Anna Sangiorgi

La strada di Anna

La testimonianza di due genitori, Otello e Daniela, al Congresso Eucaristico di Matera. Il cammino di loro figlia di fronte alla malattia. E quello che accade per loro e intorno a loro
Otello e Daniela Sangiorgi

Siamo Daniela e Otello, sposati da trentacinque anni, abbiamo avuto cinque figli: Michele che ha 34 anni, Francesco di 32, Giulio che ne ha quasi 28, Davide 20 e, ultima, Anna. Nel dicembre del 2017 ad Anna, che allora aveva 14 anni, è stato diagnosticato un sarcoma di Ewing, un tumore raro che colpisce soprattutto in giovane età. Quando abbiamo ricevuto gli esiti delle analisi per un attimo ci è caduto il mondo addosso, e subito ha fatto irruzione in noi una domanda: che il Signore si rendesse presente in quella circostanza, che mostrasse il Suo volto misericordioso, che ci facesse sperimentare il centuplo che è promesso a chi lo segue, proprio in quella realtà che ci era capitata.

La prima realtà che ci è stato chiesto di guardare è stata quella dell’ospedale: persone straordinarie, che combattono al tuo fianco e ti chiedono di starci, perché per sconfiggere il male è necessario che tu combatta con loro: medici, infermieri, oss, psicologhe, volontari. Anche l’incontro con gli altri genitori ci ha colpito da subito: quanto unisce la sofferenza, quante barriere cadono, e non si ha vergogna di andare al fondo dei rapporti, di condividere le questioni più importanti. I colleghi di lavoro si sono presi i turni peggiori, per permetterci di stare di più con Anna, e diversi amici ci hanno confidato che il pensare a lei li ha aiutati a sopportare meglio il proprio stato di infermità, o a vivere situazioni lavorative difficili.

Anna con i suoi genitori, Otello e Daniela

Tantissima gente ha pregato per Anna. Ci hanno stupito particolarmente persone che dicevano di non credere tanto, ma che pregavano lo stesso, o incaricavano qualche amico “credente” di farlo. Una amica ha mobilitato tutta la comunità buddista a cui appartiene, e con lei è nato un bellissimo rapporto di amicizia. Insomma, la cosa orribile che stava accadendo stava tirando fuori il meglio da tante persone, e in un certo senso anche da noi: eravamo gli stessi, con tutti i nostri limiti e le nostre fragilità, ma non potevamo negare quello che stava accadendo davanti ai nostri occhi: il Signore si stava rendendo prossimo alla nostra vita. Questa stessa cosa accadeva, in modo ancora più impressionante, ad Anna: qualcosa di importante e di decisivo, come ebbe a raccontare lei stessa ad alcuni amici.

«Cosa nel tempo mi ha fatto chiamare la mia malattia “esperienza” (mi dà fastidio quando la gente mi compatisce, non mi piace definire questa circostanza “malattia”) e cosa mi ha fatto dire che questa esperienza è stata una grazia per me? Fondamentalmente gli incontri che ho fatto in questi anni. In particolare l’incontro con la dottoressa Chiara, neonatologa. L’ho conosciuta in una situazione molto particolare. Ero in rianimazione in terapia intensiva, un luogo molto duro. Per i genitori è possibile far visita ai figli solo due ore al giorno, dunque ci si sente spesso soli. Chiara però era riuscita ad entrare. Ha iniziato a parlarmi e ad accarezzarmi ed io non ho detto assolutamente niente, tranne quando se n’è andata. In quel momento mi è sorto spontaneo dire che secondo me, quella ragazza, apparteneva al movimento che io ho conosciuto grazie ai miei genitori. Sinceramente ancora adesso non saprei dire cosa mi abbia spinto a dire ciò, ma so per certo che l’incontro con lei è stato molto importante per me».

A partire dal rapporto con Chiara nacquero e si intensificarono rapporti sempre più forti di condivisione e di amicizia con tante persone. Amici all’ospedale Sant’Orsola, e poi al Rizzoli, a Bologna, dove era stata trasferita per un importante intervento. E poi amici fuori dall’ospedale che pregavano. Dal gennaio 2021 un gruppo di amici iniziò a trovarsi quotidianamente online a recitare il Rosario per Anna, un gesto che continua ancora oggi.

Grazie a questi rapporti, per Anna la consapevolezza di essere amata e la possibilità di corrispondere a questo amore diventarono più decisivi del male che l’assaliva. A partire da questa certezza, sorretta da questa vasta compagnia di persone che le volevano bene e la sostenevano in tutto, ha vissuto con crescente intensità gli anni della sua malattia.

Come raccontava lei stessa, citando una frase che aveva sentito al Triduo pasquale di Gioventù Studentesca: «“Sono state presenze veramente amiche, presenze così eccezionali che ci lasciano senza parole, in silenzio. Lo hanno fatto con gesti semplicissimi, una telefonata, un messaggio, ma erano diversi dalle altre telefonate, perché non si vergognavano di noi, ci rimettevano davanti alla realtà, ci hanno voluto più bene di noi stessi, e la loro diversità è stata facilissima da individuare in questo periodo così difficile”. Ecco, io credo di aver trovato nella mia esperienza queste presenze amiche, e ne sono veramente grata».

Dando credito a queste presenze amiche, per Anna è stato semplice riconoscere qual era l’origine di questa diversità. E così, anche la fede è diventata in lei sempre più consapevole. Man a mano che la malattia avanzava, ha vissuto le circostanze difficili che le erano date in un modo diverso, senza mai lamentarsi, sempre sorridente. Non si paragonava con le sue coetanee che stavano bene, viveva l’oggi per le carezze che arrivavano e se stava male lo diceva e ripartiva. Semplicemente viveva il presente come dono.

In reparto tutti la conoscevano, le infermiere entravano nella sua stanza non soltanto per somministrare le terapie, ma anche solo per salutarla e magari scherzare insieme; le mamme di altri giovani pazienti le chiedevano un aiuto per i loro figli - colpiti nel morale non meno che nel fisico - a riprendere in mano le fila della loro vita. Come ha detto il medico che l’ha curata, ognuno poteva scoprire in lei qualcosa della propria identità.

Un giorno Anna disse che, in un certo senso, per lei la malattia era stata una grazia. A un amico che, stupito, le chiedeva come facesse a dire questo, aveva risposto: «Prima della malattia ero un’adolescente (lo sono anche adesso, in realtà), non mi interessava molto andare in chiesa, pregare, invece grazie alla malattia, o per meglio dire, grazie alle persone che ho incontrato, e che mi hanno messo sulla strada giusta, adesso che dico il Rosario, che faccio cose che prima non facevo, io mi sento veramente felice. E questa è una grazia, secondo me. Avere una compagnia di amici che pregano con te e che ti richiamano continuamente a ciò che è vero, non è lo stesso che vivere da soli!».

Dentro questo cammino di maturazione vissuto insieme, per lei ha iniziato a diventare sempre più decisivo il rapporto personale con l’origine di quell’amicizia e di quella diversità, il rapporto personale con Gesù, sia attraverso la preghiera, sia attraverso l’Eucarestia. Lei, che prima rivendicava il proprio diritto di non andare a Messa la domenica se non ne aveva voglia, ha iniziato a pregare ogni giorno, e a chiedere che il sacerdote venisse a portarle la Comunione. Come ha raccontato il cappellano dell’ospedale: «Ogni volta che andavo nella sua camera, la trovavo sempre più desiderosa di ricevere Gesù. Ogni giorno. Era di poche parole, ma sempre grata per i gesti di vicinanza. In reparto le volevano tutti bene, e spesso quando le andavo a portare la Comunione, la trovavo con medici, infermieri, che semplicemente volevano stare con lei. Poi quando davanti a tutti riceveva l’Eucarestia testimoniava in modo semplice e potente qual era l’origine della sua vita, come faceva ad essere così».

Anna se ne è andata il 6 febbraio 2022 e ci manca tantissimo, ma non possiamo non riconoscere il bene che abbiamo visto e che non è venuto meno, anzi. Tanti segni, a volte piccoli miracoli, sono accaduti dopo la sua morte e continuano ad accadere. A cominciare dal suo funerale: «Una festa», ci hanno detto in molti, scusandosi per aver usato quel termine così apparentemente fuori luogo.

Da alcuni mesi siamo entrati in una fase diversa della vita - prima tutte le nostre giornate erano modulate sulle esigenze di Anna - e ci sentiamo profondamente inadeguati a vivere la circostanza che ci è stato chiesto di attraversare. Ma grazie a Dio, il problema non è essere capaci. Tutta l’esperienza di questi anni ci dice che il problema, invece, è domandare ogni giorno al Signore che mostri il Suo volto, pieno di misericordia e di tenerezza, e avere degli amici che ti sorreggono nella domanda, e che ti aiutino a riconoscerLo.

La vera questione è lasciarsi abbracciare da Lui, attraverso gli amici, e dire il nostro “sì”, come ha fatto Anna. Un “sì” povero e semplice, ma reale, come quello che diceva lei davanti all’Eucarestia. Da quel momento tutto può cambiare.