La giornata d'inizio anno dei Cavalieri all'Idroscalo

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Nel cammino al destino, anche quando la vita è dura, Gesù non abbandona mai gli amici alla solitudine e alla disperazione. Lampi di bellezza lungo la strada alla Giornata d'inizio anno dei Cavalieri
Valeria Cernetti

Una limpida luce settembrina inonda l’Idroscalo di Milano, silenzioso e quasi deserto. È mattina, i suoni sono ovattati, sullo sfondo si staglia il profilo delle montagne. Un gruppo di giessini e adulti si muove tra l’ingresso Riviera Est e il Bosco Sud: c’è chi allestisce il banco della segreteria, chi prepara microfoni e amplificatori, chi traccia i campi da gioco. Alle dieci è tutto pronto. Una fila di auto riversa sul vialetto ragazzi e ragazze, che si avviano verso il punto di ritrovo. Sono mille e provengono da diversi gruppi dei Cavalieri (l’esperienza cristiana rivolta agli studenti delle medie, ndr), dalla Lombardia al Piemonte, dalla Valle d’Aosta alla Liguria. C’è anche la Svizzera. «È bella la strada per chi cammina» è il titolo, tratto dal testo dalla canzone di Claudio Chieffo, che fa da filo conduttore alla Giornata d'inizio anno.

«Se "quello che cerchi c’è" – come recitava il tema delle vacanze estive –, dov’è?» , domanda don Marcello Brambilla, introducendo un amico, don Luca Montini. Per arrivare a trovarlo, infatti, occorre fare un cammino, che oggi iniziamo insieme. E per aiutarsi a capire che «quello che cerchi c’è» anche quando le cose vanno in modo diverso da come si vorrebbe, questo giovane missionario della Fraternità San Carlo, sacerdote da sei anni, racconta di come Dio si sia preso cura di lui, prendendolo per mano e trascinandolo a Sé. A partire da quando, a sedici anni, mentre lavora come cameriere a una degustazione di vini e formaggi, si rende conto, per la prima volta, di desiderare qualcosa di grande. Di fronte a un esperto che gli spiega i prodotti e come gustarli, don Luca, assaggiando, scopre sapori mai provati prima. Un’esperienza ben diversa dall’abbuffarsi di chi cerca di arraffare tutto e subito. Così capisce che, per gustare veramente le cose, le amicizie, tutto, bisogna andarci con calma, starci, seguire con pazienza, perché non si può capire tutto subito.

Un secondo passo don Luca lo fa quando, già sacerdote e missionario, viene mandato in Kenya, dove conosce un gruppo di suore che accoglie i neonati abbandonati da alcune tribù e dati in pasto alle iene o ai leoni perché nati con una disabilità o non voluti per altri motivi. Oggi sono circa sessanta, tra bambini e bambine, e lo colpiscono perché testimoniano il bisogno che tutti abbiamo di qualcuno che ci ami veramente. Come Elizabeth, che prova sempre a saltargli in braccio per prima; è anche attraverso di loro che capisce di più cosa desidera veramente.

Arriva poi al terzo passo, il più duro, ma il più decisivo. A Nairobi, dove si trova a gestire un ospedale, c’è bisogno di un’ambulanza. Il giorno che va in moto a ritirarla, una macchina attraversa la strada e lo investe, ferendolo gravemente alla gamba. Dopo molte operazioni viene portato all’ospedale di Brescia. Il verdetto è tremendo: l’unica soluzione l'amputazione. È arrabbiato: perché Gesù non ha fatto il miracolo di guarirlo? Pensa che non potrà più camminare, che tutti i suoi progetti sono destinati a fallire, che la vita è finita. Ma succedono due cose: un medico che ogni giorno lo viene a trovare gli dice che deve ripartire dalla domanda: «Chi sono io?». Pensa di saper rispondere, ma non lo sa. Se ne rende bene conto quando incontra una sua amica che lo guarda, lei sì, felice, perché c’è e non per quello che ha fatto o può fare.

La risposta a quella domanda è dunque: «Io sono un dono perché ci sono». Ma se ora sa rispondere è solo perché un’amica che lo ha guardato così. E si accorge che, vicino a lui, c’è sempre qualcuno che lo aiuta a risollevare lo sguardo verso ciò per cui vale la pena vivere: il medico che tutti i giorni gli porta la colazione, l’amica che si prende un giorno di permesso dal lavoro per accompagnarlo ad ascoltare il responso sull’amputazione della gamba, di cui ha paura. E quando, sconsolato e arrabbiato, non riesce nemmeno a recitare il breviario, un amico gli dice che avrebbe fatto due volte tutto ciò che lui non sarebbe riuscito a fare. Aiutandolo così a ricordare che, anche se la vita è dura, Gesù non ti abbandona alla solitudine e alla disperazione.

Tre sono i punti in cui don Luca sintetizza il contenuto del suo intervento: il desiderio di vivere alla grande; il fatto che abbiamo tutti lo stesso desiderio e siamo insieme per fare questo cammino; la certezza che, quando le sfide sono difficili, se si hanno vicino gli amici, tutto si può affrontare. E conclude: «Quello che cerco c’è e lo so perché l’ho visto con i miei amici». «Ma se uno non ha tutti gli amici che hai tu?», gli domanda un ragazzo. La risposta è un invito a guardarsi intorno: quanti ragazzi ci sono qui? Mille? È il Signore che ci regala questi mille amici per camminare verso Lui. E alla domanda: «Sei potuto tornare in Africa?», la risposta è negativa. Ma anche se i suoi progetti non si sono realizzati, don Luca ha iniziato a insegnare Religione e non vorrebbe essere in nessun altro posto, perché ogni giorno muore dalla voglia di andare dai suoi ragazzi e dire che c’è un motivo per cui vale la pena vivere. Perché la vita è bellissima, anche se le cose non vanno come vorresti. Un luogo dove poterlo sperimentare c’è: si chiamano Cavalieri.

Il momento della testimonianza di don Luca Montini

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Arriva l’ora del pranzo, poi è il momento dei giochi. Le squadre ce la mettono tutta per strappare la vittoria, l’agonismo è alle stelle, ma il clima di amicizia e divertimento sano prevale: non c’è neppure l’ombra di un antagonismo “cattivo”: tutti sono una cosa sola. La Giornata sta per volgere al termine, è il momento di radunarsi per ringraziare Dio pieni di stupore e gratitudine di fronte al riconoscimento di quanto concretamente Egli ci ami. Nell’omelia don Marcello riprende il tema del «gustare» le cose. Quando assaggiamo un cibo, c’è qualcosa in noi che ci fa capire se è buono. E ancora, riprendendo il contenuto di un gioco in cui la vista era impedita: se il nostro cuore desidera qualcosa, ma non riesce a vederlo, significa che c’è un ostacolo: l’orgoglio, la pigrizia… vanno rimossi! Altrimenti non si trova ciò che si cerca. Alla fine invita a osservare l’enorme pannello dove, nel frattempo, si è composta l’immagine di Piazza San Pietro sotto un cielo striato di nuvole. C’è un punto di fuga verso cui tutte le linee convergono: significa che quando uno trova qualcosa di bello e grande, tutto va verso quel punto. Quel punto è l'incontro con Gesù. Oggi abbiamo fatto il primo passo di questa strada.

Mentre tutti si preparano a tornare a casa, quella che potrebbe sembrare la fine è invece un inizio. Lo conferma quello che ci scrive, poche ore più tardi, una responsabile. Un ragazzo che la mattina, al momento della partenza per l’Idroscalo, aveva la faccia scura perché non voleva andare, durante la Giornata si è trasformato. Non c’erano gli amici con cui pensava di divertirsi, ma ha comunque partecipato da protagonista, pranzando e giocando insieme ad altri ragazzi, e il suo volto è cambiato. La sera, quando lo hanno riaccompagnato a casa, ha salutato tutti con un sorriso gigante.