Che cosa non finisce mai?

Un ex rudere di Carrara. Con il cortile sempre pieno. C’è Fra che viveva per il sabato sera. E Giulia che ha «lasciato tutto per venire qui». Intorno a un medico e a quattro mura è esplosa un’amicizia che sfida il tempo (da Tracce, ottobre 2010)
Alessandra Stoppa

«Il marmo è fragile. Non sembra. Ma basta una fessura, il minimo per entrarci, e tac! Si apre in due». Ci guarda da sotto la mano che gli fa ombra sugli occhi. Il bianco della cava è abbagliante. Anche per il signor Walter che ci lavora ogni giorno. Ha un museo all’aperto in mezzo alle Alpi, che racconta duemila anni di lavoro del marmo. Tutt’intorno, la cava di Fantiscritti è chiusa dalle montagne. E da qualche punto là in alto, la roccia rimbomba. Ti sembrano piccole frane. Invece sono i blocchi di marmo caricati sui camion. Da qui partono per tutto il mondo. Sono l’orgoglio di Carrara.
E di Matteo. D’inverno, tutte le mattine, si sveglia alle sei per aiutare il padre che lavora il marmo. Ma oggi, al ritorno dalla cava, lo trovi concentrato sui libri. Mentre altri preparano la cena. Ognuno fa quel che deve alla Casa Rossa, nel rione Perticata di Carrara. Il marmo sulle Apuane, da qui, sembra neve. Il centro città è poco distante, con le contraddizioni della sua storia: i vicoli sono puntellati dalle sedi dei gruppi anarchici e dai segni della fede. Madonnine e iscrizioni, agli angoli delle case e sopra le porte. La probabilità che questa Casa venisse fuori proprio qui era - statisticamente - vicina allo zero. Alla Casa Rossa non c’è contraddizione che tenga. A partire dall’età.

L’orto e la regola. In cucina, o nelle stanze, insieme ai mobili più strani, ci sono ragazzetti e universitari, adulti, bambini. Il cortile si riempie prima che te ne accorga. Qualcuno sbuca dalla finestra. Barbara e Martina puliscono l’insalata sotto il porticato, davanti al forno sorvegliato da due maschietti. Chi ha gli esami studia in sala. Chi non ne ha voglia fa due tiri al pallone. Oltre la rete c’è l’orto, curato da Stefano, un papà. Don Augusto, il parroco, arriva a fine messa per salutare. E non va più via. La mattina, i ragazzi vanno a scuola, in università, al lavoro. Poi vengono qui, appena possono. E ci vivono: manca solo che ci dormano. Una sera alla settimana, c’è l’«incontro». Una sorta di raggio. Ci sono tre gruppi: medie, superiori, e quelli della Comunità, che è per i più grandi, per chi vuol fare il cammino cristiano in modo più definitivo, aiutato da una regola. Semplice. La preghiera la sera, il Fondo comune, la partecipazione agli incontri e ai campeggi, seguendo i più piccoli.

Un’ora incandescente. Definire la Casa è impossibile. Un’ora qui è fatta da Andrea che racconta del suo nuovo tirocinio e di come «l’amicizia che ho incontrato qui mi ha tirato fuori dal nulla quando ho mollato l’università e mi sono chiuso in casa». Poi arriva la telefonata di Elena, tutti a salutarla. È a Brighton a studiare: «Sono sicura di stare qui per l’esperienza che ho fatto alla Casa», ti dice entusiasta. Un’ora qui è un’ora qualunque. Ma c’è inscritta una profondità incandescente. Un’amicizia. «Io so solo che se non vado in fondo a questa cosa mi faccio del male», dice Giovanni. È la terza volta che viene. La prima, si è sentito accolto. Ed è tornato a casa con il sorriso sotto il casco.
Questa Casa era un rudere accanto alla chiesa del Bambin Gesù. Quello che è oggi non era voluto. I ragazzi facevano chiasso in parrocchia, allora è nata l’idea di ristrutturare - con le proprie mani - questa palazzina liberty dai muri rossi. Dieci anni fa. Ci sono voluti tre mesi per pitturare due stanze. Altrettanti per togliere le erbacce. Poi tutto ha preso velocità. «Passavamo sempre più tempo qui. Ed eravamo sempre di più», racconta Carlo. Tutto è nato da lui. Ma c’è una tale umiltà nei suoi modi che non lo diresti mai. Non è solo modestia: i suoi modi sono pieni di ammirazione per quello che vede. Carlé. Fa il medico. Ha 55 anni. È nato in una famiglia di tradizione cattolica della Garfagnana. È venuto grande in parrocchia. Tra i campeggi con i gesuiti e i fogli della catto-sinistra e dell’estremismo conciliare. Nuovi Tempi, La Rocca. Tanta militanza, «poco rapporto con Dio». In chiesa ci andavano le donne, ché «qui la religione è sempre stata una cosa da femmine». Lui si faceva in quattro in parrocchia per i ragazzi. Finché, a 27 anni, non legge su Il Sabato un trafiletto che spiega l’esperienza religiosa.
Quella decina di righe firmate Luigi Giussani squarcia tutto: forse quei ragazzi non andavano preparati alla parrocchia, ma alla vita. Il trasferimento lavorativo a Lecco ha fatto il resto. Nove anni. In cui ha approfondito la conoscenza di Comunione e Liberazione. «Quando sono tornato ero certo che l’esperienza che avevo fatto non poteva non interessare tutti». Si è rimesso con i ragazzi della parrocchia. Faceva esattamente le cose di prima. Gli incontri. Il campeggio. «Ma c’è stata una svolta: Manu ha iniziato a guardarmi in modo diverso dagli altri». Non si dice Manu senza Marco. I gemelli. Quello rasta e quello ordinato. C’è una cosa in cui sono identici: il sorriso degli occhi. «Io non ho mai avuto occhi così», dice Gio.
Qui sono tutti ragazzi di Carrara e dintorni. Giulia no. È del Piemonte. Ma tre anni fa si è trasferita. Per la Casa. Da ragazzina veniva solo per il campeggio estivo. Sette giorni sul Monte Argegna, accanto al Santuario della Madonna della Guardia. «Era bellissimo. Poi, in inverno, i rapporti si perdevano, non li sentivo mai. Ma, ogni anno, sceglievo di tornare. Io a casa avevo tutto: gli amici, due genitori stupendi, il moroso, la pallavolo. Quando ho finito il liceo, l’unica cosa che mi è apparsa davanti è stata questo luogo. Il pensiero di quando andavo a letto felice. Ho lasciato tutto e sono venuta. Per una cosa che non conoscevo ancora».

Il desiderio di un padre. Il campeggio è nei racconti di tutti. È dal campeggio che è nata la Casa. Da una domanda su quella settimana così diversa. «Mi dicevo: ma si può vivere così solo sette giorni all’anno?», racconta Manu. Che ha lasciato esplodere questa domanda nel rapporto con Carlo. «Non avevo mai visto un uomo certo della sua vita e contento». Eppure lo desiderava da sempre. Come in quelle sere in cui suo padre si metteva al pianoforte: «In quei momenti veniva fuori tutto il suo desiderio, era bellissimo. Ma finiva lì. Mi chiedevo: e quindi? Poi ho incontrato Carlé. Era diverso da tutti. Capivo che questo c’entrava con il fatto che andava in chiesa sempre. E mi stonava, perché mi era sempre sembrato che la fede non avesse a che fare con la vita». Te lo dice ora che parla di san Benedetto e di san Francesco come di due amici. Mentre guarda quelli che sono qui: «Per me sono la faccia di Cristo». Li abbraccia uno a uno.
Come ha fatto quella sera con Francesco. Smilzo, l’accento carrarino e i capelli attorcigliati in uno chignon. «Due anni fa sono andato in campeggio. Poi ho lasciato stare. Ho iniziato a provare tutto. Compagnie. Sballo. Vivevo per il sabato sera. Ma a casa, da solo, c’era sempre un momento in cui sentivo il buco». Si punta il petto con la mano. «Una sera pioveva, non sapevo cosa fare, sono passato di qui e in strada c’era Manu. Mi ha dato un grande abbraccio. Non ci potevo credere». Quell’anno è tornato in campeggio: «Volevo sapere che cosa li faceva sorridere. Loro mi dicevano che era Cristo. Io non capivo, ma ero felice. Ho trovato qualcosa che riempie il mio buco». In quel buco gli si è aperta la vita. Come il marmo che si spacca in due.

Marco e la lampadina. «Io, in campeggio, ci sono andata perché volevo capire che cosa fosse quello che provavo qui», racconta Denise. «Là ho sentito quelle esatte parole che aspettavo di sentire da anni: si può essere felici sempre. Ho paura che dirlo sia banalizzarlo. Ma vi assicuro che l’ho visto con i miei occhi. In queste persone». Per Carlo, i campeggi sono arrivati a quota ventisette. Ogni volta si chiede: funzionerà anche con loro? «Invece, ogni volta, mi riemoziono. Perché Cristo riaccade in maniera antica e nuova. È Lui che sfida il tempo. E i cuori». L’ha visto. Primo giorno di campeggio, un gruppo di “nuovi”. Si mettono a fare l’incontro in mezzo all’erba. Tutti sdraiati. I più sonnecchiano. Lui inizia a parlare del cuore. D’un tratto, Nicola si tira su: «Io mi sento così». Si sollevano tutti. Un radar. «Quel tarlo ce l’hanno, ma non se lo dicono. E non c’è organizzazione che risponde alla loro domanda». Questo fa vivere la Casa. «Tu vuoi organizzare, rispondere. Ma Qualcuno si muove più veloce di te. È la mia esperienza di tutti questi anni con loro: c’è Uno che guida le cose. Tu devi solo fare un passo indietro. Per lasciarlo passare». Tanto che puoi tirar su una cosa a caso, che si tira dietro tutto.
È successo con il Banco di Solidarietà. Carlo voleva proporre un gesto di caritativa, Marco gli ha suggerito quello. Oggi la Casa ha un magazzino pieno di cibo. L’ha costruito Mattè con le sue mani. Ogni settimana, portano il pacco a famiglie bisognose. Alcune passano di qui. Come tanti altri amici, da tutta Italia, conosciuti a partire dal Banco. Poi con Gs, il Triduo di Pasqua, il Meeting. «Veder fiorire questa esperienza in rapporti così decisivi, fuori da qui, mi ha stravolto», racconta Marco, l’altro gemello. «Mi ha fatto sperimentare che cosa c’è dietro la Casa. Cristo è la corrente elettrica di questa amicizia. Io mi fermavo alla lampadina».

L’iPhone di Sorgnano. Sono le 17 e 45. Ognuno lascia quel che sta facendo, c’è la preghiera. In cerchio, mani nelle mani, chi vuole affida gli amici: inizia un elenco di nomi e intenzioni. Poi ci si sparpaglia. Luca, la Checca e Mattia partono per Sorgnano. Ci vanno ogni settimana, per incontrare cinque ragazzine in un paesino di cavatori arroccato sopra Carrara. Poche case che finiscono nel bosco. Oggi lavorano su alcune pagine de L’io rinasce in un incontro, di don Giussani. Prima cantano insieme Mi sei scoppiato dentro il cuore, che esce dall’iPhone in mezzo al tavolo. Anche loro, quando possono, scendono da Sorgnano alla Casa Rossa. Dove si cena insieme, con chi c’è. Come stasera. Più o meno un centinaio.
C’è anche la mamma dei due gemelli, Francesca. «All’inizio sono venuta per controllare i miei figli, che hanno iniziato ad alzarsi la domenica per andare a messa». Al primo incontro a cui ha assistito, ha incominciato lei a fare un milione di domande: «Avevo smesso di farmele a 14 anni. La mia vita era molto ferita, e dura, pensavo di non farcela. Ma questi rapporti me l’hanno cambiata. Cristo è un amore che accade ora, e dà senso a tutto. Sento che ce la posso fare». In sala, tra centinaia di foto, campeggia l’immagine della Creazione di Michelangelo. La mano di Dio a un centimetro da quella dell’uomo. «Io quella mano la voglio toccare», dice Alice, che ha 14 anni: «È impossibile che dietro a un’amicizia come questa non ci sia una Persona che ci ama. È grazie a Lui che non sono ancora là fuori a sprecare la vita». Come faceva Nicola: «Mi buttavo via al bar Bukowski. Mi sono mosso da quel posto solo perché qui parlavano del buco grosso che avevo dentro. Avevo fatto molte più esperienze di loro, ma loro erano più felici di me. Qui ho trovato una strada, lo capisco perché non ho più paura del domani». Alice - un’altra, più grande - ha i boccoli rossi e una sicurezza che non ti aspetti. Al suo ragazzo hanno trovato un tumore e lei sorride con gli occhi gonfi di lacrime: «Sono felice, totalmente. Se mi chiedessero se ho bisogno di qualcos’altro direi di no. Ho Cristo, è tutto quello che mi serve per vivere. Questa amicizia mi fa sapere che il male non è l’ultima cosa. Che Lui avrà cura di noi».

«Pensavo di bastargli». Dopo la cena, si canta. Le canzoni di Bea. Ha 21 anni e scrive testi e musica. Il suo talento non è roba solo sua. Che cos’è che non finisce mai?, cantano tutti insieme il ritornello. Canta anche Francesca. La moglie di Carlo. A lei la Casa Rossa si è imposta. «Vedere un gruppo di ragazzi che occupavano tutto il tempo della vita di mio marito è stato doloroso. Pensavo di bastargli io, invece non era così». Per tanto tempo non ne ha voluto sapere nulla. Faceva finta di non vedere la bellezza. Però questi ragazzi diventavano uomini. «Dimenticavo la loro età. Mi era messa di fronte una cosa talmente grande, che mi sono dovuta confrontare con me stessa. Tutto quello che viene da Dio è grande e bello. E non è come lo penso io. Ma è questo che allarga il mio cuore». Spacca il marmo.