Paul Mariani. Nei versi di un amico

Il poeta e critico americano e l’intensa «convivenza» con gli autori del XIX e XX secolo. Su "Tracce" di settembre il racconto del suo incontro alla vacanza di una comunità di CL. Dove a un tratto smette di dare risposte e inizia a fare domande
Mattia Ferraresi

La prima cosa che colpisce di Paul Mariani è la voce. Un timbro caldo, grave, amplificato da una potenza solenne che sembra provenire da luoghi remoti, ultramondani. È un dono appropriato per un poeta, che si muove nella zona franca dove le parole e la musica si abbracciano. Quando recita il Salmo 62, la platea radunata sul prato si riempie immediatamente di silenzio. Rimane in sottofondo soltanto «l’esilarante farfugliare dei bambini», come lo chiama lui, ma più che una distrazione è un accompagnamento: «O Dio, tu sei il mio Dio, all’aurora Ti cerco, di Te ha sete l’anima mia, a Te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz’acqua».

Dall’anelito, dall’infinita sete dell’uomo per un “Tu” parte il percorso di Mariani, che poi è una grandiosa sintesi dell’esperienza umana fatta attraverso i versi dei poeti americani che ama. Mariani è un critico, poeta, biografo e professore di letteratura americana che prima di andare in pensione ha insegnato per oltre quindici anni al Boston College. Sono in particolare le sue biografie dei poeti americani del XIX e XX secolo ad averlo reso famoso presso critica e pubblico: opere documentate in modo meticoloso, scientifico, ma vibranti di vita, frutto di una convivenza intensissima con autori che non ha mai incontrato.

Quando inizia a parlare di Hart Crane, Williams Carlos Williams, Robert Lowell o John Berryman sembra che racconti degli amici di una vita, e dopo un po’ che ne parla si può togliere il “sembra”. Sono gli amici di una vita. Ha passato cinquant’anni in compagnia di Wallace Stevens, l’ultimo fra i poeti su cui ha scritto in modo esteso, e nelle pieghe del linguaggio, nelle variazioni della grammatica interiore, nelle immagini, nelle inflessioni misteriose che solo un orecchio allenato e un cuore sintonizzato possono intercettare ha trovato le prove di una conversione al cattolicesimo. Non ci sono “le carte” che lo attestano, dice ridendo, però la conversione è lì, sotto gli occhi di chi ha la pazienza non soltanto di leggere le parole, ma di instaurare un rapporto.

Quando inizia a parlare sembra che racconti degli amici di una vita, e dopo un po' che ne parla si può togliere il "sembra"

Quando ha avanzato questa tesi nel suo The Whole Harmonium: the Life of Wallace Stevens, uscito lo scorso anno, la critica ufficiale gli è saltata alla gola, generando una rissa intellettuale sulle pagine della New York Review of Books. Il mistero dell’assicuratore diventato uno dei grandi poeti della sua generazione, a proprio agio accanto a nomi del calibro di T.S. Eliot e Robert Frost, andava taciuto. Nel Soliloquio finale dell’amante interiore, una delle sue ultime poesie, Stevens scrive: «Di questa luce stessa, della mente centrale / facciamo un’abitazione nell’aria della sera / tale che starvi insieme è sufficiente». Nella lettura di Mariani quello «starvi insieme» non si riferisce alla generica compagnia degli uomini, ma proprio a quel “Tu” che solo può rispondere adeguatamente alla strutturale mancanza dell’uomo.

Quando Mariani legge i versi di Gerard Manley Hopkins, il suo poeta preferito, gli viene ancora un groppo alla gola, dopo tanti anni. Il racconto della notte oscura in cui lotta con “il mio Dio” toglie il fiato, perché è la storia di uomo che crede di aver dato tutto al Signore e invece si è tenuto una “riserva”, ha messo da parte qualcosa per sé, mentre «l’unica cosa che fa crescere è donarsi completamente». Poi, in un lampo di buonumore chestertoniano, esclama: «Amo quest’uomo!» e schiocca un bacio nell’aria.

Hart Crane e il Ponte di Brooklyn

Mariani ha accettato di schianto l’invito a tenere un incontro sulla poesia americana alla vacanza della fraternità di CL di san Francesco Saverio, un centinaio di giovani provenienti da tutta America radunati nel verde dei Catskill, a qualche ora di macchina da New York, con una percentuale di bambini da immediata risoluzione dell’inverno demografico occidentale. Anche Julián Carrón si è unito al gruppo.

Il percorso di Mariani ricalca quello del settimo capitolo de La bellezza disarmata, dove Carrón ripropone l’eterna traiettoria del desiderio umano di significato che matura fino a diventare domanda: «Questo desiderio non può sopravvivere neanche pochi minuti, se non diventa domanda, perché la vera forma del desiderio è la domanda: si chiama “preghiera”», scrive. Don Giussani per tutta la vita ha dialogato con i poeti che hanno espresso in forma sublime il desiderio infinito dell’uomo, da Leopardi a Lagerkvist, da Rebora a Montale, e Mariani racconta che anche la poesia americana, specialmente quella dei modernisti del secolo scorso, brilla della stessa luce.

Occorre implorare il cielo di scendere sulla terra, come Hart Crane fa nella sua ode al Ponte di Brooklyn: «Slànciati / verso le nostre bassezze, e qualche volta scendi».

È il senso religioso il motore delle parole di questi uomini alla ricerca, ma i critici laureati dicono che è una stoltezza dirselo. Se Hart Crane parla della «torre spezzata», gli esegeti non vedono che un simbolo fallico, e leggono ogni parola attraverso la lente interpretativa della sua omosessualità, mentre Mariani scorge una torre che si erge per raggiungere un significato ultimo, ma le energie umane non possono sostenere lo sforzo titanico. Occorre implorare il cielo di scendere sulla terra, come fa nella sua ode al Ponte di Brooklyn: «Slànciati / verso le nostre bassezze, e qualche volta scendi».

Intessuto nei versi oscuri che Mariani dischiude si trova anche un dialogo con la donna ideale, Maria, una presenza ricorrente e sempre taciuta. Il percorso di Mariani procede per immagini, scorci, lampi, salta di intuizione in intuizione, perché i poeti si occupano delle cose, non dei ragionamenti. La sua presentazione è una sequenza di fotogrammi come quella del cinema degli anni Venti di cui parla Crane. Mariani apre e chiude la mano davanti agli occhi sgranati dei presenti e dice «clic clic clic», per rendere visivamente l’idea dei vecchi cinematografi. Ogni «clic» è un’istantanea che sinteticamente racconta di uomini come tutti che hanno avuto il dono di saper comunicare la portata della loro domanda esistenziale. C’è il medico del New Jersey che si sorprende ad ascoltare le campane, il manager borghese del Connecticut che vive un tormento che nessuno vede, il missionario gesuita che voleva convertire il Galles e non ha visto nemmeno una delle sue poesie pubblicate quand’era in vita. E chissà quanti gallesi poi si sono accostati alla Chiesa, quando finalmente sono state pubblicate le poesie di Hopkins.



Ci si potrebbe chiedere se la poesia sia ancora in grado di parlare all’uomo contemporaneo, ma la vera domanda è se ci sono ancora uomini che non hanno rinunciato a desiderare l’infinito. Dentro questo respiro non c’è una vera distinzione fra la poesia e la vita. Mariani lo ha testimoniato non soltanto condividendo la sua expertise, parola terribile, ma immergendosi senza riserve in quelle giornate di vacanza, dalle Lodi mattutine fino alle discussioni a tavola assieme alla sua amata Eileen. Chiacchierava con Charles e Paolo all’ombra della grande tenda, mentre orde pacifiche di bambini - e adulti - giocavano sul telo insaponato; rispondeva affabile alle domande di tutti; guardava con amicizia e diceva «è soltanto l’inizio» a persone incontrate pochi minuti prima. Nel rapporto con questo “Tu” ogni cosa è unita, dalle Odi di Pindaro ai frizzi.

Davanti a un taco messicano, Mariani ha smesso ben presto di rispondere alle domande di quelli che erano attorno e ha preso a farne, rivolgendosi a Carrón, sul movimento, su Giussani e il suo rapporto con Leopardi misterioso e bellissimo, analogo a quello che lui ha stretto con i poeti di cui è diventato amico lungo la strada. Qualcuno s’è quasi scusato per la confusione creata da così tanti bambini in libertà, non proprio l’ambiente ideale per un accademico desideroso di avere conversazioni strutturate. Lui ha risposto: «È così che m’immagino il Paradiso».