(Foto: Archivio Meeting)

Chi sono io?

Le “donne di Rose” arrivate da Kampala, in Uganda, sono state le protagoniste di una delle mostre più visitate del Meeting, dal titolo “Tu sei un valore”. Ecco cosa hanno vissuto nei giorni a Rimini. Da Tracce di ottobre

Anifa. Con quello che ho visto nella mia vita, non potevo neanche sognare che sarei venuta qui. Nel nostro clan nessuno è mai uscito da Kampala, credo che lo scriveranno sui giornali. Mi stupisce la gente. Questo cuore “italiano” visto prima in Rose (Rose Busingye, fondatrice del Meeting Point International di Kampala, ndr). Mi ha stupita una ragazzina di 11 anni, ha visto alla mostra il video dei nostri racconti e ha pianto. Ho pensato: che cuore Dio ha dato a questa gente! Io non ho mai visto persone con una tale amicizia che viene dal cuore. Io sono abituata che ti vogliono bene per quello che hai, per l’apparenza, e nessuno considera chi sei. Ora la certezza va avanti, cresce la domanda: chi sono io? Quando torno a casa dirò ai miei figli: non siamo da soli, non siamo ricchi, ma non siamo soli. C’è chi ci ama. Se tutta la gente avesse questo cuore, il mondo cambierebbe. Io sono musulmana e molti mi chiedono perché seguo persone che non sono della mia religione. Mi chiedono perché vendo Tracce, se non so leggerlo. Io lo vendo perché so che quello che c’è scritto dentro ha un valore. C’è solo la bellezza. Non smetterò mai di venderlo. Chi mi critica perché cammino coi cattolici, per me è “indietro”, ma mi aiuta a riscoprire cosa sto seguendo: io so cosa guadagno dentro di me, lo faccio perché aumenta la mia vita. Mi aumenta l’essere. Seguo gli incontri con Julián Carrón, anche se non capisco tutto: lo guardo e sento che ciò che sta dicendo entra nel cuore. Anche al mattino ripenso alle parole di quell’uomo, mi dà ancora la vita, l’essere. Se non seguivo, io non ero ancora viva. Quello che raccontiamo nella mostra è poco rispetto a ciò che abbiamo passato. È come un puntino. Abbiamo vissuto una vita che fa paura.

Akello Florence. Per me è la prima volta in Italia e al Meeting. Sono arrivata qui e ho iniziato a vedere una cosa mai vista. Rose mi dice sempre: «Non ti ridurre, perché hai un grande valore». Se non ti riduci, a Dio piacendo, iniziano ad accaderti delle cose grandi. Arrivando qui ho incontrato volti che pian piano hanno dato risposte. Sto sperimentando la certezza che c’è sempre Qualcuno con me. Tutto l’affetto che ricevo è una chiamata di Dio: «Avvicinati, avvicinati di più a Me». La gente qui mi guarda con amore, non riesco neanche a descriverlo. Questo è ciò che mi porto a casa, anche per le persone care, non solo per me. Torno sapendo che questa chiamata c’è, dove vivo è il posto giusto.



Agnes. Tutti quelli che hanno visto la mostra sono stati mossi, toccati. Prima di arrivare qui mi chiedevo: ci saranno persone che vengono a vedere tutto questo? Pensavo che nessuno si sarebbe avvicinato a dire «ciao». Invece, uscite dalla mostra, le persone chiedevano di poterci abbracciare e piangevano. Nessuno ci conosceva e sono stati toccati ugualmente. Questa per me è la dimostrazione che ciò che dice Rose del nostro valore è lo stesso che le persone che vengono alla mostra riscoprono in sé stesse. Ecco perché questo permette una vera immedesimazione col dolore che noi abbiamo subìto. Ho visto questa reciprocità di amore, non solo ricevuto ma anche dato alle persone che incontriamo. Ecco perché chi ha visto la mostra ha sentito il mio dolore, era al mio fianco, anche se non ha subìto tutto quello che ho vissuto io. Anche adesso la domanda continua: chi sono io? E tutti con questa domanda riescono a capire.

Claire. È un regalo di Dio essere qui. Prima di arrivare, avevo tante domande, soprattutto sull’amicizia. Ho percepito come se Dio mi dicesse: vieni, ti do le risposte qui in Italia. Ho trovato un sincero interesse della gente che mi faceva domande reali, non di circostanza. È sorprendente: sono andata a cena e a pranzo con persone appena conosciute, con cui ho condiviso molte cose importanti e anche loro con me. Ho riscoperto un’amicizia che non ho mai vissuto con altri amici. Sono stata alla mostra “Vivere senza paura nell’età dell’incertezza” e ho capito che il cristianesimo è una cosa che attira, non un discorso di regole. Quello che ho sperimentato qui è qualcosa di veramente interessante. Non credo che qualcuno dicesse a queste persone: «Sii gentile con chi incontri o cerca di avere una conversazione profonda». È sconvolgente e interessante, perché mi genera tante domande. Mi sento amata. Ma chi sono io per ricevere tutto questo amore da persone che non ho mai incontrato e che non conoscevo?



Apolot Florence. Sto scoprendo che non sono sola. Per me era un sogno, giorno e notte ci pensavo: chi sono io per andare in Italia? O perché Rose, anche se sono sieropositiva, mi abbraccia? Quando l’ho incontrata avevo addosso tutti i segni della malattia e comunque sono stata abbracciata così come ero. E anche qui ho trovato lo stesso abbraccio. Per me era incredibile anche solo il fatto di poter prendere un aereo: io che ero nella foresta, con tutto quello che ho vissuto. Ero isolata perché sieropositiva. Mi negavano le cure. Ma quando ho conosciuto Rose, lei mi ha accolta, non mi ha chiesto di quale etnia fossi e mi ha detto: «Tu hai un valore». Non sapevo neanche cosa fosse un valore. Pensavo che il valore fosse qualcosa che riguarda le persone ricche o che hanno un’istruzione. Io non sapevo di avere un valore, perché sono sieropositiva e le persone mi dicevano in continuazione che le avrei infettate. Rose ha preso i miei bambini e li ha portati a scuola, dove ricevono lo stesso amore. Quando ho accettato Cristo nella mia vita, ho capito che il mio valore è più grande della povertà, della malattia e dell’istruzione. Ora più vivo, più sento che Cristo vive dentro di me.

Ketty. La prima cosa che ho sperimentato è che la gente mi mostra amore. Mi avevano detto che qui la gente era distante, per paura del Covid. Invece è stato qualcosa di amazing, di stupefacente. Questo mi ha rimesso in moto ciò che avevo dentro, mi sta “riportando su”, mi dà tanto. Ciò che mi sorprende di più è che le persone mi chiamano: «Ketty, Ketty…», sanno il mio nome. Dopo aver visto la mostra mi fanno tante domande: «Perché sei felice? Perché ridi? Quello che tu hai vissuto è indicibile, ma balli e canti». A volte rispondo piangendo, perché queste domande sono profonde nel mio cuore. Poi penso che, se me le fanno, anche loro soffrono, quindi mi sorprendo: perché stiamo ridendo? Mi chiedono della Luigi Giussani High School. Prima i nostri figli andavano in scuole dove odiavano la loro vita. Io non voglio che vivano ciò che ho vissuto io. La scuola ha letteralmente salvato la vita dei nostri figli. È per questo che cantiamo, per ringraziare. Non possiamo ringraziarvi in un modo diverso, ma con il canto sì. La domanda è “chi sono io?” e la risposta è quello che sto sperimentando qui.

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Rose. Ho vissuto due anni difficili per l’isolamento, perché non potevo incontrare le persone e neanche andare dalle donne. Mi ha sorpreso che quando ho detto loro di stare attente a non prendere un altro virus, una mi ha risposto: «Saremo quello che Dio vuole». Io stavo togliendo Dio dall’istante, dal fatto del Covid. Quest’anno sono morti due nostri ragazzi, uno di leucemia e l’altro perché non si è curato. Ero arrabbiata. Poi ho sentito Carrón dire di una persona che era morta che stava meglio di noi. Una sberla! Diceva: «Giudicate la realtà senza fede, come se Dio non c’entrasse con la realtà, con l’istante». E lì ho detto: non Ti ho perduto. Stando con Lui posso dire: Danielino, non ti ho perduto. Mark Trevor, non ti ho perduto. Non perdiamo niente se abbiamo lo sguardo puntato a Chi è più grande di noi. Sono felice, anche se le cose mi lasciano con il respiro sospeso. È ancora sospeso, ma, come dicono le donne, abbiamo dove porre le nostre domande. Io non perdo l’istante perché ci abita il mio Amico. Che abita in me, abita nell’istante. Sono contentissima del Meeting, perché mi rinnova lo sguardo e la fede. Rinnova la certezza di cosa c’è in ballo adesso. E ancora di più ti viene il magone nel dire: ma io chi sono, per avere questa predilezione? Al mio niente, Tu vuoi così bene. Io chi sono? Chi è mai Dio che si prende cura di me? Se mi misuro, non trovo niente che avanza, più vado avanti e niente avanza. Perché mi cura?
Non è che abbiamo trovato la risposta, perché è sempre una commozione dire: chi sono io? Non è tanto che qualcuno mi dà una risposta. È un piangere dentro di me e dire: chi sono io, che Ti prendi cura di me? Perché sono niente, lo so.