La mostra "Il gusto del quotidiano" a Rimini (Archivio Meeting)

Come monaci, per gustarsi il quotidiano

Una mostra al Meeting, tra le più affollate dell'edizione 2023, dedicata al lavoro dei benedettini. Il racconto di un'esperienza che non si è fermata a Rimini. E che non smette di generare incontri e sorprese
Davide Perillo

«Guarda, tra i tanti incontri che mi hanno colpito c’è quello con un ragazzo che dopo la mostra mi ha cercato apposta per dirmi: “Fabio, io in università ho incontrato qualcosa di veramente bello e ho tanti amici impegnati, che si gustano la vita fino in fondo. Poi, però, mi guardo intorno e vedo adulti che hanno gli occhi tristi. Mi assale un dubbio: non è che quello che sto vivendo ha una data di scadenza o, peggio ancora, è falso?”. Ecco, questa domanda me la porto nel cuore».

Questa, e tante altre che Fabio Saini, 49 anni, co-amministratore delegato della Laica (storico marchio piemontese del cioccolato), si è ritrovato ad affrontare assieme agli amici che, con lui, hanno organizzato una delle mostre più visitate dell’ultimo Meeting di Rimini.

Era “Il gusto del quotidiano”, promossa da CdO Agroalimentare, imperniata sul lavoro dei monaci benedettini e sul contributo - enorme - che hanno dato a ricostruire un mondo intero, dal Medioevo in poi. E nata, anche quella, da una domanda, parente stretta del tarlo che rodeva l’universitario incontrato post-visita: si può vivere il lavoro all’altezza dei propri desideri?

«È qualcosa che mi porto dentro da sempre», racconta Saini. Che per parlare di Rimini e di ciò che è successo dopo il Meeting, parte da più lontano, dal suo incontro con quel gruppetto di imprenditori che si trovavano ogni due settimane, dalle 6 alle 7 di mattina, con a tema sempre lo stesso ordine del giorno: «Racconta un fatto che ti è accaduto in questi 15 giorni sul lavoro e di’ come ti ha cambiato». Zero chiacchiere e niente teorie, solo «un aiuto concreto a giudicare l’esperienza», in un momento della giornata in cui «non impatti sul lavoro, non ti disturba nessuno, ma soprattutto devi proprio volerlo, per esserci…».



Lui ci si è imbattuto un anno fa, invitato da un amico, «e ci sono andato per l’entusiasmo che vedevo nei suoi occhi»; ma quella modalità di condivisione esiste da tempo, dai primi gruppetti nati attorno a Camillo Gardini, storico presidente di CdO agroalimentare e che dopo un po’ hanno iniziato a chiamare “i monasteri”: «Non per presunzione, ma perché un amico ci aveva detto che questo modo di stare assieme e costruire gli ricordava proprio quello».

Ecco, è da un ambito del genere che è spuntata l’idea della mostra. «Ci siamo detti: perché non proviamo a fare qualcosa che racconti questa sfida? Abbiamo tutti questo scopo: essere felici. Le strade possono essere tante, e il monachesimo è una delle vie maestre: ma noi volevamo capire quali punti hanno in comune, per trarne delle indicazioni di metodo».

Il legame con i benedettini si è visto bene, a Rimini. Il percorso accompagnava a rendersi conto di quanto, «senza che nessuno l’avesse pianificato», la rete dei monasteri diffusasi a partire dal IV secolo sia stata la spina dorsale della rinascita dell’Europa. È lì che sono nati – o si sono sviluppati – coltivazioni moderne e tecnologie meccaniche, birrifici e caseifici, industria mineraria e primi nuclei degli ospedali, e via dicendo, in un elenco sterminato. Ma è lì che, soprattutto, si è espresso uno sguardo sulla realtà che aveva a cuore proprio quella domanda, semplice e radicale, di felicità nel lavoro: «Ora et labora non è solo una regola, un modo per organizzare la giornata: significa dare al lavoro alla stessa dignità della preghiera», dice Saini. Cioè, del rapporto con il significato, con il senso di tutto e che riguarda tutti.

Per questo tanti dialoghi nati nell’ultima stanza della mostra - la “foresteria”, dove curatori e guide accoglievano i visitatori e le loro domande - stanno proseguendo adesso, in modi diversi e con interlocutori che, a volte, non ti aspetti.

«Avendo a tema il lavoro, immaginavo che la proposta interessasse soprattutto gli adulti», osserva Saini: «Invece vedo che spesso ad essere colpiti di più sono i giovani, e questo mi provoca molto». Perché? «Hanno bisogno di vedere adulti che vivono il lavoro così, con gli occhi che brillano. Non capita spesso. Quando li intercettano, è un segno di speranza. Per loro, e per noi».

Un segno che porta a galla domande, come è successo a quell’universitario. O genera incontri, come a Bologna: «Qualche giorno dopo il Meeting, mi è arrivato un messaggio da uno degli organizzatori della Festa dei Bambini, che si tiene ogni anno in città: “Facciamo un incontro sul lavoro, ci piacerebbe se intervenissi anche tu”. Era il marito di una ragazza che si era fermata a parlare a lungo, dopo la visita…».

Un’altra, sui trent’anni, era uscita dallo stand dicendogli: «Voi vi chiedete se sia possibile vivere il lavoro, o lo studio, all’altezza dei desideri. Ma forse bisognerebbe aggiungere la maternità». «Mi aveva colpito, ma il dialogo era finito lì», racconta Saini. Due settimane dopo, gli arriva un messaggio: «Possiamo vederci a cena con qualche amico? Noi siamo di Monza, se ti va di passare…». «Era Nicole, quella ragazza. Non facciamo in tempo a organizzare, che arriva un’altra chiamata. Stessa richiesta, stesso desiderio. Io: “Ok. Di dove siete?”. “Di Monza”. Ma mica si conoscevano tra loro…». Ne è nata una cena tra gente «che un minuto prima era estranea, e un minuto dopo era lì a condividere le cose più care».

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E mentre la mostra prosegue il suo giro d’Italia (per restare aggiornati, www.cdoagroalimentare.it), di fatti così ne accadono altri, piccoli e grandi. Al punto che «abbiamo deciso di girare un video con le testimonianze delle persone più colpite», dice Saini. È un modo per proseguire un lavoro, e approfondirlo per sé. «Quante volte ho visto una mostra che mi ha colpito, e poi mi sono fermato lì? Ecco, questi amici non si sono fermati lì. E aiutano a camminare anche me».