Ezio Mauro

Ezio Mauro. Il battito collettivo

Una «nuova solitudine culturale». E sociale. Tra grandi emergenze e una crisi che intacca la democrazia. L’ex direttore di Repubblica racconta (su Tracce di ottobre) perché si è «testimoni infedeli ma inesauribili del bene comune»
Alessandro Banfi

Ezio Mauro ha tutte le caratteristiche del giornalista di razza. Curioso, sensibile, studioso. Fin testardo nell’interessarsi alla realtà. Ha diretto La Stampa e la Repubblica. L’ho conosciuto al Consiglio comunale di Torino alla fine degli anni Settanta. Già allora era il più bravo di tutti. Lui scriveva per La Gazzetta del Popolo, io, ragazzino, collaboravo a Radio Incontri, emittente dei Salesiani. Poi per un lungo periodo, a Roma dove ci siamo ritrovati, abbiamo parlato e discusso della Chiesa, dei cattolici, di CL, molto anche del Sabato, che seguiva ogni settimana. Da qualche anno finiamo, quando ci incontriamo, per parlare di don Giussani e di don Carrón. Se dovessi dire due intellettuali che sono stati per lui un punto di riferimento, farei il nome di Norberto Bobbio e di Gustavo Zagrebelsky. L’ultimo suo amore, in questo campo, è stato il sociologo Zygmunt Bauman, con cui ha scritto, prima che mancasse, un prezioso libro-intervista per Laterza, Babel. Il retro di copertina recita così: «Sospesi tra il non più e il non ancora, il nostro è il tempo indecifrabile dell’interregno». Partiamo da qui, in questo colloquio con Tracce.

Hai scritto di recente un articolo su L’Espresso sulla crisi della civiltà occidentale, che si manifesta oggi in tre emergenze: l’ondata migratoria, la crisi del lavoro e la minaccia terroristica. Ad un certo punto scrivi: «Sotto il battito continuo dell’onda post moderna resistono solo i risentimenti, le emozioni». Viene in mente la vecchia distinzione della logica medievale, che attingeva all’etimologia. Le emozioni sono passeggere e volatili (viene da un verbo di moto), i sentimenti sono stabili e duraturi (stessa radice di sentenza, sono i giudizi del cuore). I ragazzi di oggi si commuovono di più per Totti che per i morti del grattacielo di Londra...
Bisogna riportare i giovani a sentire, cioè a capire. Mentre oggi basta partecipare al battito collettivo, non interessa il dibattito, la riflessione sulle cose. La partita in gioco è invece, come sempre, la grande partita della conoscenza. L’informazione oggi è alla portata di tutti, è diventata un pulviscolo che ci circonda. Quanta di questa informazione si trasforma in conoscenza? E quindi in coscienza di sé e degli altri? La conoscenza genera partecipazione e alla fine genera cittadinanza, ma anche altre cose: umanità, relazioni, amicizie. Sentimenti che oggi troppo spesso sono sostituiti dagli istinti. L’istinto ha una pretesa fortissima di protagonismo. Anzi, l’istinto si fa esso stesso politica, senza mediazioni e senza elaborazioni. È ciò che io chiamo “spaesamento democratico, solitudine repubblicana”.


Bisogna riportare i giovani a sentire, cioè a capire. Mentre oggi basta partecipare al battito collettivo, non interessa il dibattito, la riflessione sulle cose

E come lo spieghi?
Le tre emergenze della fase attuale - economica, terroristica, migratoria - superano tutte la dimensione nazionale: pesano sul singolo, che è solo. Una nuova solitudine culturale, non si hanno più strumenti interpretativi... E anche una solitudine sociale, perché magari hai perso il lavoro o basta un divorzio in cui il coniuge figura nullatenente e non paga gli alimenti. Facile che si arrivi alla solitudine politica, di fronte a un mondo che sembra fuori controllo.

La democrazia in Europa sembra perdere colpi anche per le spinte autonomiste, come quella catalana...
Rovescerei lo schema: dove la democrazia si infragilisce e non risponde alle domande che nascono dalla vita quotidiana delle persone, nascono riflessi difensivi, si restringono gli orizzonti, crescono nuove gelosie del presente, si scopre la volontà di non dividere ciò che si ha, senza accorgersi che così si retrocede da cittadino a individuo. E un ritaglio di sovranità più vicina, ogni volta più chiusa, modellata su se stessi, sembra essere la risposta che dà più sicurezza: mentre invece è un’illusione.

In Germania, dove quasi non c’è crisi economica, c’è stata un’affermazione dell’Afd, una destra xenofoba.
Questo è vero in particolare ad Est, nella ex Ddr, dove esistono differenze rilevanti con l’Ovest, dove pesa la deindustrializzazione, dove l’establishment in gran parte occidentale è difficile da scalare. Come se la libertà riconquistata dopo il comunismo, il benessere ritrovato, la democrazia condivisa, non contassero, o non funzionassero da anticorpi. L’Occidente è stato capace di liberare popoli, Paesi, individui: non è capace di convertire, o almeno di conquistare.

L’Occidente è stato capace di liberare popoli, Paesi, individui: non è capace di convertire, o almeno di conquistare

C’è stato anche un ministro delle Finanze in Germania, come Schäuble, che ha teorizzato l’inutilità del suffragio universale, parlando della crisi economica greca...
Mai la crisi aveva toccato il muro della democrazia. La gente si rivolge al potere nazionale, che è quello che conosce, quello con cui erano abituati a relazionarsi i padri, e il potere nazionale sembra dire ai cittadini: sono emergenze che sovrastano me e te, insieme. Non posso risolvere questi problemi. Alla lunga, come spiega Bauman, i cittadini pensano che andare o no a votare sia la stessa cosa, perché la posta in gioco è così bassa che tutto diventa indifferente. Aggiungiamo che la disuguaglianza che era fisiologica nella democrazia (quando funzionavano ancora il welfare e l’ascensore sociale), oggi è diventata esclusione.



Quella che papa Francesco chiama “economia dello scarto”...
Il problema è che la democrazia può prevedere e scusare le disuguaglianze, ma non può tollerare lo scarto, l’esclusione. O lavora per tutti, oppure c’è nel suo meccanismo qualcosa che non funziona. In questo senso dico che siamo arrivati a toccare il muro maestro della costruzione democratica, che garantisce tutti. E infatti anche il pensiero liberale è in crisi. Arriva Trump e dà uno scossone, dice: il pensiero liberale non mi rappresenta, la cultura occidentale non è la mia. Ci sono delle ragioni sufficienti, mi pare, perché il cittadino si senta spaesato e anche inquieto.

Julián Carrón, in un’intervista a El Mundo, ha ricordato come nemmeno lo sforzo grandioso di Kant sia andato a buon fine... I valori etici senza la loro radice cristiana non sono più condivisi. E allora pensavo al tuo rapporto con Norberto Bobbio. Un grande intellettuale (chiarissima la sua posizione sull’aborto) che portò avanti, fino alla fine, il disegno kantiano...
Sono venute meno quelle strutture di formazione dell’opinione pubblica che erano i partiti. Si rifacevano ad un’idea del Paese, a degli ideali, veicolavano valori insieme con tradizioni e interessi legittimi, oltre a una visione del mondo. Svolgevano una funzione pedagogica, erano agenzie culturali. Oggi abbiamo tutti partiti nati mercoledì scorso, non hanno nozione di sé: prova a domandare oggi a un deputato del Pd se è laico, ti chiederà qualche giorno di tempo per pensarci. C’è la convinzione che la politica possa stare in piedi senza una radice culturale. Ascoltare le persone, rispondere alle loro domande, questo non c’è più. Non ci sono più un radicamento popolare e un fondamento culturale. Come fanno a stare in piedi i partiti? Sono delle sovrastrutture artificiali. Infatti i leader si vergognano a usare le parole identitarie, dicono che sono vecchie. In realtà suonano vecchie perché loro non sanno più pronunciarle. Non sono credibili, in quanto non sono autentici. C’è una frase di Albert Camus del 1958 in cui dice: «Mai un numero di persone umiliate è stato così grande come in questo periodo».

C’è la convinzione che la politica possa stare in piedi senza una radice culturale. Ascoltare le persone, rispondere alle loro domande, questo non c’è più

Sembra scritta oggi...
Appunto. Trovi persone che a 35 anni non sono entrate nel mondo del lavoro, non si sono potute costruire una famiglia. O che a 55 perdono il lavoro e per la prima volta si accorgono che non ne troveranno un altro. Che cosa facciamo di questi tagliati fuori, di questi scartati? Al mio paese di origine, Dronero, provincia di Cuneo, 7mila abitanti hanno accolto 700 migranti, tantissimi. Ogni tanto guardo questi anziani che magari non hanno mai messo piede fuori dall’Italia e che si trovano il mondo rovesciato nel giardino sotto casa... Dobbiamo farci carico della parte più fragile della nostra popolazione, più sola, e delle sue inquietudini, dobbiamo spiegare e rassicurare. La sinistra deve declinare insieme il tema dell’accoglienza e quello del governo sicuro dell’emergenza. Quando le mamme italiane di Gorino protestano per le dodici madri immigrate portate nel paese dalla Prefettura hanno torto, ma quando dicono: «Qui non c’è niente neanche per noi», abbiamo torto noi se non le ascoltiamo.



Il populismo come sintomo di un malessere reale. Subito dopo l’elezione di Donald Trump, Giorgio Vittadini in un’intervista a Vita ha sostenuto: «È l’esito di un mondo che non ha più coltivato degli ideali in cui credere e per i quali lottare. Io non credo all’ideologia di Trump, ma credo che la risposta al populismo non sia questa sinistra mondiale che, avendo sposato il liberismo, abbandonando Keynes, si è votata al disastro totale»... Era il giudizio di Augusto del Noce: la politica ha ceduto alla finanza, la sinistra, dopo la caduta del comunismo, ha ceduto alla tecnocrazia...
Norberto Bobbio è stato un grande critico del comunismo eppure, dopo la caduta del Muro, si poneva la domanda: adesso chi si farà carico dei problemi degli ultimi e delle grandi speranze che la sinistra rappresentava? Fortunatamente sono cadute le ideologie, ma sembra esaurita con loro anche la capacità di pensiero. Di strutturare un’idea. La politica senza questo fondamento non dura nulla, può essere gettata su qualsiasi mercato in base alle convenienze del momento.

L’ignoranza diventa una virtù...
Di più: oggi l’ignoranza è sinonimo di innocenza. Io non c’ero, non sapevo. E quindi sono assolto. Se ci rifletti, è un passaggio terribile. Il fatto che io non sappia nulla diventa una garanzia. “Vengo dal nulla, quindi puoi fidarti di me, garantisce la mia inesperienza”. C’è un azzeramento del valore della competenza, è visto con sospetto, sa di casta. Quando si dice no alla casta, si dice no a network autoreferenziali e autogarantiti che confiscano la mobilità e l’innovazione del sistema, ma quando si fa di ogni erba un fascio si butta spesso a mare anche un deposito di sapere, di esperienza, di conoscenza. Detto questo, la sinistra ha le sue colpe. Risolto il suo problema col capitalismo e con la libertà e quindi col comunismo, la sinistra non ha messo in campo, non dico tanto, ma una ricerca culturale concorrente. E così il pensiero ultra liberista che ci ha portato nella crisi è rimasto l’unico pensiero che pretende di farci uscire dalla crisi. E ora la sinistra lascia il campo libero ai populisti e dà l’impressione che l’unica alternativa percorribile sia fuori dal sistema. Mentre ciò accade perché il sistema non è capace di produrre un pensiero alternativo. Il problema col capitalismo è risolto, il problema con la libertà anche, siamo tutti liberali. Ma bisogna mettere in campo almeno un’obiezione culturale, un’opzione diversa, un dubbio. E questo manca.

Oggi l’ignoranza è sinonimo di innocenza. Io non c’ero, non sapevo. E quindi sono assolto. “Vengo dal nulla, quindi puoi fidarti di me, garantisce la mia inesperienza”. C’è un azzeramento del valore della competenza, è visto con sospetto, sa di casta

Ma esiste ancora una vitalità interna al sistema?
Sì, da questo punto di vista, alcuni accenti di Carrón e le cose che ricordavi di Vittadini non mi trovano d’accordo. Non penso che i valori liberali siano finiti, nel senso della capacità di realizzare una convivenza. Kant e Bobbio non hanno fallito. I principi della democrazia liberale vivono di presupposti che possono essere realizzati anche senza il trascendente. Nella fatica dell’umano e nel rispetto dei diritti di tutti, di chi crede e di chi non crede. Nei Parlamenti, ad esempio, non esiste una verità con la “V” maiuscola, tutte le verità sono minuscole e relative, decide di volta in volta la legge dei numeri. Credo sia possibile una strada di questo tipo, perché la democrazia nel suo banale costume e consumo quotidiano è un sistema di garanzie e di obbligazioni reciproche che nella libertà ci scambiamo l’un l’altro, tendendo al bene comune, di cui siamo testimoni infedeli ma inesauribili.


Se dovessi sintetizzare in parole chiave questa strada, cosa diresti?
Una chiave sola, che le riassume tutte: credere nell’uomo, nella sua fragilità e nella sua tensione verso la libertà e la conoscenza, l’emancipazione. Peccare contro l’uomo è secondo me il più grande peccato.

Nel discorso per il Premio Carlo Magno, papa Francesco ha parlato di una possibile nuova Europa. Dice: «Dobbiamo passare da un’economia liquida (ancora Bauman, ndr.), che tende a favorire la corruzione come mezzo per ottenere profitti, a un’economia sociale (...). Questo passaggio non solo darà nuove prospettive e opportunità concrete di integrazione e inclusione, ma ci aprirà nuovamente la capacità di sognare quell’umanesimo, di cui l’Europa è stata culla e sorgente».
La parola che mi tocca più da vicino è “sociale”. Ma la parola più nuova è “inclusione”. Quella che risponde di più ai bisogni di oggi. Inclusione che va coniugata con “emancipazione”. E qui non c’è distinzione fra laici e cattolici. “Inclusione” ed “emancipazione” sono le due parole per una sinistra nuova oggi. Non le senti risuonare molto, purtroppo. Eppure cosa c’è di più moderno di questo concetto, che chiama subito in campo quello di responsabilità?

La parola più nuova è “inclusione”. Quella che risponde di più ai bisogni di oggi. Inclusione che va coniugata con “emancipazione”. Cosa c’è di più moderno di questo concetto, che chiama subito in campo quello di responsabilità?

Il Papa oggi ci dice un’altra cosa: è il tempo della carità. Mi ha colpito rileggere, di recente, le ultime pagine di un grande classico come La fine dell’epoca moderna. Il potere di Romano Guardini. In una specie di profezia, visionaria, dice che la Chiesa parlerà «forse» solo attraverso la carità...
Non dimentichiamoci però che l’Europa, non gli Stati Uniti o il Giappone o, che so, l’India, ma l’Europa è passata dalla beneficenza al welfare. Dalla carità al diritto. È avvenuta una costituzionalizzazione dello spirito sociale e insieme una specie di parlamentarizzazione della lotta di classe. Non è una cosa da poco. L’istituzione ha dato forma al solidarismo cattolico e alla fraternità socialista. Anche un senzatetto può essere curato in un ospedale senza dover esibire prima una carta di credito. Anche questo - il tavolo di compensazione dei conflitti, il vincolo di società e di destino tra il ricco e il povero - noi europei portiamo nel concetto di Occidente. Che non è soltanto un’espressione geografica. Prima eravamo definiti per differenza dalla mancanza di libertà dell’Est. La crisi attuale è un’occasione per ripensare l’Occidente, che è ciò che noi siamo e ciò che vorremmo essere. Nella lotta al comunismo e nella memoria della vergogna nazista abbiamo costruito anticorpi, una coscienza della democrazia, delle costituzioni, delle istituzioni. C’è un bene comune europeo, da difendere.