Rastelli. Il grande cuore del dottor Gian
La manovra cardiochirurgica che porta il suo nome ha fatto il giro del mondo. E salvato tanti bambini. Ma il giovane medico non era conosciuto solo per la sua abilità medica. Ecco come è nata la mostra su di lui, presentata al Meeting 2018«Rimboccati le maniche e vieni, ragazzo, qui c’è pane e gloria per tutti». La calligrafia che affolla il retro di una cartolina datata marzo ‘68 lascia indovinare la tensione elettrizzante con cui il giovane cardiochirurgo italiano, Giancarlo Rastelli, stava affrontando la sua avventura americana. Niente, invece, in quelle righe inviate a un vecchio compagno di studi in Italia, fa sospettare la malattia: una grave forma di linfoma che lo affliggeva da tempo, e che lo porterà alla morte nel 1970, a soli 36 anni.
Oggi il suo nome è ancora noto perché la “Rastelli procedure”, la manovra correttiva per alcune cardiopatie congenite, è presente nei manuali di cardiochirurgia pediatrica e sono molti gli ospedali a praticare questo tipo di intervento. Ma per scoprirne lo spessore umano c’è voluta una mostra realizzata nel 2017 da quattro studenti di Medicina di Bologna e ospitata quest’anno dal Meeting di Rimini all’interno dell’area Salute, di cui è diventata subito il catalizzatore principale. È una mostra che con video, foto e manoscritti, riesce a restituire per intero il volto di un uomo che viveva una profonda unità tra “sapere” e “sapere amare”. Non sorprende che anche gli Stati Uniti siano interessati a portarla Oltreoceano: la Mayo Clinic di Rochester, tra i più prestigiosi ospedali d’America, quello che accolse Rastelli nel ‘61 con una borsa di studio e se lo tenne stretto fino alla fine, vorrebbe esporla già nel prossimo anno.
L’entusiasmo, che oggi da Rimini migra in direzione Stati Uniti, ha la stessa radice della curiosità che nel 2016 fa breccia nelle vite ben organizzate di Giovanni, Gerardo, Andrea e Veronica, gli studenti di Bologna, quando a lezione sentono parlare di Rastelli per la prima volta. «Il prof. fece un accenno al fatto che con la sua invenzione, Rastelli aveva salvato la vita a tantissimi bambini e che per lui si era aperta la causa di beatificazione», racconta Giovanni. «È scattato qualcosa in noi. E abbiamo iniziato a cercare informazioni». Trovano un libro, scritto dalla sorella Rosangela: «In quel libro biografico abbiamo incontrato l’uomo e il medico che desideriamo diventare. La sua vita ha iniziato a contagiarci». Ne parlano tra di loro e capiscono che non poteva rimanere una cosa solo loro. «Così, spinti da questo fascino, e contro ogni calcolo realistico, pensando alle nostre giornate fatte di corsi, esami e tirocini, con alcuni amici ci siamo lanciati nel progetto di una mostra per la nostra università», racconta Gerardo.
Il lavoro inizia con una telefonata alla Gazzetta di Parma: «Cercavamo qualcuno che potesse metterci in contatto con la sorella di Rastelli». Tramite un redattore che la conosceva riescono a incontrarla. «Poi attraverso di lei siamo riusciti a raggiungere i compagni di corso, chi l’aveva conosciuto a Parma e anche la figlia Antonella, che ora vive a Padova ed è medico». Interviste, lettere, articoli di giornale: la ricostruzione della vita di Rastelli passa da fonti storiche che i ragazzi raccolgono e mettono in fila con precisione. «È stato impressionante accorgerci di come al nome di Rastelli tutti ci aprivano le porte di casa. Si commuovevano all’idea che, dopo cinquant’anni, dei giovani si interessassero alla vita del loro amico. Avevano foto e aneddoti da consegnarci, come se ci avessero aspettato da sempre». È così che anche per i quattro studenti, Giancarlo Rastelli diventa semplicemente “Gian”. «È diventato un amico. La sua vita è come una lente di ingrandimento con cui guardiamo quello che ci accade nei reparti, nello studio, a casa».
I pannelli della mostra ripercorrono gli snodi principali della vita del cardiochirurgo. Dalla gioventù trascorsa all’oratorio di San Rocco a Parma fino agli ultimi giorni prima di morire a Rochester, si è accompagnati dalle voci narranti di testimoni oculari. Il loro racconto, capace di riportare alla luce i dettagli, rende possibile immedesimarsi con un’esistenza che nella sua ordinarietà si è lasciata investire da un grande ideale. Come i compagni di università che raccontano di quando Gian, dopo una giornata di studio frenetica, fermava tutti e diceva: «Andiamo fuori a vedere quella cosa! Dai, che dopo torniamo e recuperiamo!». Oppure prima di ripetere Anatomia, esordiva: «“Ti ricordi l’Inno alla carità di san Paolo?”. Lo recitava a memoria e restavo a bocca aperta». O quando nel tempo libero andava a pescare nel Polesine. Lì i barcaioli del Po lo chiamavano “Signor dottore”. E lui, tra un pesce e l’altro, si era messo a spiegare loro gli autori italiani, la storia, la geografia. «In tre o quattro presero il diploma. Da tutti fu considerato il “Miracul del Gian”».
Appena laureato, nel ‘57, iniziò a lavorare alla Clinica chirurgica di Parma. Il rapporto coi pazienti era definito da una carità che stupiva tutti. «Si ammalava con gli ammalati e guariva con loro», ricorda una di loro. Come accadde la notte di Capodanno con il signor Menapace. Era un paziente che aveva subìto un’amputazione a entrambe le gambe. In quella notte Rastelli fu raggiunto da una telefonata da parte della moglie: il marito era caduto in un forte stato depressivo, non mangiava né beveva più. E voleva morire. Gian non esitò ad abbandonare «la cena dell’abbondanza parmigiana» e a raggiungere il suo paziente insieme agli amici. Parlò con lui per più di un’ora. «Non si sa cosa si dissero, ma il risultato fu che a un certo punto Armando Menapace chiamò tutti dentro e fece aprire il Lambrusco delle sue viti e tagliare il culatello dei suoi maiali. Pianse. Rise. Mangiò. Ricominciò a vivere da quel giorno». Quando Gian partì per l’America, gli amici che quella sera erano con lui continuarono ad andare a trovare Armando.
Anche il racconto degli anni negli Stati Uniti è affidato alle testimonianze dirette di tanti colleghi medici e infermieri. La sua gratuità non passava inosservata: «Aveva un materassino che usava di nascosto, perché era proibito, quando voleva fermarsi in reparto di notte per seguire i pazienti più gravi. Non era tranquillo ad andarsene a casa». E poi ci sono le centinaia di bambini italiani affetti da cardiopatie congenite che con le loro famiglie hanno attraversato l’oceano per farsi operare da lui. Era diventato il “chirurgo del possibile”. Li visitava gratis in Italia e poi faceva in modo che potessero affrontare il costoso viaggio fino alla Mayo Clinic. Molti li ospitò a casa sua.
In tutta questa attività, l’uomo Rastelli era sostenuto dalla presenza della moglie Anna. Si erano conosciuti sulle piste da sci di Bormio e dopo le nozze, nel 1964, lei lo seguì negli Stati Uniti, dove nei mesi seguenti appresero la notizia della malattia di Gian. Il modo in cui la affrontarono è documentabile nelle lettere che i due sposi scrissero in quegli anni. E anche in alcuni ricordi che la figlia Antonella, nata nel ‘66, conserva e racconta nella mostra. «La sera della diagnosi torna a casa con una rosa rossa per la moglie Anna, mette sul grammofono un disco di Vivaldi e dice: “Ho fatto degli esami che non sono andati molto bene. Io sono felice. Ho avuto tanto dalla vita e ora con te ho avuto tutto». E dopo pochi giorni: «Mi è stato concesso dell’altro tempo, grazie a Dio. Non ne parliamo più. Viviamo una vita normale». E così fu per sei anni. In quel periodo pubblicò le scoperte per cui oggi viene ricordato. E nacque Antonella. «Riuscì a rimanere se stesso», ricorda la sorella nella sua biografia. Morì il 2 febbraio 1970. Alla moglie, poco prima dell’agonia, disse: «Paga tu il conto del nostro amore. Ci rivedremo». Poi guardò fuori dalla finestra e aggiunse: «Il sole, come è bello».
Prima del Meeting di Rimini, la mostra è stata allestita al Bambin Gesù di Roma, all’Università di Parma e in quella di Padova. In quest’ultima, è stata parte integrante di un convegno e corso di aggiornamento per i medici. Ovunque, incontrare il cammino umano e scientifico di Rastelli provoca una sorta di contagio. Come è accaduto al professore Gaetano Thiene, massimo esperto di cardiopatie congenite in Italia, che, contattato dai ragazzi e avendo letto una prima stesura, si è reso disponibile ad aiutarli coi capitoli scientifici della mostra.
Ma Rastelli non è solo per gli addetti al mestiere. Al manutentore del Sant’Orsola di Bologna è successa più o meno la stessa cosa. È mattino presto, quando, appena finito di eseguire una riparazione all’interno dei locali della mostra, decide di farsi un giro tra i pannelli. Dal titolo, “La prima carità al malato è la scienza”, intuisce che è «roba da medici». Ma quella foto di Rastelli lo cattura: è in cima alle Dolomiti, indossa gli scarponi e una camicia scozzese. È affaticato, probabilmente per la salita, ma il suo sguardo rimane teso a una meta invisibile. «L’avete fatta voi tutta ‘sta roba?», chiede appena arrivano i ragazzi per i turni delle visite guidate. «Non ho mai letto una storia del genere. Guardate che io sono ateo, ma qui vedo qualcosa di più». Si china a rimettere a posto gli attrezzi nella cassetta da lavoro. «Sapete, mio figlio deve essere operato al cuore fra poco. Spero di incontrare qualcuno come questo Gian…». Li saluta. Dopo poco lo vedono tornare fischiettando. Si avvicina ai ragazzi mentre con la mano sventola uno scontrino: «Ho pagato la colazione a tutti. Dai, andate al bar. Che oggi sono contento». #Meeting18