(Foto: Giacomo Bellavista)

Scintille di Meeting

Giacomo ha fatto il volontario al Meeting come fotografo. Qui, con immagini e parole, racconta i suoi giorni a Rimini
Giacomo Bellavista

Da anni faccio il volontario al Meeting come fotografo, sia durante le settimane precedenti per la costruzione sia durante la settimana in cui si svolge. Descrivere cosa sia per me il Meeting di Rimini non è semplice. La fiera scatena un turbinio di emozioni e serve sempre un po’ di tempo per capire cosa sia successo durante il frullatore che è quella settimana.

Una cosa in particolare è chiara fin da subito: dal giorno in cui finisce un’edizione, comincio a pensare come preparare quella successiva, cosa migliorare. La fiera ogni anno ha la funzione come di un elastico che mi rilancia su tutto quello che poi la vita mi mette davanti nei mesi successivi. Una sorta di scuola dove imparo che i fallimenti non sono un giudizio finale senza via d’uscita – certo mi arrabbio quando le cose non vanno come voglio io – ma quello che emerge durante il Meeting è che sono voluto bene e questo, ogni anno ,mi dà respiro.



La sera prima non riuscivo ad addormentarmi, continuavo ad arrovellarmi su mille pensieri, se avevo preparato tutto per il giorno successivo, cosa mancava, cosa dire alla squadra il giorno dopo. Insomma, tutto dipendeva da me: nella testa mi ero fatto un film perfetto su come sarebbe andata la settimana. Intanto, però, il sonno si allontanava e l’ansia aumentava. Verso le tre, mentre ero ancora lì a ragionare, è venuta nel lettone mia figlia, triste perché non riusciva ad addormentarsi. Appena si è infilata sotto le lenzuola, tra me e mia moglie, ha cominciato a dormire. Lì è crollato tutto il mio castello.

Mi sono reso conto che tutti i miei progetti, i film che mi ero fatto, le previsioni di come sarebbero andate le cose, tutto era infinitamente più piccolo di fronte al desiderio di un abbraccio di cui mia figlia è fatta, di cui io sono fatto. Ed è poi questo l’unico motivo per cui torno al Meeting ogni anno.
Un abbraccio che ho già sperimentato nella vita, a Rimini o in altre situazioni: la certezza di un bene di fondo che mi prende ogni volta tramite volti, amici, rapporti che nascono e che mi dimostrano che sono voluto bene, non per quello che faccio ma per il semplice fatto di esserci.



La settimana quest’anno è subito cominciata molto male a livello lavorativo – diciamo che la struttura tecnologica ha deciso di abbandonarci sotto tutti gli aspetti – questo ci ha messo alla prova. Per tutta la settimana ho avuto il timore che i miei ragazzi si stufassero, che la vivessero male e che il malcontento alla fine vincesse, come – ancora una volta – se tutto dipendesse da me. Invece i miei amici hanno dato ancora di più, i rapporti sono cresciuti e siamo arrivati in fondo scoprendoci sereni. Il vero miracolo non è stato questo. Ma l'impegno con cui si sono dati da fare tutti (li guardavo lavorare e pensavo che o erano tutti pazzi, visto quanti problemi c’erano, o anche loro erano certi di un bene che va al di là del risultato. Lo stesso bene che spinge mia figlia a venire nel letto del babbo e della mamma. Una certezza di bene di cui il Meeting è segno tramite tutti coloro che ci passano, per cui ogni anno mi do da fare e torno a lavorarci.