Un momento di festa della comunità di Santa Giulia.

Una guida per famiglie in tempesta

«Il desiderio di una vita piena, per sé e per i propri figli». Nella parrocchia di Santa Giulia a Torino, come in altri posti nel mondo, l'esperienza di una "comunità di famiglie" nata dall'amicizia con i missionari della San Carlo
Maria Acqua Simi

A Torino, intorno alla parrocchia di Santa Giulia, vive una comunità di famiglie. Tra loro per vicende personali e origine, hanno in comune l’amicizia con alcuni missionari della Fraternità San Carlo Borromeo e il desiderio di una vita piena per sé e i propri figli. Dalla condivisione della quotidianità con questi sacerdoti, che si replica in tante missioni dove “la San Carlo” è presente, è nata una piccola “guida familiare”. Perché, come ha scritto don Massimo Camisasca nella postfazione al libro La regola dell’amore, edito da San Paolo, che raccoglie alcune delle loro storie in tanti diversi angoli del mondo, «l’esperienza di vita comune tra famiglie (come anche tra i sacerdoti) mi offre una speranza sempre rinnovata per il futuro. Cristo ci chiede di vivere in questo tempo. Possiamo discutere o meno la sua difficoltà, ma non c’è concesso di esaurirci nel lamento, nell’inerzia, tantomeno nella disperazione. Dio non smette mai di operare e le giovani comunità di famiglia sono uno dei frutti più significativi della Sua continua chiamata alla vita». Si badi bene, nessuno di loro giura di avere ricette infallibili per essere genitori e sposi perfetti. Si procede a tentativi, come tutti, ma in questo cammino – come leggerete – è stato dato spazio a Gesù nelle giornate.

Annalisa e Marcello, ad esempio, vivono nel capoluogo piemontese con i loro figli. Durante la pandemia lei si ammala di covid e trascorre 40 giorni in ospedale. Quel periodo buio e pieno di solitudine viene però illuminato dalle visite che riceve da un sacerdote dell’oratorio frequentato dai suoi figli. La fede di Annalisa fino a quel momento è tiepida, messa da parte per far posto al lavoro e alle incombenze quotidiane. Nel silenzio dell’ospedale e nei dialoghi con quel prete, scopre però una pienezza mai sperimentata prima. Quando guarisce e torna a casa, la meditazione, la lettura di testi suggeriti dal sacerdote – come il Diario di suor Faustina – e la preghiera diventano un appuntamento irrinunciabile. Un cambio di sguardo maturato anche nel nuovo legame con la comunità parrocchiale guidata dai missionari e che la porta a trattare la famiglia, i colleghi e gli studenti con amore e attenzione. Anche Marcello, che da sempre si dice non credente, oggi è in cammino per il cambiamento che ha visto in sua moglie e per la compagnia sperimentata in parrocchia.

Non è diverso per Ilaria e Stefano. Genitori di Anna, Emanuele e Teresa, hanno vissuto per tre anni a Taiwan prima di ritornare, nel 2016, in Italia. «A Taipei c’era una casa di tre giovani sacerdoti della Fraternità San Carlo: la sintonia è stata immediata, siamo diventati amici in un modo molto profondo». Ogni due settimane, i coniugi caricano i figli in auto, due ore e mezza di viaggio, per andare a trovare i tre missionari e trascorrere un po’ di vita in comune. «Il sabato mattina loro avevano come regola quella della adorazione eucaristica e del silenzio. Inizialmente li aspettavamo per fare colazione insieme, poi pian piano anche io e mio marito abbiamo iniziato a pregare con loro. L’Adorazione durava un’ora: mezz’ora andavo io, mentre lui stava in cortile con i bambini, e poi viceversa. Quello che ci colpiva, ed è il motivo per cui li cercavamo tanto, è che erano davvero amici tra di loro e, soprattutto, erano uomini felici. L’origine di questa letizia era chiara, l’appartenenza a Cristo. Come esperienza era talmente desiderabile che volevamo fosse anche la nostra», racconta Ilaria. Dopo qualche tempo, Stefano riceve un’offerta di lavoro in Italia e la famiglia decide di rientrare. «Avevamo la possibilità di scegliere tra alcune città e abbiamo optato per Torino, perché c’era una presenza della San Carlo. Lì abbiamo conosciuto “Atta”, don Gianluca Attanasio, oggi uno degli amici più cari che abbiamo». Nella vita che ruota intorno alla realtà di Santa Giulia le famiglie scoprono un nuovo modo di stare insieme: la preghiera, l’Adorazione, gli incontri mensili con la cena in comune, i percorsi per fidanzati, neosposi e anziani, e anche un centro giovanile per i ragazzi che vengono a studiare dopo la scuola. Nel tempo la comunità cresce sempre di più.

Lo racconta don Attanasio. «Siamo a Torino da dieci anni. All’inizio avevamo aperto la nostra casa parrocchiale ai più giovani: agli universitari e ai ragazzi delle superiori. Poi a un certo punto alcune famiglie, affascinate da come vivevamo la comunione, hanno voluto stare con noi. Con tutti abbiamo condiviso fin da subito la nostra vita: Gesù, del resto, non è venuto a fare discorsoni, ma a mangiare e bere con la gente che incontrava». Ben presto i missionari si rendono conto che la loro casa, per quanto accogliente, non riesce a ospitare tutti. Arriva l’intuizione: «Sapevamo di essere un punto di riferimento per chi deve trovare ancora la propria strada vocazionale, ma anche le case di chi questa vocazione l’ha già trovata forse avrebbero potuto diventare un punto di bellezza, di accoglienza e di incontro con Cristo». Così l’esperienza dei sacerdoti della Fraternità San Carlo si allarga alle famiglie circostanti. E come aiutarsi a “tenere il punto” durante le giornate?

Le famiglie iniziano a rendersi conto, ad esempio di quanto le tecnologie tolgano spazio al dialogo in casa: la tv accesa a ogni ora, gli smartphone sempre connessi. Un’altra cosa che manca, oltre al dialogo, è spesso un momento di preghiera insieme. «Abbiamo così condiviso con queste coppie alcuni suggerimenti che avevamo imparato da don Camisasca e da don Giussani, come ritagliarsi del tempo per pregare, spegnere la tv per potersi guardare in faccia, perdonarsi prima di andare a dormire o far sì che ciascun membro della famiglia abbia cura della casa perché la senta davvero sua. Sembrano cose banali, ma non scontate, perché conosco bene il turbinìo in cui vivono le famiglie oggi. Invece qualcuna ha iniziato a seguire questi piccoli consigli e a raccontarci, ad esempio, che da quando la tv alla sera è spenta si riesce a parlare di più coi figli. Altri hanno iniziato a pregare intensamente, con regolarità, dando molto più spazio alla presenza del buon Dio nelle giornate. Cose piccole, ma che ci hanno mostrato che è possibile fare memoria del Signore anche per chi vive totalmente immerso nel mondo, con lavoro e figli da mantenere». Ancora: «Senza che lo volessimo sono nate delle piccole fraternità, una sorta di “comunità di famiglie” seguita da noi sacerdoti. Si tratta di un lavoro di comunione e scambio reciproco: da questi genitori e questi ragazzi impariamo ogni giorno. Spesso ceniamo insieme e condividiamo la gioia e le risate con i figli, le fatiche dei genitori. Mai come ora ci è chiaro che sarebbe impossibile affrontare le difficoltà che la vita mette davanti senza una comunità».

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Il desiderio di raccontare tutto questo non nasce dal voler mettere nero su bianco manuali di sopravvivenza pre-confezionati o autocelebrarsi. «Le piccole regole che ci siamo dati sono un aiuto, ma tutti abbiamo la possibilità, con creatività, di trovare come stare in rapporto con Cristo nel quotidiano. La realtà delle famiglie, della maggior parte delle famiglie, è la solitudine. Noi veniamo da una storia, dal carisma di Comunione e Liberazione, che già nel nome porta quell’idea di comunità, necessaria per stare nel mondo sostenuti e lieti. Desideriamo che questa bellezza sia per tutti quelli che incontriamo e abbiamo voluto condividere la nostra esperienza», conclude Stefano. Lo scrive così Giovanni Scifoni, nella prefazione al libro: queste famiglie sono fatte da «persone come noi, che come noi tentano di rispondere a questa domanda, che pare impossibile, destinata a generare fallimento e frustrazione, perché quello che desideriamo da bambini è sempre troppo grande, troppo assoluto: chi mai potrà riempire questo infinito che abbiamo nel cuore?».