La Giornata di Raccolta del farmaco

Pillole di gratuità

Dai 10mila volontari coinvolti per la “Giornata di Raccolta del Farmaco” alle partnership con le aziende farmaceutiche. Siamo andati a vedere da dove nasce uno dei gesti di carità più imponenti d’Italia (da Tracce, febbraio 2010)
Paolo Perego

Sintomi dell’influenza? La pubblicità la fa facile. Passi in farmacia, confezione di bustine al gusto che preferisci, ti metti a letto e la mattina ti svegli che sei rimesso a nuovo. Ma c’è un 4,1% della popolazione italiana che probabilmente tirerebbe dritto davanti alla farmacia, due milioni e mezzo di persone che dovrebbero scegliere tra il paracetamolo e qualcosa da mettere sotto i denti. Che dovrebbero fare i conti con la “soglia di povertà”. E con quello che si chiama “bisogno farmaceutico”, i soldi che mancano ai poveri per far fronte alla spesa per le medicine: oltre 100 milioni di euro.
È a questo problema che cerca di far fronte il Banco Farmaceutico con la decima Giornata di Raccolta del Farmaco: entrando in 3.000 farmacie italiane sabato 13 febbraio ci si troverà di fronte a 10.000 volontari pronti a guidare i clienti nella donazione di un farmaco destinato a persone bisognose. Un gesto che si ripete ormai da dieci anni. E che ogni anno cresce sempre di più, anche in termini di visibilità. Ciò che non si vede è tutto il grande lavoro del Banco Farmaceutico, di cui la Giornata di Raccolta è solo la punta dell’iceberg. Per questo siamo andati a vedere dietro le quinte di uno dei gesti di carità più imponenti in Italia.
«La Giornata di Raccolta? Per noi dura tutto l’anno». Marcello Perego, 39 anni, farmacista brianzolo, è vice presidente del Banco. Sposato, quattro figli e due gemelli in arrivo, è tra i fondatori dell’opera: «Era la fine degli anni Novanta. Con un gruppetto di amici neolaureati in Farmacia eravamo in contatto con CdO Opere sociali. Era già viva l’esperienza del Banco Alimentare e si pensava a qualcosa di simile per i farmaci. Ma come fare? I farmaci possono essere distribuiti solo nelle farmacie e soprattutto da farmacisti». Poi l’incontro con Federfarma, associazione che riunisce 16mila farmacie italiane: «Fu l’occasione giusta: non avremmo dovuto far uscire i medicinali dalle farmacie, ma sarebbero stati gli stessi farmacisti a distribuire i farmaci agli enti assistenziali che ne avessero fatto richiesta. Così nacque il Banco Farmaceutico».
Nel dicembre 2000 la prima raccolta: in 250 farmacie milanesi vengono donati oltre 15.000 farmaci, ridistribuiti durante l’anno successivo a 60 enti socio-assistenziali. Il meccanismo è semplice: un privato va in negozio, su indicazione di un volontario del Banco acquista un farmaco per cui non è necessaria una ricetta e il farmacista lo mette da parte, destinando il suo margine di guadagno al Banco. «In nove anni di Raccolta ci sono passati “tra le mani” quasi due milioni di farmaci, per un valore di 9 milioni di euro». Solo lo scorso anno le scatolette di medicinali sono state 325mila, oltre 2 milioni di euro, raccolte da 10.000 volontari in 2.900 farmacie. E «con una media di due donatori ogni tre avventori», aggiunge Perego.

Un bisogno particolare. Ma non è solo una questione di numeri: «Quella della Raccolta è un’esperienza molto interessante. Per tanti aspetti. La gente dona il farmaco in un luogo “sicuro”: in genere ci si fida del farmacista. In più, c’è l’aspetto che sarà proprio quella scatoletta acquistata, fisicamente quella, che verrà ridistribuita. E poi è molto probabile che chi dona conosca già l’ente a cui è destinato il farmaco». In che senso? «Questo è uno degli elementi di fondo della nostra attività durante l’anno: rispondiamo a un bisogno particolare. Mentre un pacco di pasta può essere ridistribuito indifferentemente a qualunque povero, i farmaci per loro natura rispondono a esigenze specifiche: agli enti che si occupano di bambini ne occorrono di un tipo, a quelli che assistono i tossicodipendenti di un altro. Per questo lavorando con gli enti cerchiamo di capire il loro bisogno specifico, arrivando a stilare delle vere e proprie liste della spesa per le farmacie che si trovano nelle vicinanze delle varie realtà e da cui queste ultime si servono». Il risultato è che si riducono al minimo gli sprechi e si risponde meglio al bisogno.

Da Remanzacco a Loiri. Una macchina che funziona bene, dunque. «La questione è un’altra. Basta vedere quello che accade nelle farmacie durante la Raccolta per capirlo», incalza Marcello, tirando fuori una serie infinita di storie ed episodi di volontari, di esercenti e di gente comune che entra in farmacia, anche apposta per donare. Per esempio Carmela, volontaria a Como, che racconta di un’anziana che «non avendo denaro per comprare un farmaco per il Banco è tornata a casa a prendere del pane che aveva preparato personalmente per darlo a noi volontari: tutto quello che aveva l’ha donato». Da Remanzacco, provincia di Udine, Nicola fa sapere di una signora che «ha donato un farmaco perché l’anno scorso aveva avuto bisogno lei ed era stata aiutata, ora poteva lei aiutare qualcuno». Da Olbia raccontano che a Loiri, 2.500 abitanti, dove si faceva la Raccolta per la prima volta, «la farmacista e i volontari, preoccupati per la scarsa affluenza, sono andati all’ufficio postale e nei bar del paese ad invitare la gente in farmacia». A Noto, in Sicilia, una farmacista scrive ai volontari per ringraziarli: «Un’esperienza per noi nuova, una prima volta che ha lasciato nel nostro animo un bagaglio di emozioni difficili da cancellare. A chi ha detto che questa giornata è servita solamente per fare arricchire noi farmacisti, rispondo che è vero. Sono, anzi, siamo tutti più ricchi. Non parlo però di soldi: ci hanno arricchito la voglia di fare, la pazienza e la fede dei volontari, e soprattutto la disponibilità e la generosità della gente, anche in tempo di crisi». E poi Pesaro, Macerata, Messina, Milano... «Il massimo è quando le stesse persone che beneficiano del nostro intervento vanno a fare la Raccolta: si sentono davvero voluti bene a vedere quanta gente li aiuta», dice Marcello, raccontando dei ragazzi della cooperativa l’Imprevisto di Pesaro.

Come mendicanti. «Partecipare alla Giornata di Raccolta del farmaco, per me che come volontaria del Centro di Aiuto alla Vita sono piuttosto abituata a dare alle persone, vuol dire per una volta stare perfettamente dall’altra parte: sono io che devo chiedere, ma anche se faccio fatica sono contenta di sentirmi addosso questa veste da mendicante», scrive Gabriella, di Biella. «La natura della nostra opera è tutta qui», dice Marcello, «nella scoperta di questa mendicanza, di questo essere bisognosi noi per primi: se non fosse per questo il Banco Farmaceutico non solo non sarebbe cresciuto negli anni, ma sarebbe già morto e sepolto. Perché lo slancio emotivo e l’impeto solidale dell’inizio possono venir meno. Capita anche a noi, è umano».

Chi è il Banco? E invece il Banco è cresciuto in questi dieci anni: «Senza troppi progetti o strutture. La nostra è una storia fatta di incontri». Il Banco Farmaceutico è diventato una fondazione nel 2008. Il presidente è Paolo Gradnik, già presidente di Federfarma Lombardia e tra i fondatori dell’opera. Tre dipendenti, un’unica sede a Milano, ospitata negli uffici della stessa Federfarma. Nella Fondazione opera un comitato tecnico scientifico di 17 volontari che prestano le loro professionalità in vari settori a servizio dell’opera. Legata alla Fondazione è l’Associazione, formata da 400 volontari stabili. «Sono loro il Banco. E nelle loro città diventano il punto di riferimento a cui i farmacisti che aderiscono alla Raccolta, le istituzioni locali o gli enti assistenziali possono rivolgersi». A questi si aggiungono i 10.000 della Giornata della Raccolta. E poi ci sono i “neonati” banchi farmaceutici di Spagna e Portogallo, dove rispettivamente nel 2008 e nel 2009 ci sono state le prime raccolte.

Struttura essenziale. «Da qualche anno a questa parte abbiamo iniziato ad approfondire i rapporti con le aziende farmaceutiche, che ci forniscono un contributo importante in termini di donazioni. Nel 2009 il loro apporto è stato praticamente pari a quello della Raccolta, per un valore di oltre 2 milioni di euro». Per questo nel 2007 è nato Banco Farmaceutico Research, associazione con il compito di curare proprio l’aspetto di partnership con le aziende. «Anche alcuni distributori ci hanno dato una mano, fornendoci perfino la possibilità di utilizzare alcuni spazi nei loro magazzini per stoccare le donazioni. Addirittura oggi stiamo studiando un progetto con una grossa casa farmaceutica per poter esser coinvolti già nel processo aziendale nel caso, per esempio, di errori di sovra-produzione: se capitasse l’azienda ci contatterebbe istantaneamente per verificare il nostro fabbisogno». «Siamo strutturati in maniera essenziale. E questo è legato al fatto che se viene meno la persona rischia di venir meno anche l’opera. Anzi l’opera è proprio la persona. Quelle che chiamiamo “nostre sedi in Italia” (un referente per ogni provincia) sono in realtà le stesse farmacie, gli stessi farmacisti, gli stessi volontari».
Il bisogno farmaceutico è un particolare, certo: «Ma rispondendo a questo si sostengono delle opere grandiose», spiega Perego. «Penso all’Opera San Francesco a Milano. O, sempre a Milano, l’Opera San Fedele, dei pensionati che aiutano i senzatetto. Poi ci sono le case famiglia... Con tutte queste realtà il nostro tentativo è di valorizzarne l’opera, permettendo che usino risorse e spazio per dedicarsi alla loro vocazione».
Oggi, in tempo di crisi, anche le opere di carità sono in difficoltà: «Quest’anno ci hanno contattato tante realtà che prima riuscivano a sostenersi da sole». Ma la crisi non è solo economica: «Mancano i volontari. Un amico di un’associazione di medici che opera a Milano aiutando i barboni mi ha riferito di tanti volontari che dopo i primi turni se ne vanno. Perché, dicono, “nessuno ci dice mai grazie”». Come dire «non me ne viene in tasca nulla». «Mentre una delle cose che abbiamo più a cuore noi è l’educazione alla gratuità». Non solo durante la Raccolta: gli incontri accadono tutto l’anno. «E per la gente che ci incontra è una scoperta, che commuove e muove».

L’opera cresce. Così la farmacista che ha in carico la Cometa di Como inizia a fare la caritativa proprio in Cometa, o la presidente dell’Ordine Farmacisti della Lombardia comincia anche a collaborare col Banco. Nascono e crescono nuove amicizie: «Come con Beppe di Crema, o Michele di Verona... E altri, farmacisti e non, con i quali ci troviamo regolarmente per aiutarci in questo lavoro». E l’opera cresce sempre di più. «Abbiamo il desiderio che anche l’altro, stando con noi, capisca di avere bisogno. E ci muoviamo proprio perché abbiamo bisogno noi per primi. Questa è la gratuità. Questo costruisce. Più di un progetto».