Ritratto di famiglia

È il nucleo fondamentale della società. Ma oggi si cerca di toglierle significato. Ci siamo confrontati con un padre, una sociologa, un sacerdote e una giornalista. Sull’esperienza, e sulle parole del Papa (da Tracce, gennaio 2012)
Paola Bergamini

Nel ’68 le femministe gridavano: «Non più madri, mogli e figlie, aboliamo le famiglie». E in quegli stessi anni lo psichiatra David Cooper scriveva: «Non ha senso parlare della morte di Dio se non siamo in grado di concepire la morte della famiglia», a sottolineare che i due fattori erano collegati. Sono trascorsi oltre quarant’anni: Dio non è morto e neanche la famiglia. Ma di tentativi ne sono stati fatti tanti. La cultura dominante ha cercato e cerca di eclissare il primo - se c’è, non c’entra - e parallelamente, e non a caso, di mettere in un angolo la seconda. Meglio, di defraudarla del suo unico vero significato: «Spazio umano dell’incontro con Cristo», come ha detto Benedetto XVI al Pontificio Consiglio per la Famiglia in vista del VII Incontro delle famiglie che si terrà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno. Lo scorso settembre, rivolgendosi ai fidanzati ad Ancona, il Papa aveva detto che «ogni amore umano è segno dell’Amore eterno che ci ha creati». Colpisce l’aggettivo: umano. Più che una preoccupazione, nelle parole del Santo Padre emerge un amore appassionato per l’uomo e la speranza certa che in questo momento di crisi, di frantumazione dell’io, la famiglia è pietra angolare, riverbero di un Oltre. Come a dire: la strada c’è.
Su questi testi abbiamo radunato intorno a un tavolo personalità diverse: la scrittrice e giornalista Chiara Beria di Argentine, la professoressa di Psicologia della famiglia all’Università Cattolica Eugenia Scabini, don Carlo Romagnoni, da oltre quarant’anni parroco prima a Milano e ora a Montecremasco, e Paolo Tosoni avvocato, ma in questo caso in qualità di marito e padre di sette figli. È nata una discussione vivace, anzi un cammino, attraverso le parole del Papa, a partire dall’esperienza di ciascuno.

Il Papa ai fidanzati ha detto: «La tavola è imbandita di tante cose prelibate, ma, come nell’episodio evangelico delle nozze di Cana, sembra che sia venuto a mancare il vino della festa». Cosa sta venendo meno?
Don Carlo. Mi vengono in mente le facce dei fidanzati che ho seguito in questi anni. Mi accorgo che i nostri giovani, dentro una situazione di disastro umano, hanno l’impeto del sentimento dell’amore che li spinge a unirsi, ma è come se mancasse il fondamento, cioè l’orizzonte dell’infinito. È un cammino che devi fare con loro partendo dall’esperienza umana del rapporto.
Scabini. Mi aggancio a questa esperienza umana. L’interesse di tutta la tradizione della Dottrina della Chiesa, mi riferisco ad esempio alla Familiaris consortio, parte dalla relazione coniugale, non dai figli. Oggi il legame coniugale è il punto di massima difficoltà e ciò fa riflettere. Nel matrimonio ti devi confrontare con un altro che è differente da te per sesso, sensibilità e storia familiare. Nel rapporto con i figli prevale il rapporto di somiglianza, di prolungamento di sé. Da questo punto di vista l’amore è messo alla prova soprattutto nella relazione con il coniuge. Oggi appena l’innamoramento, che tende per sua natura a enfatizzare gli aspetti di somiglianza, di intesa, finisce e l’altro emerge nella sua diversità, la relazione tende a crollare. L’altro non è catturabile, modificabile più di tanto. Col coniuge l’impatto è con ciò che mi è simile, ma diverso. Emerge così il mistero di cui parla il Papa ai fidanzati. Il matrimonio è l’incontro di due personalità differenti e la sfida è che l’amore non sia nella linea dell’omologazione, ma di una relazione costruttiva.
Tosoni. Leggendo questi testi mi accorgo, dopo vent’anni di matrimonio, della corrispondenza alla mia vita della saggezza della Chiesa. L’amore, come la vocazione, lo si scopre nel tempo. Nell’incontro con il movimento di Cl io ho dato fiducia alla Chiesa senza rendermi pienamente conto della promessa che c’era dentro il matrimonio. Senza bruciare le tappe, oggi io sono più innamorato di mia moglie: dentro i litigi, le difficoltà, la diversità, appunto, la Chiesa mi ha aiutato a guardare mia moglie come un segno. Ad alzare lo sguardo. Questo ha permesso e permette quel rispetto che ha come orizzonte l’infinito. Ogni giorno è un inizio che è «per sempre», come ha detto il Papa. D’altronde, non si può accettare di amare una persona se non è per sempre.
Beria. Nello scenario grigio in cui viviamo i discorsi di Benedetto XVI mi hanno riscaldato il cuore. Da cronista dico che il Papa conosce bene le difficoltà, i problemi che i giovani devono affrontare. La mancanza di lavoro, di casa. Fare figli è diventato un lusso. Leggevo alcuni dati: calo dei matrimoni, aumento delle separazioni, dei divorzi e anche delle convivenze. È uno tsunami della coppia. Tuttavia in questo momento di crisi, la famiglia, anche solo come rifugio, rimane una sicurezza, l’unica forse. Il Papa fa un passo in più, dice: non sentitevi soli, non lo siete, siete un bene prezioso, il voler bene è riconoscersi nell’altro. Sono parole di straordinaria importanza, eppure hanno ben poca risonanza. Si riduce sempre la Chiesa a proibizionismo, a regole.

Mi fermerei su questo punto: non sentirsi soli. Cosa significa in ambito familiare?
Scabini. Il Papa dice di «evitare di chiudervi in rapporti intimistici, falsamente rassicuranti». L’amore è ben altro, progetta oltre sé. Ci sono due parole cardine. La prima: comunione. La Chiesa la collega alla Trinità: un’intesa di persone diverse. Comunione, quindi, come relazione che tiene insieme le diversità, come legame profondo e misterioso. Perché questo legame fiorisca in famiglia occorre l’affetto e il rispetto, che significa fermarsi sulla soglia dell’altro, che ti eccede sempre. La seconda: comunità di generazioni. Oggi c’è questa strana idea per cui la coppia nascerebbe come mondo nuovo senza agganci con la storia che l’ha generata. Tutto è appiattito sul presente - come la società, che ha dimenticato il senso della storia -, mentre la famiglia è un incontro arricchente, una rivisitazione di ciò che c’è stato prima. Per questo è necessario allargare i rapporti a una fraternità orizzontale e verticale che tiene dentro i fratelli, gli amici e i nonni.
Tosoni. Su questo mi ha letteralmente educato mia moglie che ha alle spalle una famiglia numerosa. Spesso ci si vede con i fratelli che magari hanno problemi, difficoltà. Per come sono fatto io, sarei rimasto chiuso nel mio guscio. La famiglia “allargata” in orizzontale alle relazioni è il modo concreto, più che tanti discorsi, per sostenere e aiutare la società, c’è un contagio, un’osmosi. Il modo più semplice per testimoniare quello in cui credo è attraverso la mia famiglia.
Don Carlo. Il Papa dice che la «famiglia fondata sul matrimonio è attuazione particolare della Chiesa, comunità salvata e salvante, evangelizzata e evangelizzante», quindi totale apertura. Da un anno sono in un piccolo paese. Ecco, quasi per trascinamento, sono rimasti questi rapporti, le tradizioni, ma è come se mancassero di significato. Quello che di bello il cristianesimo ha costruito esiste ancora in certe “isolette”, ma ha il fiato corto perché spesso manca la coscienza del significato che l’altro è. C’è una carenza di consapevolezza della propria esistenza come singolo e come famiglia. Il positivo viene risucchiato da una cultura che rema contro i rapporti.

Ritorniamo alle parole del Papa quando dice che nella nostra società «ciascuno è spinto a muoversi in maniera individuale e autonoma, spesso nel solo perimetro del presente». È il tentativo di eliminare la possibilità del legame di bene che ti unisce all’altro.
Scabini.
In questo senso la famiglia è l’epifenomeno di una crisi di legami. Funziona l’individuo che sceglie ciò che gli aggrada, ma quando il rapporto ha bisogno di cura, di educazione, di responsabilità, tutto crolla. Non va più bene. Ma i figli, oltre che col papà e la mamma, si identificano con la relazione che c’è tra di loro. Il che vuol dire: il rapporto lo capisci se lo vedi in atto, agito. Si è teorizzato sui legami familiari e sociali come “legami leggeri”, da cui uno entra ed esce con disinvoltura. Niente di più falso. I legami vanno coltivati e hanno sempre un forte impatto sulla vita delle persone.
Beria. In questo senso io vedo, oltre all’assenza dei padri, di nonni che non ci sono, anche un’urbanistica che si è sviluppata per lo più in senso verticale, che certo non agevola la possibilità di rapporto. Ma c’è un altro dato che mi colpisce, soprattutto se penso alle giovani donne: tutto è programmato. Prima c’è l’impegno lavorativo pressante, la carriera, poi i figli. Certo, le politiche familiari, a differenza di altri Paesi europei, remano contro il desiderio di un figlio, mancano le strutture. Mi sembra, però, che queste donne, arrivate a una certa età, ecco che decidono “di volere” il figlio, a volte senza un padre. Una generazione da computer. Ma in questo, senza voler condannare nessuno, mi sembra di scorgere una paura. E anche un dolore. Il Papa ha compreso benissimo questa paura quando parla della convivenza, che non solo brucia le tappe, ma non è neanche la garanzia per il futuro. Nulla può garantire l’amore se non il sacrificio, che non è la sopportazione, bensì un segnale di bene. Programmare la vita è tragico. Come dice il Papa, manca la speranza. Per anni si è dato importanza al successo, ai soldi, ai beni effimeri, ma ora questa crisi così profonda fa venire fuori il succo, il significato per cui vale la pena vivere. I quaquaraquà spariscono. Tornassi indietro, vorrei avere più figli e meno scoop giornalistici!
Tosoni. Sono d’accordo, mancano strutture, non ci sono politiche familiari adeguate, ma conosco famiglie che, pur non percependo stipendi elevati, hanno più figli. È dura, ma l’energia per affrontare le difficoltà è data dall’ideale che vivi. Mi colpisce che, nonostante tutta una battaglia mediatica feroce, la famiglia tiene. C’è bisogno di affetto, di significato. Questa crisi è proprio un’opportunità per testimoniare con la propria vita il significato che sostiene la vita.
Scabini. Vorrei fare una sottolineatura. Il Papa e la Chiesa non hanno mai detto che il valore della famiglia è proporzionale al numero dei figli che si mettono al mondo. Il numero non è la cifra e nemmeno la generosità. Perché la generosità senza gratitudine è sospetta. L’amore è il riflesso di ciò che hai ricevuto e non di qualcosa per cui sei bravo. Se vivi questo atteggiamento sei capace di sacrificio, di perdono. Nelle relazioni familiari un po’ di male ce lo si fa. Il problema non è non ferirsi, ma avere quell’energia capace di superare, di andare oltre. Il positivo non è mai automatico. Occorre trarre alimento da quella fonte benefica, dalla sicurezza di un amore che ti ha preceduto. «Anche se tuo padre e tua madre ti abbandonassero, io non ti abbandonerò mai», dice la Bibbia. Questo è un punto che dà pace. Altrimenti ti distruggi perché non puoi arrivare a tutto, perché non hai fatto abbastanza per i figli eccetera. Questo atteggiamento generativo si esprime anche nel lavoro: tu generi anche nel modo in cui lavori, come ti occupi dell’altro. La famiglia è una forma di relazione che tu dilati anche nelle altre relazioni. In ultimo vorrei dire che fa parte della sanità di una relazione anche la presenza di un po’ di ironia. Il che significa essere un po’ distaccati da sé e non pretendere che l’altro sia esattamente ciò che hai in mente tu. L’ironia è una forma di perdono. E sta dentro quella custodia dell’altro di cui parla il Papa - ripreso dal cardinale Scola nella sua lettera per l’incontro mondiale - quando sottolinea la fedeltà insieme all’indissolubilità e alla trasmissione della vita, che sono i tre cardini della famiglia.
Tosoni. Una cosa è certa: la famiglia è davvero un’avventura per ciascuno perché è «l’esperienza inestirpabile di un bene», come ha detto don Carrón. E per questo è una risorsa per tutta la società. È ciò che mi fa essere felice e grato tutte le mattine, quando mi alzo e guardo mia moglie e i miei figli.