracash, passando per Le ali della libertà –, ci è stato proposto un percorso sulla libertà, tanto ricercata e rivendicata quanto ardua da ottenere e da mantenere, tanto promessa quanto, alle volte, illusoria. È possibile essere «libero-libero», come dice Giussani ne Il senso religioso? Una domanda vertiginosa, la risposta alla quale non è da meno: la libertà è la dipendenza da Dio, è rapporto con l’infinito. Ma come scoprirlo? Come verificarlo? Al ritorno da La Thuile, mi sono sorpreso più libero che all’andata: più compiuto, perché liberato dalla compagnia dell’Infinito che si è fatto carne, che si è reso sperimentabile; più libero, perché dipendente da una realtà umana che ancora una volta mi ha perdonato, cioè tirato fuori dal nulla dell’«inferno dei viventi» rilanciando la traiettoria dell’esistenza. «Mi è tornata voglia di tornare a scuola», diceva una ragazza, «e di giocarmi di più con GS quest’anno»: è lo “stare attaccati alla brocca” che contiene l’acqua che ci disseta a dare gusto al rischio di vivere veramente.