Michael Lonsdale in una scena del film "Uomini di Dio"

Da Hollywood a Dio

Dal volto celebre sul grande schermo a quello nascosto di un uomo innamorato del Vangelo. Dopo aver vestito i panni del monaco di Tibhirine, Michael Lonsdale racconta (in anteprima) la sua «dolce» conversione (da Tracce, marzo 2015)
Carlo Dignola

«Ci sono cose molto belle nell’Upanishad, ci sono buddhisti meravigliosi, indù impressionanti per la saggezza, maestri sufi... Ho provato grande felicità nel leggere Lao-Tse e Confucio. L’uomo non cessa di cercare. Ma quello che di più vero ho letto durante la mia vita è il Vangelo. La parola di Gesù è la più giusta, quella che suscita più vita».
Michael Lonsdale, 83 anni, è un attore francese dal curriculum impressionante: ha recitato in circa 150 film, comprese grandi produzioni hollywoodiane come Munich di Steven Spielberg e Moonraker, della serie di James Bond. Ha lavorato per registi come Orson Welles, Truffaut, Malle, Godard, De Oliveira, Ivory, Buñuel, Olmi (Il villaggio di cartone). L’ultimo suo successo è del 2010, Uomini di Dio, un film che racconta la storia dei monaci di Tibhirine trucidati nel 1996 da un gruppo islamico armato, in Algeria. Lonsdale è in tv dagli anni Cinquanta, ed è un grande attore di teatro: ha recitato Sofocle e la Bibbia, Shakespeare e Proust, Samuel Beckett e Camus, Ionesco e Pavese...
Ora ha scritto un piccolo libro sulla sua vita, che esce tradotto in italiano da Lorenzo Fazzini per l’Editrice missionaria italiana. Si intitola Dare un volto all’amore. La mia fede da Spielberg a Tibhirine, e non parla dei successi professionali, ma del suo rapporto con Dio. È un uomo che al cristianesimo si è avvicinato per lunghe tappe; Gesù lo ha preso «dolcemente», come dice lui a Tracce: «Mio padre era un inglese protestante, mia madre una francese cattolica, ma in chiesa non si andava. I miei, cosa rara a quel tempo, avevano deciso di non battezzarmi. Mamma però amava molto Gesù: è stata la prima persona a parlarmi di Lui».

La ricerca. Quando Michael aveva 7 anni, la famiglia si trasferì a Rabat, in Marocco. Mi pare che il primo libro religioso che ha letto sia stato il Corano, giusto? «È vero. A 15 anni sono diventato amico di un musulmano, un antiquario di Fès», racconta: «Mi parlava di Dio, nei caffè della città, alla sera. Ero affascinato. Non sono mai diventato musulmano, però».
Non si è convertito sui libri. Sono stati certi incontri a cambiare la sua vita. Questa autobiografia è soprattutto un elenco di nomi, di luoghi, di momenti, di facce che sono diventate decisive per lui: «Per me Gesù è un uomo concreto, in carne e ossa». E come se ne è accorto? «Stavo cercando qualcosa e l’ho trovato in un domenicano meraviglioso, padre Raymond Régamey. L’ho conosciuto dopo essere rientrato a Parigi. Lo andai ad ascoltare perché spiegava i rapporti tra l’arte e la fede con grande passione. Presi un appuntamento al convento di Saint-Jacques. “Tu cosa cerchi?”, mi chiese. “Non so. Cerco qualcosa di vero, di buono, di grande...”. “Forse quello che stai cercando è Dio, semplicemente”, mi ha risposto».
La persona che ha cambiato davvero la sua vita, però, non è un religioso, ma una donna, cieca: Denise Robert. «Era una persona deliziosa: sempre sorridente, gioiosa, luminosa. Abbiamo passato interi pomeriggi insieme, parlavamo di tutto. Padre Régamey non sempre lo capivo, usava parole che io non sapevo neppure cosa significassero. Denise, invece, mi ha aiutato molto a diventare cristiano. A lei piaceva camminare per Parigi, conosceva bene la città. Mi portava nel Santuario della Medaglia Miracolosa in Rue du Bac. Ridevamo molto e intanto mi spiegava il Vangelo, mi ha detto tutto di Gesù».

Un uomo felice. A 22 anni Michael decide di farsi battezzare, proprio al Convento di Saint-Jacques. Madrina, naturalmente, Denise: «Quel giorno io piangevo, piangevo!», ricorda. Non era un luogo qualunque quello, negli anni Cinquanta e Sessanta era una sede intellettuale importante in Francia: «Lì ho incontrato grandi teologi, preti straordinari come Marie-Dominique Chenu, Yves Congar».
Un’altra svolta negli anni Ottanta, con la morte, in pochi mesi, della madre («è stata molto malata per tanti anni, ma perderla è stato duro»), di Denise e di altre persone care. Cosa le accadde in quei giorni? «Non avevo più voglia di vivere, non vedevo più nessuno, non sentivo più nulla». È allora che Lonsdale incontra il movimento del Rinnovamento carismatico e si avvicina alla Comunità dell’Emmanuele. Perché? «Vado regolarmente a Paray-le-Monial, mi piace questo luogo e la sua bella chiesa romanica. Ho trovato con gioia dei cristiani accoglienti, aperti, calorosi. E lì ho conosciuto anche padre Dominique Rey, che oggi è Vescovo di Tolone. È diventato un mio grande amico: mi ha aiutato molto».
Negli ultimi anni, Lonsdale come attore ha voluto dedicarsi «solo a opere di tipo spirituale. Questo ormai non è più un lavoro, ma il mio modo di rispondere alla chiamata di Cristo». Si è calato nei panni di preti, monaci, cardinali; è stato il Rettore della Grande moschea di Parigi, l’arcangelo Gabriele... «Ma ho interpretato anche ruoli di cattivi, ad esempio il diavolo nei Fratelli Karamazov».
Mi pare, però, che lei abbia portato in scena soprattutto dei cristiani “normali”, come il curato di campagna di Bernanos, Teresa di Lisieux, Madeleine Delbrêl... Perché? «Sono persone che hanno qualcosa da dire al mondo di oggi, che attende una speranza. Ho recitato anche I fioretti di san Francesco d’Assisi, il mio santo preferito. E ho incontrato diverse volte Guy Gilbert, che raccoglie i ragazzi per strada». L’impressione è che le piacciano i cristiani semplici e diretti, che abbia un’idea più “affettiva” che intellettuale della fede, non è così? «Sì», risponde sorridendo: «E infatti credo che sia straordinario questo nuovo Papa, Francesco. Sta cambiando le cose a Roma. Questa sua attenzione per i poveri è meravigliosa». Il suo punto d’arrivo, però, è stato indossare il saio di frère Luc, in Uomini di Dio. «Una figura così essenziale, così vera, così vicina alla santità. E poi per me è l’immagine di un uomo felice: l’amore del prossimo rende felici».

La profezia di Péguy. Ora Lonsdale ha trovato una nuova figura di cristiano che lo affascina molto: «Charles Péguy. Con un altro attore leggiamo sue pagine in teatro. È un uomo bellissimo, vedo che la gente è molto interessata a lui. Ed è straordinario che quello che Péguy disse cinquant’anni fa si stia avverando proprio ora, è stato una sorta di profeta. Anche in lui trovo decisiva la questione della speranza... Quando usciamo dalle messe, la domenica, la fede dovrebbe vedersi sul nostro volto, invece siamo spesso troppo timorosi».
Lei scrive che dentro l’uomo di oggi «qualcosa si è rotto»: cosa intende dire? «Vede bene quello che sta succedendo in Francia, o in Libia, con il terrorismo. Sono sconvolto. Quando ero giovane ho vissuto in mezzo ai musulmani in Marocco; ho avuto dei grandi amici, ma non erano assolutamente dei fanatici. I veri musulmani sono scioccati dagli attentati del 7 gennaio e dall’Isis. Non c’è scritto nel Corano che bisogna andare in giro a uccidere la gente in quel modo. I terroristi sono gente fanatica. È un momento molto difficile». Ma il male c’è sempre stato... «Certo. Ma è venuto il momento in cui, come cristiani, dobbiamo tornare al nostro compito». E qual è? «Diffondere l’umanità».