Aleksandr Filonenko

All’improvviso la vita

A Char’kov, il filosofo Aleksandr Filonenko e un gruppetto di amici si coinvolgono con i ragazzi di un internato. Nel tempo, cresce una storia fatta di volti: Tanja, Saša, Snežana... Un solo scopo: condividere il destino (Tracce, gennaio 2013)
Elena Mazzola

Char’kov, luglio 2011: Aleksandr Filonenko, filosofo e docente all’Università locale, e un gruppetto di amici danno vita a un’opera sociale e culturale che chiameranno Emmaus. Nel corso dell’anno non fanno altro che provare a condividere la vita di alcuni ragazzi invalidi e per la maggior parte orfani. «Su ciò che abbiamo vissuto in questo tempo potrei scrivere un libro intero», racconta Aleksandr: «Ma l’esperienza non si misura, si vede negli incontri che accadono». Per questo per parlare di Emmaus usa il modo più semplice: racconta storie e volti. Quindi, incontri.
A cominciare dal primo, nell’autunno 2010. «A Kiev ascoltammo una breve testimonianza di Rosalba Armando, della fondazione Maksora di Novosibirsk. Parlava di uno dei loro progetti». Raccontava l’esperienza di Golubka, una casa per ragazze madri (v. Tracce, n. 10/2007). «Nessuno di noi avrebbe mai potuto immaginare che tra le rovine della società post-sovietica degli anni Novanta qualcuno potesse far sorgere un’opera che offriva a persone cadute in disgrazia una nuova possibilità di vita. E tutto questo grazie ad una donna italiana, arrivata a Novosibirsk senza sapere una parola di russo». Dall’incontro di Kiev, Aleksandr si porta a casa una domanda fondamentale: se ci è riuscita Rosalba vent’anni fa a Novosibirsk, perché non dovremmo riuscire a fare lo stesso oggi a Char’kov? «Non conoscevamo ragazze madri che avessero bisogno di un centro come Golubka e non volevamo certo inventarci il problema», racconta: «Ma si era risvegliata un’esigenza nostra, dovevamo solo stare attenti alla nostra realtà per cogliere il bisogno che chiedeva a noi di esserci».
Il risultato non si è fatto attendere. Già da alcuni anni Aleksandr e la moglie Inna sono diventati amici di Vasilij Sidin, un uomo straordinario che ha dato vita alla compagnia teatrale del Timur, un teatro per ragazzi difficili: Sidin si era accorto che spesso i giovani che prendono la strada della delinquenza sono in realtà molto dotati e proprio quel talento male indirizzato arriva a produrre effetti socialmente pericolosi. Grazie a Timur è nata una vita, fatta di spettacoli, seminari, campi estivi, feste natalizie di beneficenza, festival sociali e lavoro educativo con i genitori.
Alcuni ragazzi erano invalidi e vivevano in un internato. Ed è con loro che Aleksandr e la moglie hanno cominciato a fare amicizia: «Mi aspettavo di incontrare persone chiuse a riccio», racconta lui: «Oppure ragazzini immaturi e inconsapevoli della loro situazione drammatica. Invece mi sono trovato di fronte a ragazzi coscienti e sereni che si ponevano domande sulla vita che i loro coetanei “più fortunati” avevano smesso di farsi. Siamo diventati loro amici e abbiamo scoperto la gravità dei problemi che questi ragazzi affrontano ogni giorno».

Gli amici di ''Emmaus''

Dall’ospizio all’università. Lena ha diciott’anni ed è gravemente invalida: ha un braccio solo e dei problemi genetici alle gambe. I genitori l’hanno abbandonata alla nascita e lei è sempre vissuta in internato, ma ha anche dovuto passare mesi interi in ospedale per sottoporsi ad operazioni alle gambe che dovevano essere allungate per riuscire a camminare. Frequenta l’ultimo anno di scuola quando l’Amministrazione cittadina comunica a Sidin di aver trovato una sistemazione per lei, una volta terminata la scuola: si tratta di un ospizio, una casa per anziani, dove si va a finire di vivere, cioè a morire. «Era una storia di un’assurdità intollerabile», commenta Aleksandr: «Per di più Lena è una ragazza intelligente, determinata e matura». Quella decisione era stata presa perché la ragazza non aveva conoscenze scolastiche sufficienti per entrare in un istituto tecnico. «Allora mi sono proposto come insegnante di matematica e abbiamo trovato una persona disposta ad aiutarla in lingua e letteratura, per farle passare il test d’ingresso dell’istituto. Mancavano solo due mesi all’esame e Lena conosceva ben poco la matematica, ma al test è arrivata prima». Oggi sta concludendo l’istituto tecnico e si sta preparando agli esami d’ammissione all’università.
Ad Aleksandr e al loro gruppetto di amici la storia di Lena ha fatto scoprire che, oltre all’invalidità, c’era il problema della preparazione scolastica: «Occorreva un lavoro sostanziale per cambiare l’approccio dei ragazzi alla conoscenza. Un lavoro impossibile senza tener conto di tutta la loro storia e del loro destino. Per questo ci siamo messi a fare Emmaus: per accompagnarli durante l’ultimo anno di scuola - momento che in genere li spaventa molto -, e per tutta la loro crescita, aiutandoli a scoprire il destino».
Cosa offrono ai loro giovani compagni di strada gli amici di Emmaus? Quello che sono capaci di fare, cioè insegnare. «E la nostra amicizia. Abbiamo cominciato ad andare all’internato con un bel gruppo di amici perché i ragazzi vedessero un modo nuovo di rapporto tra adulti e lo sentissero possibile per sé». La proposta è semplice: «Li aiutiamo a fare i compiti, per mostrare loro che le lezioni di matematica possono essere appassionanti tanto quanto andare al cinema o guardare la tv. È un modo per comunicare che la conoscenza non si fonda sulla paura, ma sullo stupore».

Le stelle di Oleg. Vasilij Sidin è morto un anno fa, si è spento durante uno dei suoi campi estivi con i ragazzi, ed Emmaus è nata proprio prendendo parte all’organizzazione di questa sua ultima impresa. In quei giorni Aleksandr ebbe modo di parlare con Oleg, uno dei ragazzi, nell’immensa biblioteca di casa Sidin. Orfano, e molto basso di statura, Oleg per tutta l’infanzia ha avuto gravi problemi ortopedici, ma pian piano ha imparato a camminare e a vivere da solo. Durante gli ultimi anni di scuola ha perso quasi del tutto la vista e sono già sette anni che sogna di poter tornare, un giorno, a vedere le stelle. Ora frequenta il terzo anno alla facoltà di Filosofia in cui insegna Aleksandr e la sua passione è raccogliere audiolibri: ne ha più di tremila.
«Quel giorno gli chiesi quanti ne avesse letti: 115 nell’ultimo anno, mi rispose. Gli dissi che non ci credevo e per tutta risposta mi disse che li ascoltava “sul 5” cioè aumentando la velocità di cinque volte, per non perdere tempo (“con tutto quello che ho ancora da leggere!”)». Aleksandr sa bene che nell’internato dov’è cresciuto Oleg i ragazzi non amano leggere. «Ma lui mi ha detto: “Sì, in effetti per tanti anni leggere non mi piaceva. Ma sono stato fortunato, ho perso la vista”». A un certo punto i dottori avevano deciso che le sue gambe stavano meglio dei suoi occhi e, di conseguenza, aveva dovuto trasferirsi dall’internato per zoppi a quello per ciechi: «“Lì era un paradiso”, mi ha raccontato Oleg: “Tutti i ragazzi avevano fatto la scuola di musica, partecipavano a club letterari e giocavano a scacchi... Ho addirittura imparato il Latino”. Mentre ascoltavo Oleg intuivo il senso del nostro lavoro: dei bambini orfani che faticano a camminare non dovrebbero aspettare di diventare anche ciechi per poter cominciare a vivere». Per Aleksandr e i suoi compagni di avventura, è stata una sfida: «Noi dovevamo diventare quegli amici che permettono ai ragazzi di “vedere le stelle”, che giocano con loro a scacchi, che fanno studiare il latino e scoprono insieme a loro la grandezza della vita. Noi - pensavo - possiamo offrire loro questa amicizia. Ma loro la accoglieranno?»

Le poesie di Saša. Quando aveva sei mesi, lo trovarono con la testa spaccata nella discarica di un enorme mercato. Ora Saša è un ragazzo di vent’anni e scrive versi tutti i giorni. Le sue poesie parlano di una giovane donna, della sua bellezza e tenerezza, dei suoi splendidi capelli e della sua voce carezzevole. Una volta, rispondendo a una domanda di Aleksandr, gli ha confessato che la sera non va mai a dormire prima di aver scritto una poesia: «Mi ha proposto di leggere la sua raccolta. E mi sono trovato davanti a un quaderno zeppo di meditazioni sull’amore, ingenue e commoventi. Prima di me non le aveva mai viste nessuno. E non perché lui le volesse tenere nascoste: semplicemente, gli educatori non gli avevano mai chiesto né di leggerle né di ascoltarle». Aleksandr richiede l’intervento di una psicologa. La dottoressa parla con il ragazzo. E resta letteralmente scioccata da una scoperta: i versi di Saša non sono dedicati a una ragazza, ma a sua madre. A quella madre che lui non ha mai visto, ma di cui sente il bisogno perché senza quel rapporto non può farsi una vita adulta. «A Saša non servono lezioni correttive, ha bisogno della maternità; tanto che se non la riscopre ogni sera non può prendere sonno», spiega Alekandr: «E lui la ritrova in quelle poesie che spaventano tanto gli psicologi e nelle preghiere alla Madonna che impara al teatro Timur».

L’album di Snežana. Un sabato sera Aleksandr sta facendo matematica con un gruppo di ragazzi dell’internato mentre una volontaria italiana, Maria Chiara, racconta della sua vita tra Torino e Bologna. «Una ragazzina sconosciuta si avvicinò al nostro tavolo e si mise ad ascoltare i nostri discorsi, finché mi chiese: vuoi vedere il mio album di foto?». Snežana era una nuova, trasferita all’internato per frequentare l’ultimo anno di scuola dall’ospedale dove era stata alcuni anni. Di lei, Aleksandr aveva sentito solo cose terribili: Snežana fuma, dice parolacce, va sempre in giro con i chupa chups... E per di più le mancano entrambi i reni, perciò ogni due giorni l’ambulanza la porta a fare la dialisi. Bene, all’improvviso questa ragazzina terribile aveva voluto mostrare ad Aleksandr l’unica cosa da cui non si separava mai: «L’album con le foto dei genitori, morti per alcolismo dopo essersi ridotti a fare una vita da senza tetto». Una sorte molto frequente nel periodo tragico della società post-sovietica. Snežana mostra le foto di persone che sono morte perché bevevano, e per colpa delle quali stava morendo lei stessa. L’album si apre su volti giovani e belli, su immagini in bianco e nero dei giorni felici del primo incontro tra sua madre e suo padre. Poi cominciano le foto a colori che documentano la normalità dell’esistenza quotidiana al tempo della guerra fredda, le loro vite che si distruggono e i volti delle figlie che nelle loro uniformi scolastiche nascondono almeno un po’ i segni della catastrofe. Quegli stessi volti si ritrovano più avanti, immortalati tra le mura di una casa che quasi non si distingue da una discarica. «Ma nei suoi racconti non c’era ombra di rimprovero, non c’era dolore e nemmeno un briciolo di disperazione», racconta Aleksandr: «C’era solo il suo amore per loro, tutto racchiuso in un piccolo album. Nella mia vita non mi era mai successo di imbattermi in una testimonianza d’amore tanto diretta, potente e senza compromessi. Mostrandomi le sue foto Snežana non faceva altro che lanciarmi una sfida silenziosa a condividere con lei il destino. La sua fiducia è stata come un segno di benedizione per il nostro lavoro».

La preghiera di Tanja. Padre Iosif è un noto sacerdote missionario di Novosibirsk. Aleksandr lo ha incontrato a Char’kov in occasione di una festa scolastica e poi si è trovato a tavola con lui, Elena Sidina (la moglie di Sidin) e Tanja, una ragazza di vent’anni dell’internato. «A un tratto padre Iosif le chiese: “Tanja, lei ha i genitori?”. La ragazza gli rispose tranquillamente che erano morti. Imbarazzo totale. “Ma io ho una madre spirituale”, aggiunse. Pensavo che parlasse di Elena Sidina, ma lei concluse la frase dicendo: “La nostra Madre di Dio”».
Prima di incontrare gli amici di Emmaus, Tanja aveva paura del futuro: «Era terrorizzata dallo studio, perché per molti anni non l’avevano fatta studiare secondo un programma normale e poi all’improvviso avevano deciso di inserirla in una classe avanzata, facendole saltare sei anni di scuola». Adesso è all’ultimo anno e fa molta fatica. «Già da un anno facciamo lezioni private e con noi è arrivata a capire cosa vuole fare nella vita: l’infermiera. Ma dovrà finire la scuola, prepararsi al test d’ingresso dell’istituto tecnico, ottenere il diploma di assistente sociale e andare a Mosca, perché la scuola infermieri è solo lì». Per un adolescente invalido e per di più orfano un percorso del genere è impossibile... se è lasciato solo. «Ed è per questo, perché questo diventi possibile, che noi facciamo Emmaus».

Perché questo nome? Cosa c’entra con tutta questa esperienza di vita ucraina un paesino che si trovava un tempo vicino a Gerusalemme e che ora non esiste neanche più: Emmaus? «Non è più il nome di un posto, ma il simbolo di un avvenimento che ha stravolto la vita di due persone, di due uomini che avevano lasciato Gerusalemme in preda all’angoscia per la morte di Cristo», risponde Aleksandr: «Quegli stessi uomini che tempo prima erano partiti da Emmaus proprio per andare a cercarlo, ora vi facevano ritorno sconfitti. Ma all’improvviso accade loro un incontro che li riporta alla Vita. Un incontro possibile solo per il fatto che Cristo è vicino a loro, che cammina con loro e si mette a condividere la loro vita». Aleksandr si ferma un attimo. E poi: «Ecco, nella vita ci sono avvenimenti così; avvenimenti cruciali che accadono all’improvviso».
Non c’entra il tempo, non si possono pianificare, prevedere o organizzare: semplicemente, accadono. «Ma mai senza la nostra partecipazione, perché se non stiamo attenti, noi non ci accorgiamo neanche di tutti questi “all’improvviso”. Per noi, Emmaus è diventato il nome di questi avvenimenti. Fatti che tirano l’uomo fuori dalla disperazione. E lo portano al suo destino».