Appassionato alla NOSTRA VITA

ANNIVERSARI - DON GIUSSANI
Fabrizio Rossi

A sei anni dalla morte, DON LUIGI GIUSSANI continua a generare un popolo. Arrivando anche a chi non l’ha mai conosciuto di persona. Dal docente musulmano al giurista ebreo, dal teologo ortodosso al pastore anglicano, passando per il giornalista ex sessantottino, il racconto di un’amicizia che, toccando il mondo, «ha cambiato me»

L’HO INCONTRATO IN DIO
Wael Farouq, American University in Cairo
A proposito di don Giussani. Lo incontro continuamente in tutti quelli che l’hanno conosciuto e amato, un po’ come il corpo di Cristo che gli oranti assumono con il pane durante la messa, trovando in esso unità e condivisione. Per tale motivo, sento che lui è sempre presente in mezzo a noi, con i suoi scherzi che ci fanno ridere e riflettere al tempo stesso.
Questa presenza nel mondo, nella realtà vissuta, è il segreto dell’influenza che Luigi Giussani esercita su chiunque l’abbia incontrato, indipendentemente dal tipo di incontro che ha avuto con lui. Per quanto mi riguarda - utilizzando la terminologia islamica per esprimere l’amicizia - l’ho incontrato in Dio e l’ho amato in Dio. Infatti, ogni amore veritiero che si prova per l’Altro è anche amor di Dio, nonché manifestazione della Sua grazia nel mondo.
La cosa più importante che don Giussani ha offerto a me e al mondo siete voi. Voi che avete vissuto assieme a lui l’esperienza dell’amore, trasformando una sublime astrattezza in realtà tangibile e vita vissuta.
I valori, i pensieri nobili, la conoscenza e la bellezza, sono descritti di solito come il «cibo dello spirito, della mente e del cuore», esprimendo in forma retorica la loro importanza per l’essere umano. Io vorrei ampliare il senso di questa metafora. Infatti, la conoscenza, le tradizioni e la bellezza, esattamente come il cibo, finiscono per deteriorarsi e diventare veleno, se non trovano chi le consumi, le assimili e le rimetta in circolo, nelle arterie della società umana. Se non prendono corpo, i valori si deteriorano. Se escono dalla realtà, avvelenano la vita. Allora si trasformano in cose diverse, come il fanatismo, l’ideologia e il dispotismo. La Bibbia ha eloquentemente espresso quest’idea con le seguenti parole: «Se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4,20).
Forse è proprio questa una delle lezioni più importanti de Il senso religioso, perché l’essere umano è la via più breve verso Dio, e la realtà è lo spazio dove incontriamo Dio in ogni momento.
Amici miei, prima di conoscere don Giussani in voi, e voi in don Giussani, tutte le belle cose in cui credevo erano un pesante fardello che mi spingeva a fuggire la realtà, perché in essa non trovavano realizzazione. Mi facevano sentire impotente, perché non riuscivo a praticarle. Respingevo chi non vedeva il mondo alla mia maniera, perché lo ritenevo un ostacolo sulla via del raggiungimento di quei nobili valori in cui credevo. A livello intellettuale, religioso e politico, mettevo in dubbio sia il bene, sia la bellezza, sia l’amore, quando proveniva da un altro diverso da me. Ero un romantico che sognava di cambiare il mondo, ma proprio per questo motivo vivevo isolato dal mondo. Soltanto la vostra amicizia mi ha fatto uscire da questo isolamento, oltre al vostro sincero desiderio di conoscermi e la vostra assenza di idee preconcette su di me. Io, arabo musulmano, non ho mai avvertito, nemmeno per un giorno, di non essere uno di voi. Come avrei potuto, dunque, non liberarmi anch’io delle idee preconcette su di voi e su me stesso? L’amicizia con voi non ha cambiato il mondo, ma ha cambiato me. Ho compreso che il male è transitorio, mentre l’amore è eterno, e che tutto ciò di cui abbiamo bisogno per rendere il mondo migliore, lo viviamo tutti i giorni senza prestarvi attenzione.
(Traduzione dall’arabo di Elisa Ferrero)

A BOCCA APERTA
Joseph Weiler, New York University

La mia amicizia con don Giussani e Comunione e Liberazione è iniziata per caso. Sono stato invitato al Meeting di Rimini nel 2003. Non avevo idea di cosa fosse. Pensavo che si trattasse di una sorta di convegno accademico, invece è stato un’esperienza che m’ha lasciato a bocca aperta. Qualcuno mi diceva che avrei avuto a che fare con brutte persone, intolleranti e così via, invece non ho mai visto un clima più aperto. Ad ogni incontro, restavo impressionato dalla varietà di voci: ebrei, musulmani, comunisti, atei, sovrani e povera gente, primi ministri, scrittori, scienziati... I miei migliori amici in Italia mi hanno chiesto due cose, quando sono stato a Rimini: «Come puoi anche tu far parte di “quella roba”?», ma anche: «Come si fa ad essere invitati?».
Cos’è che mi ha affascinato di don Giussani? Ha combattuto la posizione di tanti studenti che sostenevano che essere cattolici è solo una questione di fede, mentre la ragione è altro. Già negli anni Cinquanta, Giussani rispondeva: no, se non si può rendere ragione della propria fede con tutta l’intelligenza che si possiede, è meglio lasciar perdere. Una cosa assolutamente ammirevole.
Mi affascina anche l’insistenza di don Giussani sulla fede come esperienza di una Presenza, non innanzitutto di un discorso morale: è il significato cattolico dell’eucarestia. E Il senso religioso è un grande trattato di teologia.
(Dall’intervista di John Allen da National Catholic Reporter, 21 gennaio 2011)

LA COMUNITÀ DEL CUORE
Aleksandr Filonenko, Università di Charkov

Immaginate di avere ospiti, arrivati da lontano. Vi potreste aspettare che vi chiedano cosa vivete voi qui, che vi raccontino la vita da cui loro sono presi . Ma non vi sognereste affatto che inizino a parlare di ciò che li colpisce nella vostra vita, tanto più che neanche voi vi eravate accorti della straordinarietà da loro intravista o non le avevate dato credito. Da qui, lo stupore quando una cosa così impossibile accade e voi scoprite la vostra vita con il vostro stesso cuore, che reagisce alle parole degli ospiti. Gli ospiti, allora, diventano testimoni della Vita condivisa con voi. Diventano amici.
Non accade spesso. Qualcosa di simile, per esempio, s’è visto con il poeta russo Iosif Brodskij, che ha fatto conoscere ad inglesi, tedeschi, italiani e americani la poesia russa (e fin qui se l’aspettavano), ma soprattutto li ha colpiti parlando dei loro stessi poeti, restituendo loro Auden, Rilke, Montale, Frost... Questo no, non se l’aspettavano.
Proprio da questa meraviglia, al Meeting di Rimini del 2002, è cominciata la mia amicizia con il movimento. Mi ha colpito che degli italiani avessero scoperto le storie dei martiri russi del Novecento, nei pellegrinaggi all’ex gulag delle isole Solovki proposti dalla Fondazione Russia Cristiana. Ma ciò che ho trovato assolutamente stupefacente era che, grazie al loro sguardo attento, io potessi conoscere queste pagine tragiche del mio Paese. Ecco, la storia della nostra amicizia è fatta proprio di queste testimonianze, almeno in parte - spero - vicendevoli.
Questo sguardo, in grado di svelare in un’altra cultura, nel destino dell’altro, impressionanti testimonianze di ciò che opera Cristo, ha significato per me il primo segno di cos’è il movimento. E una prima domanda: come si educa questo sguardo? Da dove proviene? Incontrando l’esperienza di don Giussani, ho trovato la risposta.
Cos’è quest’esperienza per me? È l’esperienza della vita cristiana come testimonianza della presenza di Cristo nella realtà di ogni giorno. L’esperienza che la tradizione cristiana e ciò che vivo si incontrano grazie alla ragione, che paragona la realtà con il cuore. Un cuore colpito dalla realtà stessa, che risponde alla sua chiamata. In questi tempi di parolai e interpreti vuoti, che sulle rovine delle ideologie si sono stancati di moltiplicare analisi e interpretazioni, Giussani ha saputo testimoniare con inesausta freschezza la presenza impressionante di Cristo in ogni moto vitale del nostro cuore. Ci colpisce «non un discorso, ma una presenza».
Ha tracciato un percorso che porta a scoprire questa Presenza. Un percorso che mi invita a prendere sul serio l’apertura e le esigenze infinite del mio cuore, mentre ogni mia azione si esaurirebbe nell’impossibilità di raggiungere ciò che è essenziale. Questo percorso mi porta agli altri uomini, nella gioia e nella speranza, nel dolore e nella tristezza, perché io possa condividere con loro l’amore e la sofferenza. E possa testimoniare che Cristo compie ciò che è impossibile all’uomo, rispondendo all’infinità del cuore. In fondo, i viaggi degli amici italiani in Russia, Kazakistan e Ucraina sono anche un’impressionante metafora della possibilità del mio andare quotidiano - non meno arduo e lieto - incontro al prossimo.
Non ho mai incontrato don Giussani di persona, ma senza di lui la comunità del mio cuore, la comunità di amici al cui cospetto vivo ogni giorno, sarebbe impensabile.

HA SCOSSO I TIEPIDI
fr. Andrew Davison, Westcott House, Cambridge

Il mio primo incontro con don Giussani è avvenuto tramite una citazione da Il rischio educativo, in un saggio di Stanley Hauerwas. Il grande teologo criticava la tendenza protestante a favorire le idee all’esperienza, o a separare le idee dall’esperienza, e citava un passo in cui Giussani dice che per resistere all’assalto furioso del mondo abbiamo bisogno non solo di idee, ma di idee che siano radicate nell’esperienza. Quella citazione mi veniva molto utile, perché stavo scrivendo un saggio sul pericolo di inventarsi nuove forme di vita della Chiesa. Il mio intento era indicare la parrocchia come il luogo in cui sperimentare la riconciliazione del Vangelo, facendone esperienza in una comunità di gente diversa per età, professione e background.
Non molto tempo dopo, il teologo John Milbank mi ha suggerito di incontrare alcuni di Cl, dicendomi che per me e per la Chiesa d’Inghilterra sarebbe stato un bene. Mi sono preso a cuore questo compito, così è nata una grande amicizia con molte persone di Cl. Ecco come è andata felicemente intrecciandosi la mia conoscenza di Giussani attraverso i suoi testi e attraverso i miei amici del movimento.
La sfida per i cristiani oggi è verificare che la loro fede è vera e vivere di essa. C’è questo strano tipo di disagio, una certa stanchezza, per cui molti si dicono cristiani e vanno in Chiesa senza che questo produca un cambiamento nella loro vita. La fede sembra una convinzione tra tante, un’attività tra tante: vive così in uno stato intermedio di tiepidezza. La fede per molti non è ciò che determina tutto. Invece, o la fede è il motivo per cui potremmo persino abbracciare il martirio, o è nulla. Credo che il carisma di don Giussani consista proprio nel dire all’uomo del nostro tempo: «Non puoi camminare dormendo! Smettila di vivacchiare, di essere un cristiano tiepido!». Giussani ha una tale fermezza nella fede da dire a ciascuno, sfidandolo: «Guarda, verifica se è vero!». E questo è un rischio. È una strategia ad alto rischio, ma Giussani lancia questa sfida perché è certo di una fede vera.
Nella cappella dell’English College a Roma c’è una Crocifissione, con la scritta: «Ignem veni mittere in terram», «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra» (Lc 12,49). La Chiesa, e penso soprattutto alla mia, spesso si propone come moderata, al servizio di tutti, al fianco dei più poveri. Non voglio sminuire questi aspetti, ma per troppe persone la Chiesa non è una sfida reale. Credo invece che in don Giussani ardesse un fuoco e che l’abbia trasmesso agli altri. Mi viene in mente un inno attribuito a sant’Ambrogio: «La bocca, la lingua, la mente, i sensi, il vigore / cantino forte la Tua lode; / la carità s’infiammi del tuo fuoco / e il suo ardore accenda il nostro prossimo». Queste parole mi fanno pensare a Giussani e a Cl, per questo senso di amore, di un fuoco che viene trasmesso da persona a persona. Qualcuno può pensare che prendere sul serio la fede significhi essere persone seriose, magari un po’ tristi. Al contrario, il movimento è segnato da una gioiosità, da un andare incontro all’altro: questa mi sembra autentica letizia. Quella descritta nel salmo: «Com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme!».