Chiara Corbella Petrillo

Chiara Corbella o della perfetta letizia

Per lei, il 21 settembre, si è aperta la causa di beatificazione. L'incontro con Enrico, il matrimonio, l'esperienza drammatica della maternità. Poi la malattia e la morte. La storia di una ragazza romana che, a 28 anni, ha vissuto una santità possibile
Paola Ronconi

«Tutti i fedeli di ogni stato e condizione sono chiamati dal Signore, ognuno per la sua via, a una santità la cui perfezione è quella stessa del Padre celeste». Così dice papa Francesco nella esortazione apostolica Gaudete et exsultate, citando un passo della Lumen Gentium. E «ognuno per la sua via» è quello che sembra dire la storia di Chiara Corbella Petrillo. Per lei, il 21 settembre, si è aperta la causa di beatificazione.

Ma chi è Chiara? Una mamma con una fede profonda, l’oratorio, il catechismo, il gruppo dei giovani del Rinnovamento dello Spirito. Il rosario quotidiano in famiglia, e l’adorazione eucaristica, pratica rara quanto inusuale tra i giovani d’oggi. È questo il contesto familiare della Roma anni Novanta in cui cresce.
Ed è il 2002 quando Chiara ed Enrico si conoscono a Medjugorie, durante un pellegrinaggio. E si innamorano.
Il fidanzamento è lungo e travagliato: le diversità di carattere li fanno “incastrare”. Per anni, si lasciano più volte e più volte si “riprendono”, come accade in moltissime relazioni. Chiara ha paura di perdere Enrico, di perdere la “sua occasione”. Ma questo «deserto del fidanzamento», dirà lei più volte, è uno dei periodi più difficili e preziosi della sua vita. Presto infatti conoscono i frati di Assisi, in particolare fra’ Vito che diventa il loro padre spirituale.

Chiara ed Enrico imparano con loro che l’amore è il contrario del possesso, che se si dice sì a Dio ogni giorno, ogni strada diventa possibile, però bisogna fidarsi. È la logica delle 3P, dei “piccoli passi possibili”. In particolare un passo dell’Apocalisse, che fra’ Vito le dà da meditare, diventa per lei un punto di svolta: «Quando Dio apre una porta nessuno la chiude. Quando Dio chiude una porta nessuno la apre» (Ap 3,7). La consolazione per l’inquietudine del cuore e per la fretta di capire la strada viene solo dal Signore. Se Enrico è lo sposo che Dio ha scelto per lei, «stai serena: nessuno te lo toglierà», le dice fra’ Vito. E «se riconosci che solo in Dio puoi amare, devi amare Dio più di tua moglie e tuo marito», aveva capito Enrico.
È qui che Chiara capisce che ciò che il Signore le dà è per lei, perché la grazia per vivere ogni momento viene data da Dio quando serve, né prima né dopo.
Assisi, dopo Roma, diventa la loro seconda casa e il 21 settembre 2008 si sposano nella città di san Francesco.

Neanche un mese e Chiara è incinta. È una bimba, Maria Grazia Letizia, ma scoprono presto che è anencefala, non ha la scatola cranica. Chiara è da sola all’ecografia. Enrico sta subendo un piccolo intervento ai denti. Quando la dottoressa la informa della malformazione, Chiara ha paura della reazione di Enrico, ma «coniuge, spiega lui, vuol dire “con lo stesso giogo”, con la stessa croce». I due decidono di accompagnare la bambina fin dove riuscirà a vivere, fino alle porte del cielo.
La gravidanza va avanti. La bambina nasce il 10 giugno 2009. Vive per mezz’ora durante la quale riceve il battesimo «non perché i bambini non battezzati non vanno in paradiso, ma perché per noi era il segno della presenza del Signore», dice Enrico. Il funerale di Maria Grazia Letizia è vissuto da tantissima gente come una festa, «il primo assaggio di quella eternità che avremmo sperimentato altre volte», continua Enrico.



La gente inizia a mormorare: siete belli, siete giovani. Fate un altro figlio. Sarà più facile dimenticare la prima disgrazia. «Ma per noi non c’era nulla da dimenticare e ne eravamo addolorati. È un ragionamento di chi non ha vissuto tutta la grazia che avevamo vissuto noi», dice lui.
Molto presto Chiara rimane incinta una seconda volta.
Il bimbo cresce nella pancia e durante una delle prime ecografie si comincia a capire che anche lui, Davide, ha dei problemi. Ha una sindrome molto rara a causa della quale non si sviluppano le gambe. «Il Signore ci stava chiedendo di accogliere in casa un figlio disabile», racconta Enrico.
Durante quei mesi, non mancano gli “amici di Giobbe” intorno a loro, quelli che vorrebbero insinuare nei due giovani il dubbio che due figli del genere sono frutto di un loro “allontanamento da Dio”, una sorta di punizione divina per qualcosa che hanno fatto. Oppure che è una questione genetica, da indagare medicalmente, e per cui avere prudenza. Ma analisi approfondite diranno che non è così.

Il 12 marzo 2010, Chiara scrive nel suo diario: «Chi è Davide? Un piccolo che ha ricevuto in dono da Dio un ruolo tanto grande, quello di abbattere i grandi Golia che sono dentro di noi… Abbattere il nostro potere di genitori di decidere su di lui e per lui. Ha abbattuto il nostro diritto a desiderare un figlio che fosse per noi, perché lui era solo per Dio. Ha abbattuto il desiderio di chi pretendeva che fosse il figlio della consolazione, colui che ci avrebbe fatto dimenticare il dolore per la morte di Maria Grazia Letizia. Ha smascherato la fede magica di chi crede di conoscere Dio e poi gli chiede di fare il dispensatore di cioccolatini. Ha dimostrato che Dio i miracoli li fa, ma non con le nostre logiche limitate perché Dio è qualcosa di più dei nostri desideri. Ha abbattuto… le idee di quelli che chiedono a Dio una vita felice e semplice che non assomiglia affatto alla via della croce che ci ha lasciato Gesù… Io invece ringrazio Dio che il Golia che era dentro di me ora è finalmente morto». E aggiunge: «Grazie a Davide nessuno è riuscito a convincermi che quello che ci stava capitando era una disgrazia, che deriva dal fatto che ci eravamo allontanati da Dio, fosse anche inconsciamente… i miei occhi sono liberi di guardare oltre e seguire Dio senza aver paura di essere quella che sono».

Con papa Benedetto XVI

Col passare dei mesi, la sindrome si mostra nella sua complessità. «In realtà Dio ci stava chiedendo di accompagnare un altro figlio fino alle porte del Paradiso».

Il 24 giugno (festa di san Giovanni Battista) Davide Giovanni nasce. Anche lui, come sua sorella, viene subito battezzato. Anche lui vive per pochissimo tempo. E anche lui ha un funerale che in molti ricordano come un momento in cui si è fatta esperienza della vita eterna, non di lutto, anche se molti amici e conoscenti della prima ora non riescono a reggere quello che considerano una sfortuna dei Petrillo, allontanandosi da loro. Chiara ed Enrico di fronte a questa ennesima prova appaiono come la Sindone: «Si può scegliere di vedere soltanto i segni della Passione o anche quelli della Risurrezione», racconta chi è stato sempre accanto a loro.

«In tanti chiedevamo a Chiara perché succedono simili cose e come si fa a sopportare un così grande dolore», dice la sorella Elisa. «Ma lei mi disse di essere già arrivata al terzo step: per chi vivere queste cose».
Dopo pochi mesi, rimane nuovamente incinta. Il bimbo è sano. La gravidanza procede bene. Ma presto Chiara scopre di avere un’afta sulla lingua che non guarisce. Subisce un piccolo intervento. L’esame istologico non dà scampo: è un carcinoma, tumore tra i più aggressivi, che colpisce soprattutto uomini, fumatore, dopo i sessanta. Chiara ha 27 anni e non ha mai fumato.
Inizia una lotta contro quel male che Chiara chiamerà fin dall’inizio il “drago”. Il drago però non è solo il tumore, è soprattutto il buio della fede: dopo l’operazione per asportare l’afta, per un fraintendimento, alla sera gli infermieri non le danno gli antidolorifici e, quella notte, il dolore alla lingua è lancinante, insopportabile. «Perché non mi togli il dolore?», grida Chiara dentro di sé, come scriverà poi nel diario: «Dio non esiste, altrimenti non mi farebbe questo». È il dolore di chi si sente abbandonato sulla croce. Il dolore di Gesù. Quella notte resterà sempre come una prova, come un punto in cui si può riaccendere la paura. Nella tarda notte si addormenta. Quando si sveglia, trova Enrico che legge i passaggi sulla perfetta letizia ne Le fonti francescane, in cui si parla di un amore che affronta il male. Per Chiara è il segno più concreto che Dio non l’ha abbandonata.

A questo punto la ragazza dovrebbe sottoporsi immediatamente a pesanti terapie antitumorali, incompatibili con la gravidanza. Si tenta di convincerla ad abortire, ma è irremovibile. I medici vogliono almeno far nascere prima Francesco: «Il Signore dà una croce a me e io la metto su un neonato?!», scrive Chiara. «Ma chi è il re della storia?! Ma tu credi davvero che i tuoi capelli son contati? Io aspetto che mio figlio faccia una gravidanza normale, come vuole il Signore e io mi opero subito dopo». Questo drago «cerca di metterci paura del futuro, ma noi continuiamo a credere che Dio farà anche questa volta cose grandi», scrive nel gennaio 2011.
Enrico vive le cose insieme a lei, e «la mia ansia aumentava. Volevo salvare capra e cavoli: non volevo diventare vedovo, volevo che mio figlio avesse una madre».

Il 30 maggio 2011 Francesco nasce. Subito dopo il parto, Chiara fa un intervento e inizia le terapie. Ci sono metastasi al collo. Mette la peg. Nonostante Francesco sia sano e bellissimo, «i nostri primi mesi da genitori sono complicati». La ragazza fa un altro intervento alla lingua, al collo, ai linfonodi. Ma inutilmente, il 14 aprile del 2012 gli esami dicono che Chiara è malata terminale.

Chiara ed Enrico hanno un desiderio: tornare a Medjugorie, dove si erano conosciuti, per riconsegnare il loro matrimonio nelle mani della Madonna. Partono in 150 tra parenti e amici. Molti vogliono chiedere la grazia della guarigione, ma ciò che Chiara chiede è «la grazia di vivere la grazia». Riescono a incontrare Ivan, uno dei veggenti. Lui dice che la Madonna gli ha permesso di vedere l’Aldilà. Il dialogo tra lui e Chiara è molto veloce. Lei gli chiede: «Se tu avessi la certezza di andare in paradiso avresti paura di morire?». La risposta è no. A Chiara basta quello.

Durante l'ultimo pellegrinaggio a Medjugorie

I mesi successivi la famiglia Petrillo vive in una casa di campagna della famiglia Corbella. È molto grande e può accogliere parenti e amici. Chiedono anche a fra’ Vito di vivere lì con loro e, una volta sentiti i superiori, il religioso si trasferisce. Così «potevamo avere la Messa in casa tutti i giorni, l’adorazione e la possibilità di confessarci tutte le volte che volevamo», racconta Enrico.
Ma cosa vuol dire prepararsi all’incontro con il Signore? Prepararsi alla morte? Da marito preoccupato per mille cose, un giorno «ho chiesto a Chiara: hai paura di morire? No, mi ha risposto: “Ho paura del dolore, di vomitare, e di andare in Purgatorio”. Era concreta e cosciente dei suoi peccati e della sua pochezza». Infatti, il contrario della paura è la fede, non il coraggio.

Chiara peggiora, il 12 giugno 2012 fra’ Vito è a Cagliari, lo chiamano. Chiara lo aspetta perché sa che le porta il Signore. Celebrano la messa di notte. «Il Vangelo di quel giorno sembrava scritto per noi: “Voi siete la luce del mondo e il sale della terra”. Chiara era bellissima. Valeva vivere tutta la vita per quel momento», dice Enrico. «Il mio giogo è dolce, il mio carico leggero, dice Gesù, ma io, tutta ’sta dolcezza, non la vedevo. Allora chiedo a Chiara: questa croce è davvero dolce? Mi ha sorriso: sì, è molto dolce. Ho capito che la grazia arriva al momento giusto. La grazia del fare questo passaggio ce l’aveva lei perché lei ne aveva bisogno in quel momento»
Dopo qualche ora, Chiara muore.

Il 21 settembre 2018 si è aperta in Vaticano la Causa di beatificazione. Chiara è Serva di Dio.
Perché questa ragazza di 28 anni è sulla strada della santità? «Molte donne hanno dato la vita per i loro figli. Ma Chiara muore felice. Si è lasciata amare dal Signore. Era felice perché sapeva dove stava andando. Era proiettata verso questa eternità, un’eternità già iniziata qui».