Siena 1977. Lorenza e Andrea in un momento di festa degli universitari

Perché Cristo sia conosciuto

Carmen, Dado, Lorenza. Ovvero, storie di tre giovani che nell’amicizia con il fondatore di CL hanno scoperto il significato della missione. Fino al punto di abbracciarla (da Tracce, febbraio 2009)
Paola Bergamini

MADRID
PARTIRE PER UNA PIENEZZA
Gudo Gambaredo, Bassa milanese, 1985. Carmen è nella lavanderia della casa dei Memores Domini (persone di Comunione e Liberazione ?che seguono una vocazione di dedizione totale a Dio, seguendo i consigli evangelici vivendo nel mondo). Don Giussani entra. «Cercavo te. Non andresti ad accompagnare un gruppo di studenti della Cattolica in pellegrinaggio a Santiago? Ci saranno anche alcuni spagnoli». Carmen finisce di piegare la camicia che ha tra le mani e poi: «Sì, va bene». Ha 25 anni, da tre vive nella casa di Gudo e prima… «Prima c’erano stati gli anni fondamentali, direi straordinari, del Clu quando, studentessa Isef, condividevo la mia giornata con Luigi, Giorgio, Antonio… insomma, gli amici della Cattolica e con Giussani. Lì, in quegli incontri, in quella vita così densa, piena, si è decisa tutta la mia vita, è maturata la vocazione. Avevo 20 anni quando parlai a Giussani della vocazione con cui Dio mi chiamava. Lui si mise a ridere e, di fronte alla mia sorpresa, mi disse: “Che fantasia ha il Signore! Prende te in mezzo al gruppo dei tuoi amici”», racconta Carmen. Dopo il pellegrinaggio Carmen ritorna ogni anno in Spagna durante l’estate, i rapporti con quei nuovi amici si infittiscono. Finché nel 1987 un responsabile dei Memores Domini le chiede se è disponibile per andare a Madrid, per aprire la prima casa di donne di Memores. Lei ci pensa un attimo e risponde: «No, credo sia meglio aspettare». Lo ripete a Giussani: «Per partire, vorrei che la mia affezione per le persone che Dio mi dà fosse per sempre. Quello è il segno che puoi lasciarli. In me deve ancora maturare qualcosa». Giussani è d’accordo. Ma l’anno dopo le rifà la proposta. Lei accetta. «Potevo partire perché non mi mancava niente nel rapporto con lui e con quelli di casa. C’era una pienezza di affezione - spiega -. Non c’era differenza tra l’amore a Cristo, a lui e a quelli della casa. Non partivo perché giovane e pronta all’avventura. No! Puoi andare in missione perché non ti manca nulla, perché staresti con quelli di casa tua per tutta la vita. Cioè perché è nata un’affezione capace di sostenere la vita».

Il compleanno di Lola. Il 14 settembre 1988 Carmen carica in macchina le valigie, e un po’ di altre cose necessarie, e con un amico, che l’accompagna, parte. «Volevo arrivare a Madrid per il 15, per il compleanno di Lola, la prima ragazza spagnola dei Memores Domini. Durante quel viaggio ho avuto la percezione fisica di lasciare un mondo per entrare in un altro». Giussani la chiama spesso, spessissimo. Le rivolge domande molto concrete: «Di cosa hai bisogno? Come va lo spagnolo? Cosa hai fatto ieri sera?». «Era attentissimo, perché capiva che l’affezione a Cristo di una ragazza di 30 anni era legata a dei segni». Prima di partire le aveva detto: «Per noi che ci vogliamo bene per Cristo, l’unico significato del sacrificio di una lontananza è perché Cristo sia conosciuto, cioè perché altri si sentano voluti bene come noi ci sentiamo amati. Altrimenti non ti lascerei andare. E un’altra cosa. I missionari, sapendo che probabilmente non sarebbero tornati, spesso spedivano fotografie dove apparivano vestiti, ad esempio, da cinesi, se erano in Cina. Andavano in missione per essere una cosa sola con quella gente: per essere più cinesi dei cinesi. Per te è uguale. Tu vai in Spagna per diventare più spagnola degli spagnoli. Cristo è più uomo di me, più italiano di me». E, qualche anno più tardi, le disse ridendo: «Nella Scrittura c’è scritto che Dio si è servito anche dell’asina di Balaam. Questo significa che Dio è sovrano, la Grazia è inconcepibile, usa le persone per costruire il suo disegno misterioso. Tu sei stata a quel pellegrinaggio, tu sei ora in Spagna per il Suo disegno. Vedi? La fantasia di Dio è più grande di tutti i nostri ragionamenti».

Full immersion di spagnolo. Per il primo mese Carmen va a lezione di spagnolo otto ore al giorno. Più spagnola degli spagnoli. «Non mi sono mai sentita un’italiana all’estero. Giussani ha continuato a chiamarmi, a chiedere per capire. Lui, così intelligente, chiedeva anche a me che ero niente. Questa è una cosa che mi porto dentro. Non si preoccupava dei miei limiti, dei miei errori. Era certo che Cristo costruisce la sua misteriosissima opera attraverso delle persone che hanno un nome e un cognome, una storia, un temperamento, e che queste persone vanno seguite, curate. Questo è il criterio che ha usato con me».
Carmen da Madrid non se ne è più andata, al telefono fa quasi più fatica a parlare in italiano che spagnolo. Oggi, però, Giussani non c’è più. «Io non ho mai avuto nostalgia, né ho detto: “Mi manca”. Giussani c’è. È una presenza. C’è nei suoi testi. C’è come carisma in tanti compagni di cammino. Io lo vedo quando, ad esempio, un amico ha un’acutezza intellettuale, oppure nel tratto di umanità di un altro. Il rapporto è per sempre, non si confonde, ma si identifica con Cristo presente. Gesù si trasmette per una pienezza di affezione. Non bisogna aver paura di legarsi a chi ha questo riflesso di umanità inconfondibile. Infine da Giussani ho imparato che bisogna non criticare nessuno, perché, come scrive Péguy: “È più facile distruggere che costruire, è più facile far morire che far vivere”. Invece chi ama cerca i segni della Sua presenza che costruisce con il nostro nulla».

SIENA
«DALLA VOSTRA UNITÀ NASCERÀ TUTTO»
Riccione 1976. Assemblea responsabili del Clu. Don Giussani: «Una presenza è originale quando scaturisce dalla coscienza della propria identità e dall’affezione a essa, e in ciò trova la sua consistenza» (Dall’utopia alla presenza, Bur). È l’Equipe della svolta. Contro la tentazione utopica, che aveva portato a una certa stanchezza, l’affermazione che l’unica cosa che conta è una Presenza. È una svolta, forse non ancora del tutto cosciente, anche per Dado Peluso, terzo anno di Lettere in Cattolica, e per Lorenza Violini, secondo anno di Giurisprudenza in Statale. A settembre si conoscono appena, a fine mese si ritroveranno a vivere per due anni questa Presenza a Siena, mandati, insieme ad Andrea e Ornella, in “missione” da don Giussani. Perché Siena? Bisogna tornare un po’ indietro nel tempo. Ecco l’antefatto.

Siena o Friuli. Nella città di santa Caterina padre Teodoro Maria Capra, olivetano, ha un pensiero fisso: attrarre i giovani a Cristo. Nel 1975 legge, su un quotidiano, degli attacchi violenti agli studenti di Cl. Rimane colpito. Sul suo diario annota: «Sacro Cuore di Gesù, ti affido Comunione e Liberazione che finora guardavo con un po’ di diffidenza. Mi hai, o Gesù, oggi rassicurato, e se Tu credi, dammi modo di farli presenti in questa parrocchia che oggi più che mai ti affido». Padre Capra inizia a cercare don Giussani. Lo incontra a Milano e gli chiede che qualcuno dei suoi ragazzi vada a Siena per essere presenza. Vuole che siano persone di Milano, cioè in continuo contatto con lui. Per un anno alcuni universitari, tra cui Andrea Aziani (Tracce, 9/ 2008), cominciano ad andare da padre Capra. È a questo punto che si innestano le storie di Lorenza e Dado. «A giugno, durante un matrimonio, Onorato Grassi, all’epoca responsabile del Clu, mi chiede se voglio continuare gli studi a Siena – racconta Dado -. Gli rispondo che devo pensarci. Poi quell’estate vado in Friuli, dove in primavera c’era stato il terremoto, a lavorare nei campi di lavoro con don Fernando Tagliabue. A fine agosto lui mi chiede se voglio fermarmi per mettere in piedi una struttura educativa. Gli rispondo che devo parlarne con don Giussani. Torno a Milano e vado a Riccione. Il giorno dopo l’Assemblea Responsabili, accompagnando don Giussani, che in quel periodo vedevo frequentemente, gli pongo l’alternativa: Friuli o Siena? Gli dico che Siena significa non perdere gli esami e che c’è Andrea, mio amico, che da qualche settimana si era stabilito definitivamente nella città toscana. Ricordo benissimo che non mi disse cosa dovevo scegliere, ma accompagnò la mia decisione. Ebbe uno sguardo di bene nei miei confronti e verso Andrea. A ottobre partii per Siena».

In treno a Riccione. «Anche per me parte tutto da Riccione. Anche materialmente. Ero in treno per andare alla Responsabili quando la mia amica Ornella mi dice: “Vado a Siena a finire l’università, vuoi venire anche tu?”. Ho pensato: perché no? La Statale in quel periodo era sempre in subbuglio, venivo tutti i giorni da Varese col treno delle Nord, il fidanzato non c’era più… Poi a Riccione le parole del don Giuss. In quei tre giorni ho avuto la consapevolezza che se non c’era il problema di costruire qualcosa, ma di vivere una presenza, allora c’era posto anche per me. Tornata a casa, chiedo ai miei cosa ne pensano. Loro non fanno obiezioni. “Basta che ti laurei in tre anni e una sessione”, sono state le parole di mia mamma. La mia decisione è stata l’occasione per incontrare don Giussani. La memoria di quell’incontro è un fermo immagine nella mia mente e nella mia vita. In in un corridoio del Pime a Milano (dove c’era la sede del movimento), lui mi ha fatto parlare, poi ha cominciato a chiedermi: “Cosa pensano i tuoi genitori? Lo studio? Per gli esami ti puoi trasferire?”. Era rigorosamente preoccupato, da padre, che le condizioni materiali per vivere fossero adeguate. E alla fine: “L’importante è che siate uniti fra di voi. Dalla vostra unità nascerà quello che dovrà nascere”. Non aveva nessun progetto. Non fece commenti “religiosi”. L’approvazione di quella partenza fu semplicemente e interamente umana». Lorenza parte il 22 ottobre.
Unità e presenza. Sono le parole piantate nel cuore di Andrea, Lorenza, Dado e Ornella. Incontrano tutti: ogni circostanza è un’occasione per comunicare «l’affezione a quella presenza originale» che ha cambiato la loro vita. «La nostra dimensione era tutta la città, fin nella sua storia, nei suoi santi», spiega Dado. L’amicizia con don Giussani è continua. Telefona, scrive, quando vanno a Milano li vuole sempre incontrare. «Il rapporto con lui passava attraverso ciò che era emerso a Riccione. Era la nostra compagnia. Con Andrea, che guidava questa unità, già al mattino quando recitavamo le Lodi. Ricordo che arrivavo trafelata in chiesa, magari distratta dai miei pensieri, e lui era già seduto e appena mi vedeva si alzava e cominciava a pregare. Così siamo stati educati a seguire don Giussani: da uno che ti aspetta e si alza quando arrivi. È stata un’avventura che ha deciso della nostra vita». Persino nel particolare. Quando Lorenza ha difficoltà con il fidanzato, Andrea le consiglia di scrivere a don Giussani, che le risponde: «Mia carissima Lorenza, ti sono molto grato per il gesto di amicizia della tua lettera. La difficoltà è seria, non lo sottovaluto, ma anche mi pare una prova. La pienezza è nel compito che Dio affida. E tu segui il segno che ti ha fatto incominciare. Con calma, senza pretendere violentemente da noi stessi, ma con forza chiedi al Signore di poter abbracciare la compagnia che t’ha data, ché se non fosse veramente la volontà di Dio Egli lo farebbe vedere, nella libertà. Ricordati - ma lo sai - che comunque il sacrificio ci accompagnerà: occorre soltanto che possa essere fatto nella libertà. Quando vieni a Milano fammelo sapere perché ne voglio parlare con tranquillità per spiegarti il mio pensiero. Intanto stai tranquilla, perché la fatica di una verifica o continuità non ti toglierà nulla di quanto è adatto a te: sei libera! Ti abbraccio».

Vocazione adulta. «Pensando a don Giussani, quelli sono gli anni in cui è maturata la vocazione adulta. Perché dentro questa unità, andando al fondo con questa umanità, il rapporto con loro, con Giussani, con il movimento, con Gesù ha radicato la certezza che, poi, mi ha consentito di affrontare l’esistenza in tutti i suoi dettagli», commenta Lorenza. Per lei, conseguita la laurea, ha significato lasciare Siena e poi… «accettare la proposta di trasferirmi in Germania a studiare e continuare quell’avventura missionaria. E dopo: il matrimonio, i figli, il lavoro e la morte, l’estate scorsa, di mio marito Alberto, uno di quelli che nel ’76 avevano accompagnato Andrea nei sui primi viaggi a Siena. Tutto per quella Presenza misericordiosa che, come segno della Sua predilezione, ha chiamato Andrea e Alberto insieme, nello stesso giorno, alla Sua grande casa». Così per Dado, che rimane a Siena, anche dopo la laurea, fino a quando si ammala e deve rientrare a Milano. E poi a Lima ancora con Andrea, nella prima casa di Memores Domini in Perù. «Anche allora Giussani mi aveva ridetto di avere a cuore l’unità. Una cosa per me è chiara: che la vocazione e la missione sono in una presenza data, non sono uno sforzo, ma un avvenimento. La stessa che ora, dopo trent’anni, vivo con i miei alunni nel liceo, alle porte di Milano, dove insegno».