L'attesa vissuta

«Vieni, c’è un prete che parla del desiderio». Un incontro con don Julián Carrón per gli studenti di tutta Italia. E la scossa che ha dato alle loro vite... (da Tracce, dicembre 2011)
Paola Bergamini

«Ciao, sono Giulia. Dopo l’incontro con quel prete mi ha ripreso la fame». Rimango ammutolita, con la cornetta del telefono in mano. Il prete è don Julián Carrón, l’incontro è la Giornata di inizio anno di Gioventù Studentesca al Mediolanum Forum di Assago (Milano) il 29 ottobre e in collegamento con 67 città in tutta Italia. Ma la fame? Giulia, ultimo anno del liceo classico ad Ancona, riprende: «La prof di italiano mi aveva invitato dicendomi: “Vieni, c’è un prete che parla del desiderio”. La cosa mi interessava. Lui ha detto che la realtà è data, un dono. Che la mia vita, che io sono un dono. Per me non era scontato, perché in questi mesi ho dovuto fare i conti con l’anoressia. Non trovavo niente per cui valesse la pena alzarmi al mattino, vivere. Quelle parole mi hanno smosso. Gli esempi erano concreti. Una vita all’altezza dei propri desideri. Quello era un punto di partenza. Dopo, avevo voglia di mangiare».

«Non si può subire». Questa è una delle prime telefonate, degli incontri con i ragazzi di Gs dopo quel 29 ottobre. La mia scrivania è ingombrata dai tanti fogli con gli appunti di quei dialoghi e delle email inviate un po’ da tutta Italia. Un fiume in piena, il racconto della «vita come possibilità di una avventura». L’avventura cristiana, che per questi ragazzi di 15, 16, 18 anni - alcuni invitati per la prima volta - rende l’esistenza più bella, appassionata. Un po’ in controtendenza rispetto alle varie indagini sociologiche che parlano solo di adolescenti annoiati, senza desideri. Questi fogli dicono il contrario. Tutti i racconti partono da quel fatto incontrovertibile: la realtà è data, un dono, ha in sé la traccia di Dio. Da lì ci si gioca la partita. Con impeto. E questo impeto verso l’ideale, visto e incontrato, per cui vale la pena spendere tutta la vita, mi ritrovo a descrivere.
La domenica dopo la Giornata di inizio i ragazzi di Gs della Toscana organizzano una gita ad Arezzo. Al mattino la spiegazione de Il Cristo di Cimabue nella chiesa di San Domenico. Sara si è preparata per tutta la settimana. «Nel cuore avevo le parole di Carrón: partire dallo stupore della realtà. È stato lo studio più bello che avessi mai fatto». Insieme a lei, Elisa, la sua migliore amica. Si conoscono da una vita, ma Elisa è la prima volta che partecipa a Gs. Dopo le testimonianze di alcuni ragazzi, Sara la vede con gli occhi lucidi. «Eli, che hai?». «Mi hanno sconvolto!». «Non l’avevo mai vista così entusiasta. Cosa dire di fronte a una realtà così?».
Lo studio, appunto, anche quando per quattro anni lo si è un po’ subito. Mattia, liceo scientifico a Corsico (Milano), ha sempre avuto da recuperare qualche materia a settembre: «Questa volta ho detto che la sfida per me cominciava dai libri. Da subito. E alla vacanza-studio mi sono quasi spaventato per quanto ho studiato. Ed ero contento». Luca, suo amico da sempre, ride. Lui, problemi scolastici, non ne ha mai avuti. Anzi. Racconta: «Ho provato a stare nella vita come diceva Carrón. Mi sono messo in gioco, nelle elezioni del Consiglio di Istituto e nella Consulta. Ho proposto incontri con i candidati delle altre liste. Ho studiato la mostra “150 di Sussidiarietà” per fare poi la guida (v. box). Prima non l’avrei mai fatto. C’ero io. Mi piacerebbe chiedere a Carrón come era lui da ragazzo. Come ha fatto a diventare così».
Le ore trascorse a scuola diventano un’occasione. Come per Matteo, quinto anno al liceo classico di Perugia, che velocemente - «ho poco credito sul telefonino» - dice: «Ho parecchie difficoltà a scuola per l’ambiente in cui sono. Prima della Giornata di inizio anno mi sembrava che andasse sempre tutto storto. Mi sono accorto che non si può sempre subire. Non posso alzarmi tutte le mattine e lamentarmi. Sono io che devo cambiare, non gli altri, per esempio i miei compagni di classe. È una scommessa».

Ciò che ho di più caro. A volte, stare tra i banchi di scuola è anche una sfida. Con i compagni e con i professori. Anna frequenta il secondo anno di liceo in Romagna. Un suo docente non perde occasione nelle lezioni per attaccare il cristianesimo. Provoca anche in modo offensivo fino quasi a rasentare la bestemmia. Anna ci sta male «perché vuole togliermi quello che ho di più caro». Tanti hanno intenzione di cambiare scuola. Lei trova il coraggio di discutere con il prof. E poi in classe ci sono due compagni con cui vive l’esperienza di Gs. Con loro si può rimanere. Ha la speranza che qualcosa cambi. Un giorno uno di questi amici riceve dal professore un 3 nel compito. «Prof, sono uno schifo». E il docente: «No, tu non sei uno schifo, lo è il tuo compito. Sai, ci sono persone che prendono tutti 10 e sono uno schifo e poi ci sono quelli che hanno tutti 4 e sono persone bellissime». Anna è sorpresa, da lui non se lo aspettava. La realtà provoca. E nessuno di loro vuole “volare basso”. La scommessa è alta. Soprattutto quando le circostanze sembrano remare contro. Maria è al terzo anno di aiuto cuoco a Carate Brianza. In famiglia la situazione è difficile. Lei si è sempre tenuta dentro la sua rabbia, il suo dolore. «Quando Carrón ha spiegato che le cose brutte non abbattono, io ho pensato che era proprio per me. Lo sguardo positivo non significa che non ci sono più, ma io ora ci sto dentro con tutta me stessa. Ci sono io».

Quella mattina in cucina. Nulla può essere dato per scontato, neanche il fatto di alzarsi al mattino, aveva detto Carrón. Neanche il rapporto con tua madre e tuo padre. A Roberto, liceo a Crema, quella domanda era rimasta dentro. Il 2 novembre è solo a casa con il padre. È teso, vorrebbe qualcuno con cui parlare del fatto che è innamorato. Chiama la mamma al lavoro. E lei: «C’è tuo padre. Parlane con lui». La prima reazione è un rifiuto totale. Gli vuole un bene dell’anima, ma non gli ha mai detto quello che ha nel cuore. In cucina lo vede seduto a leggere il giornale. È un attimo, pensa: «Forse la mamma ha ragione». Si butta. Gli dice tutto. Parlano per due ore. Il padre gli racconta del rapporto con la mamma, come Roberto non gli aveva mai sentito dire. Quello in cui crede. Alla fine il ragazzo, abbracciandolo, dice: «Perché ho impiegato diciassette anni per scoprire un padre così?». «Anche se sono stanco per il lavoro, anche se spesso mi lamento, io ci sono». Chiaro. Non scontato.

Lettera ai compagni. Più leggo i fogli sparsi, più mi accorgo che ogni riga vibra di questa tensione ideale ad abbracciare ogni aspetto della vita. Nel 1991 rispondendo a una domanda durante un’assemblea coi ragazzi di Gs, don Giussani aveva detto: «Il cuore è fatto per l’ideale. L’ideale è dettato dalla natura ed emerge col passare del tempo, se si persegue l’indicazione che la natura porta con sé. (...) Tu diventerai uomo e nella misura in cui ti sarà dato tempo, dovrai fare qualche cosa. Cogliere le occasioni per creare, per costruire: questa è l’attesa vissuta» (in Realtà e giovinezza. La sfida).
Giulia l’occasione non l’ha persa. Quindici giorni dopo la Giornata di inizio ha chiesto alla professoressa di religione di leggere ai suoi compagni una lettera. C’era scritto tutto quello che l’aveva colpita di Carrón. E perché per lei, per la sua vita era così importante. Non poteva tenerselo per sé.