Dmitry Strotsev

Dmitry Strotsev. Un gioco sacro

È uno dei maggiori poeti di lingua russa, racconta come «la poesia mi ha portato a Cristo». E l’incontro con una fede «dalle porte aperte» (da Tracce, gennaio 2015)
Luca Fiore

«Da adolescente, entrare in una chiesa era più o meno come mettere piede in un tempio pagano dove si compiono sacrifici umani». Questa è la storia di Dmitry Strotsev, poeta bielorusso di Minsk. Oggi ha 51 anni e in testa porta ancora un cespuglio di capelli brizzolati come si faceva negli anni Settanta. «Dima, perché li tieni ancora così? Ti senti ancora un contestatore?». «Se li taglio, mia moglie non mi riconoscerebbe più». Ironico, profondo e visionario. All’attivo ha sei raccolte di poesia e un Russian Award per gli autori residenti fuori dalla Russia. La storia gli è passata addosso e gli ha lasciato profondi segni dentro. Lui sorride spesso. Guarda, ascolta. Se inizia a raccontare, è difficile fermarlo.
La sua vicenda comincia nel 1980, nel circolo di non-conformisti nato attorno alla figura di Kim Khadeev, noto dissidente locale protagonista, a partire dal 1949, del processo ai “cosmopoliti di Minsk”. La Bielorussia, all’epoca, era il fiore all’occhiello delle Repubbliche sovietiche. Mosca voleva farne l’esperimento per lo Stato modello. Il conformismo sovietico era fatto così, spiega Dima: «Un’immediata disponibilità a rinnegare le proprie idee, le proprie amicizie, la propria dignità. E a partecipare alla violenza contro coloro che poco prima erano stati amici. Il nostro anticonformismo non consisteva solo in un movimento di protesta diretta, ma anche nel raccogliere persone che desideravano uno sguardo etico e antropologico diverso da quello del regime». Khadeev, il fondatore del circolo, venne arrestato due volte, le persone intorno a lui screditate, attaccate, private della possibilità di studiare o lavorare. Ma il gruppo non venne mai distrutto fino in fondo.
«Leggevamo e discutevamo libri proibiti dalla censura, scrivevamo opere che non sarebbero mai state pubblicate dagli editori sovietici. Organizzavamo lezioni, seminari e concerti “casalinghi”». Nel periodo della guerra in Afghanistan, gli amici medici fornivano ai giovani pacifisti finti certificati di non idoneità alla leva. È in questo circolo che Dima entra in contatto per la prima volta con un libro sconosciuto e proibitissimo: la Bibbia. «Un amico ebreo, Gregorij Trestman, mi fece leggere un suo poema intitolato Giobbe, dedicato alla vicenda della sua famiglia travolta dall’Olocausto. Mi fece un’impressione colossale». Col tempo la curiosità lo porta a scoprire l’esistenza, ad esempio, di un vecchio e un nuovo Testamento. La società era completamente scristianizzata. A Minsk restavano aperte soltanto due chiese ortodosse con comunità in estinzione. I giovani che le frequentavano erano controllati e scoraggiati a farlo. Scrive nel 1986: «Molti saranno gli scambi cordiali / attorno al falò dell’anima mia / ... ho sognato: in Dio avevo fede / ma è Lui che in me non crede».
Dima conosce Anya all’inizio dell’università. Entrambi frequentano la facoltà di Architettura. Si incontrano per la prima volta durante una kartoshka, uno dei viaggi, obbligatori per gli studenti del tempo, nei kolkhoz per la raccolta delle patate. Si sposano nel 1983. Ed è proprio nelle conversazioni con Anya che iniziano a prendere forma le prime domande su Dio. «Anche lei era stata educata in una famiglia atea, ma la tematica religiosa l’aveva sempre colpita e non ne faceva mistero con noi. La cosa aveva stupito subito me e i nostri comuni amici. Ma è finita che il Battesimo l’ho ricevuto prima io di lei. Ed è la storia di un miracolo».

Autostop. La vicenda l’ha raccontata in una breve opera in prosa, intitolata Il Caucaso della gioia. «Nell’estate del 1988 sono andato in Georgia in autostop, con due amici. Ad un festival avanguardista in Estonia, avevamo conosciuto dei georgiani che ci invitarono a portare a Tbilisi una mostra sulla fotografia in Bielorussia». La mostra viene allestita nel cuore della città, vicino alla cattedrale di Sioni, la chiesa principale dell’ortodossia in Georgia. L’esposizione è un successo e Dima e i suoi amici conoscono molte persone: «Un giorno una ragazza del posto, che conoscevamo da prima e che stimavamo molto, ci ha chiesto in modo diretto se volevamo ricevere il Battesimo». I tre erano formalmente atei. Non avevano mai pensato di diventare cristiani. Ma per qualche ragione, che neanche oggi Dima sa spiegare, senza mettersi d’accordo, rispondono tutti allo stesso modo: sì. «Ci eravamo già resi conto che gli amici georgiani, in qualche modo miracoloso, riuscivano a tenere insieme la loro arte d’avanguardia e la fede ortodossa. A Tbilisi avevamo incontrato una Chiesa viva e questa realtà plasmava lo spirito di tutta la società. Non formalmente, ma nella sua sostanza. È stato un passo di fiducia e, per amore, Cristo ci ha accolti. È stata un’avance spirituale». Scriveva in quei mesi: «O che io non sia più ormai lo stesso / O che stamane sia uscito di me / E ora diluvia come ai tempi di Noè / Ma neanche un po’ di vino bere posso».
Ma l’adesione al cristianesimo non è automatica. Dima si dedica alla lettura di autori non cristiani, che gli sembravano vicini, come il filosofo e mistico induista Sri Aurobindo. Nel suo percorso, il rapporto con la poesia è centrale. Prima e dopo la conversione. «La poesia mi ha guidato e portato a Cristo», spiega: «Entrando nel mondo della poesia e accogliendola, da giovane educato all’ateismo, ho scoperto e fatto mie prima le categorie spirituali e metafisiche, in senso generale. Poi il mondo biblico come annuncio dell’unico Dio. E infine Gesù Cristo, Figlio di Dio diventato Figlio dell’Uomo». A poco a poco, infatti, la sua ricerca si fa più precisa. Inizia a frequentare una chiesa a Minsk. Lì conosce i primi cristiani il cui cammino e domande erano simili ai suoi. E prende forma una comunità. «Era l’inizio degli anni Novanta: col passare del tempo ho capito che l’annuncio di Cristo e la rinascita della Chiesa erano affar mio. E ho cominciato a cercare il mio posto in quest’opera».

Fine Impero. Poi un giorno, lui che era abituato a sentirsi un abitante del grande Impero sovietico, si ritrova ad essere cittadino del piccolo Stato bielorusso, di cui gli occidentali sanno poco o nulla. La rivoluzione del 1989 era passata quasi inosservata, perché a Minsk, quegli anni, vengono ricordati più per le drammatiche conseguenze dell’incidente di Chernobyl che non per la caduta del Muro di Berlino. La Bielorussia si trasforma nell’ultima dittatura europea. Il solo Paese ad Ovest degli Urali in cui vige ancora la pena di morte.
«Ero un giovanotto pronto a vivere e ad agire», racconta: «Meditavo su che cosa volesse dire essere con Cristo. Su come il mio movimento verso Cristo potesse permettere di cambiare la mia vita e quella della società in meglio».

Cristianesimo realistico. È in quel periodo che inizia a dedicarsi all’editoria, pubblicando testi legati all’ortodossia. Si imbatte anche in alcune opere di un autore straordinario: Antonij di Surozh. Figura carismatica che, da Londra, metropolita della Chiesa ortodossa russa per l’Europa occidentale, ripropose il cristianesimo come esperienza viva. Dima si mette in contatto, alla fine degli anni Novanta, con il primo editore che ne aveva pubblicato gli scritti in russo. È Constantin Sigov, della casa editrice Duch i Litera di Kiev. Col passare del tempo si accorge che la cerchia di persone che gira attorno all’editore ucraino appartiene a religioni e confessioni cristiane diverse. «I rapporti interreligiosi mi hanno sempre interessato molto. In Bielorussia le relazioni tra ebrei e musulmani, ad esempio, sono sempre state buone. Ma mi accorgevo che non si riusciva ad andare oltre ai gesti formali. Sento questo problema non solo da un punto di vista religioso, ma anche antropologico. Sono un poeta: capisco che questo non-incontro non ci dà la possibilità di vivere con pienezza la vita». Per questo, quando Constantin lo invita alle settimane di convivenza per quello che chiamano “l’istituto teologico”, Dima è preso dall’entusiasmo: «C’erano russi, ucraini, ortodossi, cattolici e uniati. Certo, ho dovuto vincere i miei pregiudizi verso persone di altre culture. Ma un dialogo vero è stato possibile». Lì stringe amicizia con persone di Punto Cuore, e soprattutto conosce Alexandr Filonenko e con lui Comunione e Liberazione.
«Sacha (Filonenko, ndr.) mi ha detto che per me sarebbe stato interessante conoscere gente del movimento. Mi sono fidato e non è stato un errore. Lui è molto convincente, generoso e gioioso. La sua amicizia con la comunità è un gioco sacro. Una forma amicale libera, si parla di cose molto serie e si vivono in modo profondo».
Dima inizia a frequentare gli incontri del movimento a Mosca e a Char’kov e si accorge di un modo diverso di vivere la fede: «Conoscendo la gente di CL ho iniziato a trovare risposta a una domanda che avevo da tempo: come si può vivere il cristianesimo in questo nostro tempo? Quella del movimento di laici è una forma che la Chiesa ortodossa non conosce e per me è davvero affascinante. Oggi l’uomo, io per primo, ha bisogno di un cristianesimo realistico. Per una persona di CL è chiaro che il cristianesimo è una novità per la vita e che nella mera conservazione della tradizione, questa novità si intorpidisce. Per il movimento la verità è una notizia aperta, non una saggezza o una sapienza misteriosa a cui si può accedere solo attraverso l’osservazione di riti. Una novità che si può conoscere con un rapporto diretto. Il cristianesimo realistico si mostra di per sé. Le porte aperte non le devi aprire. Sono aperte. Il rapporto con gli altri non mi conduce più in un labirinto, ma le cose si mostrano per quelle che sono e mi parlano». Da Giornale, del 2012: «Dolce e tremendo / naufragar con Dio / naufragar tu ed io / giù / nel mondo».
L’anno che è appena trascorso è stato fitto di occasioni per approfondire questa amicizia. A Mosca, a Char’kov, a Kiev. Ma anche in Italia, al Meeting di Rimini, all’Assemblea responsabili di La Thuile e a Roma dal Papa il 7 marzo con moglie e due figli. Per il 23 e 24 maggio ha organizzato una due giorni a Minsk (vedi box, ndr.) per presentare i suoi nuovi amici:?«In Bielorussia ci sono tante persone meravigliose pronte ad accogliere l’invito che risuona nell’ambito del movimento».