Un tesoro in vasi di creta

Famiglia «di fatto», «allargata», «a termine»... Se ne parla in tutti i modi, tranne che facendo leva sull’esperienza. Ma cosa succede se (come ha fatto Julián Carrón) si rilancia la sfida di ciò che fonda il rapporto? (da Tracce, luglio 2009)
Paola Bergamini

«Mamma, papà, possibile che dobbiamo sempre aspettare voi due “innamorati”?». Parole rivolte da Maria, sette anni, ai genitori. Ma “innamorati”, dopo 17 anni di vita coniugale, cosa vuol dire? «È la stessa relazione amorosa che contribuisce a scoprire la verità dell’io e del tu. Ciò che siamo ci viene rivelato in maniera solare dalla relazione con la persona amata. Nulla ci risveglia di più, nulla ci rende tanto consapevoli del desiderio di felicità che ci costituisce quanto la persona amata». Lo ha detto Julián Carrón nel suo recente intervento al Centro culturale di Milano, dal titolo: “L’esperienza della famiglia. Una bellezza da conquistare di nuovo” (www.tracce.it). Oggi, che tanto si parla e si scrive di matrimonio, convivenza, coppia, cosa vuole dire amare l’altro con il desiderio che sia “per sempre”? Più precisamente: che cosa significa che “fare famiglia”, è fare «esperienza inestirpabile di un bene»? Abbiamo chiesto a quattro famiglie di raccogliere la sfida che questo testo ha suscitato nella loro vita.
Giovanna e Giuseppe vivono ad Abbiategrasso, alle porte di Milano, e tra poco festeggeranno 40 anni di matrimonio. Il Signore ha donato loro quattro figli naturali, un’adozione e… l’esperienza di più affidi. «E non era nei nostri progetti quando ci siamo sposati - esordisce Giovanna -. Insieme avevamo deciso che io sarei rimasta a casa dal lavoro per continuare l’esperienza di doposcuola che avevamo iniziato con Andrea Aziani (cfr. Tracce, 8/2008). Poi abbiamo seguito quello che il Signore metteva sulla nostra strada. Quella sera al Centro culturale io ho ripercorso questi anni di vita coniugale a partire dalle parole che don Giussani ci disse durante l’omelia: “Siate certi della vostra storia che state per cominciare perché Cristo che avete incontrato è fedele. In questo gesto che voi fate Lui vi chiede: ‘Aiutatemi a essere nel mondo’”».

Giudizio e ricchezza. Carrón ha definito gli sposi «due soggetti umani, un io e un tu, un uomo e una donna, che decidono di camminare insieme verso il destino, verso la felicità». Continua Giovanna: «Ogni giorno devi fare i conti che l’altro è diverso. L’esempio più concreto di questo è con i figli. Sullo stesso argomento - prendere o non prendere il motorino? - tu la pensi in un modo e lui in un altro. Una diversità di giudizio. Cosa fai? Puoi cercare di portarlo dalla tua parte oppure ti fermi un attimo prima e lo guardi come un Altro lo ha voluto. La sua diversità diventa una ricchezza. Questo mi ha fatto diventare creativa, nel senso che guardando l’altro cambi, ti muovi mettendo in gioco la tua libertà. Questo accade ogni giorno». Una vita in continuo movimento. «Certo! - interviene Giuseppe -. Soprattutto interessante. Io dopo quasi quarant’anni sono molto più interessato a lei perché mi rivela, mi rimette in moto rispetto al punto fondante del nostro rapporto: seguire Cristo. Siamo ancora in cammino, ci facciamo compagnia sulla cosa più importante che ci è accaduta».
A Milano, Luigi è chirurgo ortopedico e Chiara professore di Diritto canonico. All’inizio della loro storia c’è stato il dolore di tante gravidanze prematuramente concluse e poi… sono nati sette figli. La quarta è proprio la Maria di cui sopra. Inizia Luigi: «La prima reazione ascoltando Carrón è stata una gratitudine per l’educazione ricevuta che consiste nel riconoscimento della vita come vocazione. La vita come risposta a Uno che ti chiama, che ti vuole. Da subito il fascino potente dell’uno verso l’altra ha coinciso, senza mai esaurirlo, anzi continuamente incrementandolo, con la passione per il Destino l’uno dell’altro». Carrón ha sottolineato che «il primo aiuto che si può offrire a quanti vogliono unirsi in matrimonio è il prendere coscienza del mistero del loro essere uomini. Solo in questo modo potranno mettere adeguatamente a fuoco la loro relazione, senza attendersi da essa qualcosa che, per sua natura, nessuno può dare all’altra». «Quando ci siamo sposati non avevo un’immagine di come avrei voluto che andasse», dice Chiara: «Di una cosa però ero certa: insieme avremmo camminato più spediti nel godimento di quella Bellezza incontrata. Il dolore dei primi anni ha intensificato il legame, è stato lo spunto di un attaccamento più grande e radicale a Colui che avendo cominciato un’opera buona la porta a compimento». Genera un’unità non fondata, come vuole la mentalità moderna, sull’andare d’accordo, spegnendo le divergenze, la diversità, appunto. «Certo - continua Chiara -. Mi viene in mente quanto ci disse una volta don Giussani: “Testimoniate la vostra unità davanti a Dio e agli uomini e accompagnate in questo nuove creature”. Io desidero questa unità fin nel punto sorgivo dei miei pensieri. Questo non significa studiare una strategia di accordi, ma che prima della “punta” della diversità, dentro la sempre possibile divergenza, c’è una stima, una simpatia profonda per quel che Luigi è, per quel che noi siamo, che è irriducibile, perché sono fondate sulla ragione ultima della nostra vita: Uno presente dentro un’amicizia umana».
Dall’altra parte del mondo, a New York, Jonathan e Susan, tre figli, recentemente hanno dovuto fare i conti con un momento di difficoltà di lavoro. La loro vita familiare è mutata. Dentro le circostanze, senza schemi o dottrine preconfezionate, c’è la possibilità di riconoscere che l’altro è segno di un Amore più grande, altrimenti «l’uomo cade nell’errore di fermarsi alla realtà che ha suscitato il desiderio. Non riconoscere all’altro il suo carattere di segno conduce inevitabilmente a ridurlo a ciò che appare ai nostri occhi». «C’è stato un momento in cui pensavo che quello che c’era stato all’inizio non potesse più riaccadere - racconta Jonathan -. Mi sono nascosto nelle mie responsabilità di lavoro, di movimento. Quando sono subentrati problemi di lavoro ho pensato: “E adesso, cosa faccio?”. I miei amici mi hanno aiutato ad affrontare le circostanze difficili, facendomi prendere in considerazione l’ipotesi di cambiare lavoro. Concretamente sono stato aiutato a cambiare: da compositore di musica commerciale a suonare l’organo in una chiesa. I miei amici mi hanno dato la forza di affrontare il cambiamento della mia vita lavorativa e mi hanno aiutato a capire che dovevo imparare un nuovo mestiere e costruire un nuovo modo di guardare il mio lavoro (a 52 anni!). È stata una Amazing Grace (Grazia sorprendente). Inoltre ci hanno accompagnato a ridire il nostro sì a Cristo dentro la vocazione del matrimonio. Mi sono trovato a implorare di guardare Susan e i miei tre figli in modo nuovo. Tutto è cambiato. Per molti anni ho chiesto a Cristo di cambiare lei, secondo una mia immagine. Oggi capisco che Susan mi è donata, così è scaturita un’esperienza di tenerezza, di speranza inaspettate. Per noi questo è un periodo di grazia. Scopro una maggiore libertà e la possibilità di vedere nelle piccole cose il Suo volto. Cristo ha salvato la mia famiglia». Interviene Susan: «Io capisco che il rapporto con Cristo è innanzitutto mio, io ne sono responsabile. Qui si gioca la mia libertà: amarlo nelle difficoltà quotidiane, nelle cose da fare. Perché il problema non è che Cristo non c’è, ma che io non lo vedo e prima di Lui metto le mie aspettative.
Mi ha colpito Carrón quando ha affermato: “Senza amare Cristo (cioè la Bellezza fatta carne) più della persona amata, quest’ultimo rapporto avvizzisce, perché è Lui la verità di questo rapporto”. Per tanto tempo io e Jonathan abbiamo discusso sulla scuola del nostro primogenito. Non ne arrivavamo a una. Abbiamo chiesto a nostro figlio cosa desiderava e alla fine ci siamo fatti aiutare da un amico per non rimanere arroccati sulle nostre posizioni. Questo è stato per noi un cambio di prospettiva».

Nulla di scontato. Le parole di Carrón sono riecheggiate anche in Africa. A Nairobi Joakim è preside della scuola superiore Cardinal Otunga e sua moglie Romana è vicedirettore di Avsi. Joakim: «Leggere l’intervento di Carrón a un certo punto mi ha suscitato ancora più radicalmente la domanda: “Cosa vuol dire amare davvero?”. C’è sempre la tentazione di sapere, di dare per scontato cosa è il matrimonio, chi è l’altro. Io, paradossalmente, volendo bene a mia moglie ho scoperto di più me stesso. E questo si vede nella vita di tutti i giorni». Un esempio? «Quando vado a scuola e ho nel cuore lei e i nostri quattro figli, il mio atteggiamento verso i miei alunni è diverso. La tenerezza che provo per la mia famiglia mi permette di essere tenero e attento a chi ho davanti. L’azione ha origine solo da un’affezione. È per amore che ti muovi».

L’autentica speranza. Un amore che non è possesso. Carrón a un certo punto ha parlato di verginità come «l’autentica speranza per gli sposati: è la radice della possibilità di vivere il matrimonio senza pretesa e senza inganni». In Kenya il problema dei preti che convivono con una donna ha suscitato molte polemiche e discussioni, anche perché Milingo, vescovo scomunicato, ha fondato qui il suo movimento “Preti sposati oggi”. Continua Joakim: «Recentemente siamo andati a trovare il cardinale di Nairobi, che in proposito ci ha detto: “Il celibato non è solo non sposarsi, ma è in relazione all’amore per Cristo. È il desiderio di dare tutto per Lui”. Io avevo appena letto l’intervento di Carrón e ho pensato: il matrimonio non è meno di questo. Solo per amore a Cristo io posso amare Romana per sempre. Quando l’ho conosciuta, mi ha colpito la passione che aveva nell’affrontare ogni situazione. Una passione che aveva origine nell’incontro di Cristo nel movimento. L’ho seguita, volevo lo stesso per la mia vita». «E per i nostri figli non vogliamo niente di meno! La scuola è sorta proprio da questo desiderio che condividevamo con altri amici della Fraternità», aggiunge Romana.
L’intensità dell’esperienza di Cristo è un tesoro che, sebbene «custodito in vasi di creta», apre alla testimonianza perché «può mostrare la razionalità della fede cristiana, una realtà che corrisponde totalmente al desiderio e alle esigenze dell’uomo, anche nel matrimonio e nella famiglia». «Innanzitutto la famiglia è un luogo di presenza. La famiglia è un luogo dove Cristo si sente, si vede e si tocca. Questo è fare il cristianesimo. In questo ognuno deve essere attento ai segni che il Signore gli pone sulla strada», spiega Giovanna. «Quando c’è stato il discorso del Papa a Ratisbona, io e Chiara abbiamo proposto, nella scuola delle nostre figlie, un incontro pubblico con don Stefano Alberto su fede e ragione. Sono venuti molti genitori. Un’occasione del genere, però, non poteva essere lasciata cadere. Come continuare? Abbiamo cominciato a fare Scuola di comunità una volta al mese. Vi partecipano maestre e genitori con domande a 360 gradi sulla vita», continua Luigi.

Un punto di bene. «Fare il cristianesimo significa condividere i bisogni come ha fatto Cristo», conclude Giuseppe. «La famiglia è un punto di riferimento di bene incontrato e ributtato nella realtà. Ha ragione mia moglie: è un luogo dove uno si trova bene, cioè trova un bene per sé. Dopo quarant’anni per me l’avventura è ancora all’inizio!».