Mimmi Cassola. «Sono figlia di don Giussani»
Scrittrice e traduttrice, il 29 agosto è morta a 84 anni. Fu allieva del fondatore di CL al Liceo Berchet. E l’incontro con lui le cambiò la vitaAveva solo sedici anni quando accettò una sfida: iniziare a tradurre dal francese un autore allora poco conosciuto in Italia, Charles Péguy. E a oggi sono ancora sue le traduzioni di molte opere dello scrittore. Chi glielo propose, a metà anni Cinquanta, fu don Luigi Giussani, suo insegnante al Liceo Berchet, il quale già amava molto Péguy.
Mimmi Cassola si è spenta a Firenze a 84 anni, lo scorso 29 agosto. Nata in Toscana e trasferitasi ancora ragazza a Milano, non frequentava più la Chiesa da tempo, quando l’amicizia con quel professore di religione la riconquistò alla fede. Laureata in Lettere moderne, si dedicò alla scrittura (pubblicò il suo primo libro a 33 anni; i suoi 17 romanzi sono tutti editi da Jaca Book), alla pittura e, successivamente, alla fotografia. Su Facebook, durante la pandemia, scrisse: «Sono cattolica praticante, figlia di don Giussani. Ho appena compiuto 80 anni ma non me li sento! Sono un po’ bloccata in casa, sempre in Toscana, tra Firenze, Volterra e Baratti. Mi piace fotografare... Sono scrittrice in disuso, e pittrice (in disuso causa artrosi alle mani), ma ringrazio Dio per quello che mi ha dato prima di mettermi in disuso».
Alberto Savorana, nella biografia di don Giussani, racconta così di lei e dell’amicizia con il fondatore di CL:
Mimmi Cassola (poi scrittrice) è una dei tanti liceali del Berchet a cui il cristianesimo non dice più niente. Ecco come ricorda l’incontro con Giussani: «Dopo essere stata a scuola dalle suore, per il ginnasio andai al Berchet. Lo conobbi al liceo, nel ’57», nella sezione E. Da anni ormai non va più in chiesa. Così, «quando vidi entrare in classe un prete, mi alzai dal primo banco e mi trasferii nell’ultimo. Ci toccava una lezione di religione (o “scuola”, come diceva lui) ogni settimana, e quindi, trasloco a parte, non mi dava troppo fastidio». Alla terza lezione la interpella: «Lei, laggiù, come si chiama?». Mimmi ricorda che «dava sempre del Lei a chi non gli garbava. Balzai in piedi, gridai nome e cognome, e ricaddi seduta. Così continuai per qualche tempo», ma, quasi senza che se ne accorgesse, «quella voce calda e un po’ roca mi divenne familiare, e cominciai ad ascoltarlo».
Nell’intervallo una quantità di liceali si precipita a cercare Giussani. Mimmi non ancora, ma un giorno gli mette in mano una busta. Contiene una lettera, in cui gli dice di sé, che sta passando tempi tristissimi. Alla lezione seguente è lui a consegnarle una busta. A casa la apre, ed ecco che cosa c’è scritto: «Io non so se tu hai mai scoperto che il tuo chiedere aiuto (e l’accettarlo) sarebbe il modo più semplice di fare un dono a qualcuno: e quando si dà qualcosa, per fare piacere a qualcuno, non è più inenarrabile vuoto [la Cassola ricorda che queste ultime parole erano nella sua lettera; N.d.A.]. Potrà rimanere tristezza: come chi nel crepuscolo della sera pensa alla notte in cui dovrà aspettare (l’attesa, che tristezza! ma non vuoto) il sorgere del giorno. […] Perché la mia vita non è vuota. Triste, sì, spesso. Come quando vedo la tua solitudine voluta».
Dopo questa lettera Mimmi Cassola inizia a frequentare GS, va spesso in via Statuto 2, dove c’è la sede del movimento, e subito si imbatte in qualcuno che dice: «Vuoi parlare con don Giussani?». E così, quasi senza accorgersene si trova seduta al lato breve di un tavolo, a una certa distanza da Giussani, che sta al lato lungo. «Una volta mi disse: “Mi dispiace essere brutto, perché questo mi allontana i giovani” – quanto si sbagliava! –, “ma il mio naso non me lo sono fatto io”». Ricorda anche che un giorno Giussani riunisce un gruppo di giessini e dice loro: «“Pare che il Vescovo voglia eliminare la nostra comunità. Se dovesse accadere non faremo GS nelle catacombe, non ci vedremo più. Obbediremo. Questo è un ordine che vi do.” Poi il Vescovo lasciò perdere: aveva capito che il Gius non aveva mai detto una parola che fosse contraria alla Chiesa. Anzi!».
La storia dell’incontro della Cassola con Giussani è fissata nelle pagine di uno dei suoi primi romanzi. La protagonista, Giovanna, è allieva della scuola di via Commenda: «Verso la fine dell’anno scolastico Giovanna fece amicizia con l’insegnante di religione, un prete giovane e sensibile, molto intelligente e profondo, che aveva lasciato la sua cattedra al seminario per occuparsi solo del problema dei giovani. Invitò Giovanna a casa sua, e lei ci andò con Luisa. Don Luigi mise dei dischi sul grammofono: antiche canzoni religiose (era il Laudario 91 di Cortona) e altre di P.re Duval. Non tentò di convertire le due ragazze, e Giovanna gliene fu grata e tornò a parlare con lui. Gli disse i suoi dubbi, le paure e l’angoscia» (M. Cassola, Storia d’amore per due voci pari, Jaca Book, Milano 1977). Il romanzo è dedicato “a Don Gius”, come atto di gratitudine dell’antica allieva, che quel pomeriggio passato ad ascoltare musica sacra ha strappato a un atteggiamento agnostico fino al punto di farla riconvertire al cattolicesimo. All’epoca in cui viene pubblicato, don Angelo Scola parlerà a Giussani del romanzo appena letto: «Mi colpiva la descrizione del primo colloquio con te, dove tu hai fatto ascoltare musica. È rimasta una traccia in lei da quel primo incontro senza che tu abbia parlato di Gesù Cristo. L’incontro è veramente nell’umanità trasformata che Cristo genera in noi».
(da Vita di don Giussani, pp. 184-185)