Pietro Modiano

Pietro Modiano: «Non siete quello che si pensa. E vi dico perché...»

Viene «da molto lontano». E vede in CL qualcosa che non si aspettava. Intervista a Pietro Modiano, presidente della Sea, sul video in occasione dei 60 anni di CL (da Tracce, ottobre 2014)
Alessandra Stoppa

«Strani voi», ripete spesso. Strano anche lui. Di una stranezza che buca, fa bene. Classe 1951, ex banchiere (braccio destro di Alessandro Profumo in Unicredit e vice di Corrado Passera in Intesa), dal 2013 Pietro Modiano è presidente della Sea, la società degli aeroporti milanesi. Padre ebreo, uomo di sinistra (ex sessantottino, poi militante del Pci), rispetto a CL viene «da molto lontano e fin dall’inizio». È uno che critica e ringrazia con lo stesso intento: capire di più. Dice che è contento di aver visto il video per i 60 anni del movimento, «perché è molto bello. E perché mi dà ragione».

Ragione di cosa?
Di quello che io dico che voi siete. È un video che vi somiglia. Spesso la percezione di CL standone fuori è questa: Andreotti, Berlusconi, la destra, integralismo. E io da un po’ di tempo dico: l’identità è un’altra. E penso di avere ragione. Per chi, come me, non condivide e non ha condiviso il vostro schieramento politico, quel giudizio è stato facile. Ma oggi credo sia riduttivo. È contraddetto dai rapporti personali, che mi hanno molto incuriosito. Per esempio, vi trovo accoglienti. C’è in voi un elemento, che deve venire da Giussani per forza, di interesse verso le ragioni dell’altro. È molto strana questa cosa. Allora il problema è: qual è l’identità vera e qual è l’accessorio?

Secondo lei?
Io rivendico l’idea che l’identità non sia la parte, più esteriore e transitoria, delle scelte politiche. Certo, sono un elemento importante del ruolo storico di CL in Italia, ma non essenziale per definirne l’identità. 

Perché pensa così? 
Io per capire che sotto c’era una cosa completamente diversa ho dovuto conoscervi. 

Come ci ha conosciuti?
Appunto, io vengo da “lontano”. Per cui tra me e voi ci sono una serie di barriere ideologiche. Ma il mio rapporto con CL è tutto basato sulle amicizie. Iniziate quando sono arrivato a Torino, come direttore generale della Sanpaolo. Era più o meno il 2005. Incrocio Dario Odifreddi e, con lui, questa cosa assolutamente fuori dai miei schemi mentali che è Piazza dei Mestieri (centro di formazione professionale; ndr). Così mi trovo davanti questi ciellini “di destra” che fanno una cosa straordinaria, con una quota importante di volontariato e una quota importantissima di grande professionalità, capacità di progetto, dedizione, intelligenza.

E che cosa ha scoperto?
La parte principale, che è qualcosa che attiene molto all’amicizia: una delle cose che più mi hanno colpito leggendo la biografia di don Giussani. Uno degli elementi stranissimi che connotano questa organizzazione, che appare altrimenti settaria. Mentre voi siete, umanamente, tutto meno che settari. Siete molto curiosi e accoglienti. E questo, se sei esterno, ti stupisce. Perché non lo leggi nei libri, non lo leggi nei comportamenti politici. Veramente, sorprende. Allora mi chiedevo, come fa CL ad essere così accogliente - e lo è - e ad essere stata così divisiva, dal punto di vista politico ed ecclesiale? Questo, secondo me, ha a che fare con la storia di Milano e del Paese. Ma poi ti rendi conto che non è ciò che conta. L’essenziale dell’identità è un altro.
 
Quale?
Intanto, al centro c’è il fatto di identità religiosa. È l’identificazione dell’Avvenimento, come lo chiama Giussani, come il punto centrale di tutta la vita. Poi, come dicevo, l’amicizia. E l’obbedienza all’autorità, un’altra cosa curiosamente giussaniana che non capivo e che mi ha colpito moltissimo, e che credo protegga CL dal settarismo. È riconoscere di essere, prima di ogni altra cosa, parte della Chiesa.

Che cosa l’ha colpita del video?
È sorprendente la parte internazionale. Ho visto il Brasile, l’Africa, tanti Paesi... Veramente non ha molto senso diffidare di voi solo per risentimenti politici o ambrosiani...

Presentando Vita di don Giussani ha detto che oggi tra la sua storia e quella di CL tanti fili si riannodano. Quali? 
Tanti fili che si sono spezzati negli anni della lotta politica. Ci siamo selezionati su linee di discrimine non più attuali. Ed è anche per questo che sto bene con voi, perché si riscoprono tratti comuni. Vedo la stessa volontà di tenere insieme il mondo. Di aiutare chi ne ha bisogno, anche al di là del bisogno immediato. Per esempio il Banco alimentare, che c’è anche nel video. È una cosa straordinaria. Vede, la mia generazione ha avuto una passione civile pazzesca, mentre guardo i giovani di oggi e sono una generazione di soluzioni individuali, non si fanno domande collettive. Mi dispiace molto.

L’esperienza della Chiesa offre sempre, anche ai giovani di oggi, questa “dimensione collettiva”, come dice lei, della vita.
Infatti, è utile che ci sia da qualche parte una fiamma di soluzioni collettive, completamente controcorrente. Per questo mi piace vedervi. E, per certi versi, voi siete tutti uguali. Amichevoli e curiosi. Questo è un atteggiamento di vita. Vi potrei incominciare a riconoscere. Allora, o incontro persone di CL che casualmente sono tutte così... Ma, secondo me, non è un caso. L’idea di amicizia è una cosa che ho imparato molto da voi. Piazza dei Mestieri è una storia di amicizia, da un amico che muore nasce un progetto comune. E quella gente con me è stata accoglientissima. Uno può dire: eri direttore generale della Sanpaolo, litigare portava sfortuna... (ride). No. Non credo sia stato questo. 

Riprendendo la biografia di Giussani, lei sottolineava una cosa sull’amicizia: Leopardi è sempre fuggito lontano dal suo cuore perché «forse non ha trovato amicizia sufficiente, che lo rincuorasse fino a questo punto».
È molto difficile dirlo per me. In Giussani, ma credo nel cristiano, c’è questa idea che tutto ciò che fai su questa terra, tutto ciò che muove il tuo animo, la tua coscienza, la tua azione, se non ha all’interno “una cosa che sta fuori” è destinato a isterilirsi.

Sì, in un certo senso è così...
Invece per me non è necessariamente vero. Dico che se non faccio il bene “in nome di”, non necessariamente il bene darà meno frutto. Capisco che se il bene è illuminato dalla fede avrai più coraggio di farlo. Però non so se, senza, diventi “imperfetto”. Voi dite che tutto ciò che non ha questa illuminazione è meno grande, è meno fecondo. Se l’amicizia non fa il passo oltre la vita, sei infelice. Come Leopardi, appunto, secondo Giussani. Se tu hai “questa cosa”, certo hai più energia. Ma puoi fare del bene ed essere felice anche senza. Forse. Non lo so.

Per Giussani la prima obbedienza è alla propria esperienza, al proprio bisogno di eterno, di infinito.
Sì. E Giussani è lucidissimo: dato che Gesù è vissuto, morto e risorto - detto che è avvenuto questo -, ne consegue tutto. E se tu riconosci questa verità sul piano razionale, allora ne consegue tutto. Come dire: se esiste l’Incarnazione, la storia è fatta. E la tua responsabilità è esserne consapevole.

La felicità si gioca al livello di questa consapevolezza.
Però io un giorno sono rimasto colpito da un Vangelo: «Si prostrarono e alcuni dubitarono». Parla degli undici, all’Ascensione. Io sono andato dal parroco: «Che strano Vangelo è questo? È sorprendente». Quelli che dubitano sono gli stessi che vanno ed evangelizzano. Io ho sempre pensato che mettere al centro quello che Giussani chiama l’Avvenimento può dividere da chi cerca, mentre il riconoscimento del dubbio dell’altro ti rende accogliente.

Il dubbio che fa cercare, non il dubbio intellettualistico. Nel video il giurista ebreo Joseph Weiler dice: «In Giussani è più importante la domanda della risposta».
Capisco, sì. È la ricerca che unisce. Le risposte bisogna continuare a cercarle ma bisogna anche trovarne qualcuna, se no il dubbio diventa un esercizio estetico: il compiacimento del dubbio è stucchevole e non ti porta lontano. Io non sono affatto compiaciuto di stare a metà, non ci sto bene. Per questo, apprezzo chi mi accoglie.

Cos’altro l’ha colpita del video?
Don Julián Carrón. Era la prima volta che lo vedevo e sentivo. La cosa bella è quando racconta che Giussani gli ha detto che, proprio perché si sentiva sproporzionato a guidare il movimento, l’aveva scelto. Questa è una cosa importantissima. Il problema è sapere che il ruolo che rivesti in un certo senso ti sovrasta. Non è il problema di essere “inadeguato”, nel senso delle capacità... Se tu hai responsabilità su altri, il compito è più grande di te, perché va al di là di te. Non è solo la paura, è naturale averla. Sotto c’è un’idea di responsabilità che è un insegnamento per tutti. Quello che Carrón afferma lì è cosa ti permette di esercitare il potere in modo corretto. Dire: io non ce la faccio, è la dichiarazione di come si interpreta la responsabilità in modo da evitare le tentazioni del potere ed il suo abuso. 

Secondo lei, che contributo può essere per il mondo l’esperienza di CL?
Il contributo che può venire dalla “cosa” che ho visto nel video è collaborare all’abbassamento degli steccati fra le diversità. Ed io capisco che questo può essere fatto solo da chi è così sicuro della propria identità da metterla a disposizione. Ma questo, allo stesso tempo, è la vostra criticità: porta in sé la tentazione del settarismo. Bisogna far sì che la forza della propria identità - incardinata in un pezzo della storia - sia compatibile con l’accoglienza dell’esperienza del diverso. E, secondo me, è una cosa che può fare solo un grande movimento collettivo: è un problema insolubile per un individuo, ma non per una comunità, se è aperta, capace di far filtrare dentro di sé, come vediamo nel video, esperienze diverse. Il mondo intero. Quindi, quello che voglio dire è che alla fine può essere vero che CL voglia affermare l’identità di chi accoglie, oltre a difendere la propria. E questo è fondamentale: tutti coloro che lavorano per abbassare gli steccati lavorano molto bene. Per esempio, questo grande sforzo di evitare lo scontro ideologico con l’islam, che mi sembra che il Papa stia facendo, è da sostenere. È l’antidoto vero alla guerra.

Nel video Wael Farouq, professore di Lingua araba dice che questa amicizia lo fa essere un musulmano migliore. 
È un paradosso, ma è straordinario. Nella biografia ce ne sono molti, di questi paradossi.

Che l’altro sia spinto a diventare sempre più se stesso.
Sì. Ed è una cosa complicata. Ma, se credi davvero, i muri possono essere molto bassi, perché?non hai bisogno di luoghi fortificati. Mi immedesimo nel cristiano e penso che, più metti le radici nel fatto che Gesù è nato e risorto, meno avverti il bisogno di una sovrastruttura che si protegga e ti protegga.

Di fronte al mondo, l’amicizia o ciò che non è immediatamente “incidente” sembrerebbe niente. Ma Giussani diceva che «le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo». Pensando alla sua esperienza e agli anni di passione e impegno politico, che cosa le resta, che cosa ha imparato? 
Noi ci siamo convinti e poi ingannati su una cosa, che è stata un po’ la nostra retorica: la tua vita individuale ha il senso dei movimenti collettivi nei quali ci si impegna e ci si mette alla prova. La religione laica del progresso produce spesso cose buone, ma ti porta altrettanto spesso alla delusione. Anche perché, nella storia, i cambiamenti veri e profondi di solito non li producono gli strappi. E, per esempio, le religioni hanno più resistenza degli eserciti e della politica. Insomma, la generosità e l’importanza dei movimenti collettivi per la giustizia non sono in discussione, ma non sono meno importanti esperienze individuali e collettive che non siano finalizzate al progresso politico. Come voi. Ed è una diffidenza che non ho più. 

Per lei, cosa dà valore alla vita?
Se tu appendi la ragione della tua vita all’esito della storia, all’esito di una storia che deve essere così breve e straordinaria da esaurire nella tua stessa generazione le sue dinamiche, se tu subordini la ragione della tua vita a questo, o hai incrociato una contingenza storica straordinaria, o hai perso. Talmente è prorompente l’idea che il mondo va cambiato, e può essere cambiato, che quando ti delude la vita può perdere senso. Questo è un rischio. Per me, e per una parte della mia generazione, c’è il senso acuto che manchi una cosa. Ciò che a me manca è la convinzione di poter contribuire a far cambiare il mondo verso la giustizia. Poi voi mi dite: “No, tu pensi che ti manchi questa cosa, invece ti manca altro”. Il nodo per me irrisolto è questo.